Oggi, 4 gennaio, è il diciassettesimo giorno di prigionia per Cecilia Sala, la reporter italiana arrestata in Iran per ritorsione verso l’Italia in quanto, a sua volta, ha incarcerato l’uomo dei droni del regime di Teheran: un’operazione fatta su richiesta degli Stati Uniti.
Ieri, la famiglia della giornalista ha chiesto il silenzio stampa ammettendo che la “situazione è complicata, la riservatezza è necessaria”.
Sta di fatto che dopodomani, lunedì 6 gennaio, a Palazzo San Macuto, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano riferirà al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, sulla detenzione dell’inviata del Foglio.
L’obiettivo è quello di remare tutti dalla stessa parte: coinvolgere le opposizioni, come avevano chiesto, e giungere alla liberazione di Cecilia.
Sala – ha fatto presente qualcuno – non è Salis, l’attivista di sinistra detenuta per mesi a Budapest senza processo, ma su cui la politica presto si è spaccata.
Per questo, allora, per liberare la giornalista, si evoca (anche) una Sigonella 2.0. Ma volendo significare cosa?
Per liberare Cecilia Sala occorre una nuova Sigonella?
Tutti, centrodestra e centrosinistra, governo e opposizione, al netto di qualche gaffe iniziale, come il tweet dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini, che, il 27 dicembre scorso, evidentemente ancora non aveva capito il contesto nel quale si era sviluppato il fermo della giornalista italiana,
Non possiamo che essere preoccupati per l'arresto, in Iran, della giornalista Cecilia Sala.
— Laura Boldrini (@lauraboldrini) December 27, 2024
Una detenzione di cui non si conoscono ancora le ragioni che vanno chiarite quanto prima.
Sala, da quanto si apprende dalla stampa, sarebbe in isolamento dal 19 dicembre scorso.… pic.twitter.com/zXS3uBzR6G
hanno come obiettivo quello di riportare a casa sana e salva nel più breve tempo possibile Cecilia Sala. Ad oggi, in pratica, è ostaggio del regime degli ayatollah. Il quale, come riscatto, ha chiesto a sua volta la liberazione di Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere 38enne mago dei droni con il quale il regime iraniano muove guerra all’Occidente e fa affari d’oro, come con Putin.
A questa richiesta, però, gli Stati Uniti, almeno per ora, si oppongono fermamente: non vogliono farsi sfuggire un uomo chiave della guerra ibrida di Teheran.
Per questo, lunedì, a Palazzo San Macuto, con tutta probabilità, la politica italiana, unanimemente, si chiederà se è il caso di ripetere, esattamente quarant’anni dopo, una nuova operazione Sigonella.
Cosa significò Sigonella, quarant’anni fa
Ma cosa significa, nello specifico, evocare Sigonella? In pratica, andare al braccio di ferro diplomatico con l’alleato americano. Se l’Iran ha in mano Cecilia Sala, significa che ha il coltello dalla parte del manico ed è giusto che l’Italia esegua quello che chiede Teheran per rilasciarla: la liberazione di Abedini.
Ecco il punto: bisogna far capire agli Stati Uniti che, evidentemente, l’arresto dell’ingegnere dei droni iraniani è una vittoria di Pirro: non ci si può arrivare sacrificando la vita di una giornalista di 29 anni. Come dire: è giusto tenere in cella Abedini, ma non così. Non a questo prezzo.
Ora, però: chi si assumerà la responsabilità di convincere l’alleato americano della giustezza di questa posizione? E soprattutto: con chi bisogna davvero parlare a Washington? La nuova amministrazione Trump si insedierà alla Casa Bianca solamente il 20 gennaio: ma si può attendere ancora tanti giorni viste le condizioni inumane nelle quali deve sopravvivere Cecilia Sala nel famigerato carcere di Evin?
Nel 1985, all’epoca dello scontro di Sigonella, si mossero tre big della politica italiana. Innanzitutto Bettino Craxi, all’epoca presidente del Consiglio; Giulio Andreotti, ministro degli Esteri; e Giovanni Spadolini, ministro della Difesa. Ma, a costo di un braccio di ferro e di una crisi diplomatica (e militare) con gli Usa senza precedenti, l’Italia ebbe la meglio sull’amministrazione Reagan sulla sorte dei dirottatori dell’Achille Lauro.
Sigonella-story
Tutto ebbe inizio nell’ottobre del 1985, quando la nave da crociera italiana “Achille Lauro” fu dirottata da un gruppo di terroristi palestinesi. Il dirottamento culminò con l’assassinio di un passeggero statunitense. La crisi di Sigonella ebbe quindi luogo quando i dirottatori, dopo aver abbandonato la nave e preso un aereo in direzione Tunisia, furono intercettati dagli Stati Uniti e costretti ad atterrare nella base aerea Nato di Sigonella, appunto: in Sicilia.
Gli Stati Uniti volevano catturarli e processarli. Ma l’Italia, che tanto si era data da fare attivando ogni suo canale diplomatico per evitare una strage sulla nave e aveva garantito il lasciapassare degli estremisti – erano gli anni della politica da giro di valzer della Farnesina, in quanto, pur all’interno del sistema Nato, avevamo un rapporto privilegiato con i Paesi arabi – si rifiutò di consegnarli agli americani nel nome della tutela della propria sovranità territoriale.
Si vissero dei momenti ad altissima tensione per questo risultato. Si sfiorò addirittura il conflitto a fuoco, con l’aereo con i terroristi palestinesi, a un certo punto, avvolto da tre cerchi: il primo dei carabinieri; il secondo degli americani che erano sopraggiunti poco dopo l’atterraggio e che presero i militari italiani alle spalle; e il terzo ancora di altri carabinieri che, a loro volta, presero gli americani alle spalle. Lo storico Federico Romero, per Laterza, su YouTube, l’ha raccontato così
Come dice Romero, quella crisi fece sì che in Italia, cosa più unica che rara, si sviluppasse un moto di orgoglio per il proprio Governo: come si dice ora, aveva saputo sbattere i pugni, aveva saputo farsi rispettare in ambito internazionale.
Proprio quello che ora è auspicabile con Giorgia Meloni, cui, del resto, brillano gli occhi solo a citare il patriottismo e il sovranismo e a dire “prima gli italiani”.
Il ministro Nordio ha il potere di liberare Abedini. Il codice prevede che la revoca della misura cautelare a fini estradizionali è sempre disposta se il ministro ne fa richiesta. E l’appiglio legale sarebbe questo: Abedini ha lavorato per i pasdaran che sono catalogati come terroristi in Usa, Canada e Svezia, ma non nell’Unione Europea e in ambito Onu.
Come dire: una nuova Sigonella, nel nome di Cecilia Sala, oltre che auspicabile, è possibile.