L'articolo 82 della Costituzione dice: "Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.A tale scopo nomina fra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione d'inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria".
Non è così. Di fronte ad un provvedimento di perquisizione e sequestro disposto da una commissione parlamentare d'inchiesta non c'è un "rimedio", cioè non esiste un organo a cui appellarsi come, invece, avviene di fronte a un provvedimento dell'autorità giudiziaria. In pratica la commissione parlamentare agisce da pubblico ministero, gup e giudice di appello.
Nei giorni scorsi i lettori più attenti di giornali e siti internet hanno potuto leggere che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato lo Stato italiano per le perquisizioni e il sequestro di documenti ad opera della Commissione parlamentare d'inchiesta Antimafia avvenuti il primo marzo del 2017 nella sede del Grande Oriente d'Italia. La Cedu ha affermato che la misura "non era conforme alla legge né necessaria in una società democratica".
E nelle 40 pagine della sentenza è sottolineato che la "nozione di autonomia parlamentare non è illimitata ma dovrebbe essere compatibile con i concetti di democrazia politica effettiva e stato di diritto a cui fa riferimento il Preambolo della Convenzione dei diritti dell'uomo". E aggiunge che "una qualche forma di controllo ex ante o ex post di una misura da parte di un'autorità imparziale con sufficiente grado di indipendenza dall'autorità che ha ordinato la misura è una garanzia essenziale contro l'ingerenza arbitraria dei poteri pubblici nei diritti tutelati dall'articolo 8". La Cedu fa emergere un problema costituzionale. A chi ci si rivolge, in Italia, contro le ingerenze arbitrarie? Non c'è un giudice prima di Strasburgo.