La recente detenzione della giornalista italiana Cecilia Sala in Iran sta sollevando interrogativi e preoccupazioni a livello internazionale. Amnesty International, attraverso la voce di Tina Marinari, ha evidenziato le gravi implicazioni di questa vicenda, richiamando l’attenzione sulle condizioni dei diritti umani nel Paese. Marinari, coordinatrice delle campagne per Amnesty Italia, è intervenuta ai microfoni della trasmissione “Greenwich”, su Radio Cusano campus.
Le accuse vaghe contro Cecilia Sala
Secondo quanto riferito, Sala sarebbe accusata di aver violato le leggi islamiche. Tuttavia, le specifiche di tali accuse rimangono nebulose. Tina Marinari spiega:
“Questa è la notizia che circola, ma non è ancora stato chiarito cosa significhi. Potrebbe essere perché è andata in giro con una ciocca di capelli fuori dal velo o perché potrebbe non aver avuto un corretto comportamento islamico, ma è un’accusa troppo vaga. Bisogna cercare di capire il prima possibile cosa intendono: quali sono queste presunte violazioni della legge islamica?”.
L’incertezza su tali accuse alimenta l’angoscia, sia per la famiglia della giornalista che per la comunità internazionale. Questo caso mette in evidenza l’opacità del sistema giudiziario iraniano, spesso utilizzato per reprimere giornalisti, attivisti e chiunque osi sfidare le norme restrittive del regime.
La preoccupazione per il carcere di Evin e le torture bianche
Cecilia Sala è detenuta nel carcere di Evin, tristemente noto come uno dei peggiori centri di detenzione in Iran. Le condizioni disumane sono state più volte denunciate da ex detenuti e organizzazioni per i diritti umani. Marinari descrive con toni accorati l’ambiente in cui Sala è costretta a vivere:
“Essere in isolamento in una cella dove la luce non viene mai spenta non è facile da sopportare. Questo è uno degli esempi di tortura bianca, come ha raccontato la premio Nobel per la pace Narges Mohammadi. Le torture bianche non lasciano segni sul corpo, ma lasciano qualcosa che ti turba nella testa, nel tuo equilibrio quotidiano.”
A peggiorare il quadro, i detenuti di Evin sono esposti a un clima di terrore psicologico: le urla delle torture inflitte agli altri prigionieri spesso si mescolano con la musica diffusa nei corridoi, creando un’atmosfera di angoscia costante. “Questo può essere ancora peggio,” aggiunge Marinari, “perché sai che qualcosa sta succedendo, ma non puoi fare nulla.”
Il ruolo della comunità internazionale
Amnesty International sottolinea l’importanza di mantenere alta l’attenzione su questo caso, evitando che la detenzione di Cecilia Sala cada nel silenzio. Marinari richiama il tragico esempio di Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano che ha insegnato in Italia e che è stato condannato a morte nonostante il silenzio della sua famiglia:
“Dobbiamo mantenere le luci puntate: non possiamo far passare il concetto che possano avvenire scambi illegali in cui si calpestano i diritti fondamentali dell’uomo.”
La detenzione di Sala non è solo un problema personale o nazionale, ma un simbolo della continua lotta per il rispetto dei diritti umani in Iran. Amnesty ribadisce che il giornalismo non è un crimine e che è essenziale garantire il rilascio immediato di Sala.
Un inferno psicologico
Marinari offre un quadro vivido di ciò che significhi essere imprigionati in Iran oggi. La luce accesa 24 ore su 24, la mancanza di contatti umani, l’impossibilità di leggere un libro o di avere un’ora d’aria: tutto questo si somma alla pressione psicologica delle minacce ai familiari e alle confessioni forzate.
“Stare in compagnia in qualche modo vuol dire trovare una leva per andare avanti e non impazzire. Ma quando sei costretto all’isolamento, in un luogo dove senti le urla e le minacce, diventa un inferno in terra“, afferma Marinari.
Un appello urgente
La vicenda di Cecilia Sala deve diventare un punto focale per la comunità internazionale, non solo per garantire il suo rilascio, ma anche per mettere sotto pressione il regime iraniano riguardo alle condizioni carcerarie e al rispetto dei diritti umani. Amnesty International continuerà a mobilitare l’opinione pubblica e a chiedere azioni concrete da parte dei governi.
Cecilia Sala non è sola: la sua lotta è la lotta di tutti coloro che credono nella libertà di stampa e nei diritti fondamentali dell’uomo.