Non si danno per vinte. Lottano e resistono. Sono le coraggiose sarte de La Perla, lo storico e prestigioso marchio di indumenti intimi simbolo del Made in Italy, che da anni combattono per proteggere il posto di lavoro. Cucire, creare, curare minuziosamente i dettagli: amano la loro arte e non intendono lasciarla andare. Per decenni La Perla ha fatto rima con qualità, eleganza, unicità. Quell’estro tipico italiano, caratterizzato da rifiniture e finezza, che ha fatto innamorare il mondo. Lo storico brand di lingerie, costumi e accessori di lusso, nato a Bologna nel 1954 dall’abilità e maestria della sarta Ada Masotti, da anni vive traversie economiche e societarie che travolgono anche le lavoratrici. Oggi sono tutte in cassa integrazione. Alcune di loro, un nutrito gruppo, animate dalle migliori intenzioni e con la voglia di non stare con le mani in mano, hanno dato vita a “Unicheunite”, un’associazione che aiuta chi si trova in difficoltà. Si mettono al servizio degli altri facendo quello che gli riesce meglio: cucire. Creano collezioni con materiali donati o di scarti che vendono per poi donare i soldi ricavati a diverse realtà. Una storia di tenacia e costanza che Elena Castano, una delle “perline”, racconta in esclusiva a Tag24.it.

“Unicheunite”, associazione solidale delle lavoratrici de La Perla

Elena Castano è una modellista, lavora per La Perla da quando ha vent’anni. Nonostante lo “stop forzato” non ha perso la passione per la sua professione. E’ una delle ideatrici di “Unicheunite” e con fierezza spiega la bontà del progetto: “Siamo tutte donne, il gruppo è formato da 24 persone. Alla fine quelle operative, quelle che non mancano mai, sono dalle 15 alle 17. Tutto è cominciato lo scorso anno quando siamo rimaste senza lavoro. Abbiamo iniziato a produrre magliette il cui motivo decorativo è caratterizzato da bamboline che si tengono per mano. Rappresentano noi donne lavoratrici, unite nel portare avanti nella battaglia in cui crediamo. “. Pochi pezzi, venduti inizialmente sui banchetti.

Poi la richiesta sempre più alta di t-shirt. “Tutti le volevano – continua Elena – così abbiamo continuato a produrle e ci siamo organizzate sempre meglio. Prima nella casa dei genitori di una collega, poi in un appartamento messo a disposizione dalla parrocchia di Villanova di Castenaso, in provincia di Bologna. Oggi l’attività avviene in un ufficio che ci ha dato in comodato d’uso Alberto Masotti, il figlio della fondatrice Ada, a Ozzano dell’Emilia. E’ un posto bellissimo. Paghiamo solo le utenze. Abbiamo venduto tantissime magliette e con il ricavato abbiamo aiutato per prima cosa alcune nostre colleghe che erano in grande difficoltà. Da ottobre 2023 siamo rimaste senza stipendio e la cassa integrazione hanno iniziato a erogarla ad aprile 2024. Alcune lavoratrici si sono trovate in condizioni di povertà, non avevano i soldi nemmeno per comprare da mangiare. C’è chi è monoreddito con un mutuo da pagare”.

Elena Castano: “Doniamo tutto il ricavato della vendita delle magliette”

Poi il raggio d’azione si è allargato e con i proventi delle magliette vendute “Unicheunite” ha donato cifre generose alle cause più disparate. Dall’Anpi alle magliette donate alla Komen Italia, associazione In prima linea nella lotta ai tumori del seno, alla ricostruzione post alluvione. “L’ultima donazione è stata per Casa Cervi – spiega la lavoratrice La Perla – un museo in provincia di Reggio Emilia simbolo della lotta al fascismo, che ha subito il furto dell’incasso della giornata del 25 aprile“. L‘attività delle “perline” è a scopo benefico, tutto quello che raccolgono con la vendita delle loro creazioni viene devoluto: “Non teniamo niente per noi, lo facciamo proprio con il principio del volontariato”, precisa con orgoglio Elena Castano.

L’evoluzione di “Unicheunite”, l’attenzione la collaborazione con il commercio equo e solidale

“Questa evoluzione è importante – ci tiene a dire Elena – perché abbiamo voluto tenere fede ai nostri principi. All’inizio compravamo le magliette su siti online e cercavamo quelle che costavamo di meno. Poi ci siamo dette: ‘Noi stiamo lottando per i nostri diritti e non ci preoccupiamo dei diritti dei lavoratori che producono queste magliette che non sappiamo da dove provengono?’. Così abbiamo iniziato una collaborazione con Alta Qualità che è un’azienda che si rifornisce da aziende sparse nel mondo che garantiscono una filiera certificata che garantisce la tutela dei diritti dei lavoratori. Ora stiamo spaziando e oltre alle magliette, che restano il nostro cavallo di battaglia, creiamo ad esempio porta cellulari e shopper”.  

La Perla, dal successo alla crisi. La storia dell’azienda bolognese

La Perla nasce dal genio di Ada Masotti che trasforma pian piano il piccolo laboratori di corsetteria di Bologna in una grande azienda di fama internazionale, grazie anche all’apertura di negozi in varie nazioni. Il suo nome è legato all’eleganza, ai tessuti prestigiosi, al lusso, alla moda elitaria. Lo sviluppo si interrompe nel 2008 quando la famiglia Masotti – l’azienda nel frattempo è passata in mano al figlio Alberto che negli anni 60 estese la produzione anche ai costumi – a causa della forte crisi finanziaria che ha investito l’Italia decide di vendere. Da allora la società passa di proprietà in proprietà.

  • Prima il fondo americano,
  • poi il ritorno in mani italiani con l’imprenditore Silvio Scaglia (fondatore di Fatweb)
  • e infine, nel 2018, il passaggio al fondo anglo-olandese, Tennor.

Ad oggi La Perla è in parte in amministrazione straordinaria – la Manufacturing con sede a Bologna – e in parte in liquidazione – la Global Management UK limited, con sede a Londra. “Io faccio parte della Manufacturing. Ci tengo a dire che La Perla esiste ancora, soprattutto nei nostri cuori, e noi non siamo ex dipendenti. Lottiamo per salvare l’azienda e il nostro posto di lavoro”, afferma Elena Castano.

Elena Castano: “La nostra lotta per salvare l’azienda e il lavoro”

“Ad oggi siamo tra i 220-230 dipendenti, numero più numero meno. Non molliamo. La nostra iniziativa ci tiene con il morale alto e vicine alla nostra arte. Vogliamo salvare l’azienda e il nostro lavoro. Ci piacerebbe che la società fosse acquistata da un imprenditore con dei sani principi morali e che La Perla tornasse com’era una volta. Forse è utopia. Fremiamo dalla voglia di tornare a lavorare”. E l’associazione “Unicheunite” che fine farà? “Vogliamo portarla avanti comunque, perché crediamo in quello che facciamo. Stiamo organizzando un convegno sul fast fashion, sull’acquisto scellerato di capi d’abbigliamento di pessima qualità provenienti da paesi poveri con ripercussioni sull’ambiente e sulla salute”.

Il 24 gennaio 2025 al Mimit è previsto un nuovo tavolo di confronto. “Siamo in attesa di conoscere il protocollo che consente di la vendita de La Perla. Sappiamo che ci sono 12 interessamenti”, conclude Elena Castano.