Quindicesimo lungometraggio di finzione per il regista italo-turco Ferzan Ozpetek che lo scorso 19 dicembre ha presentato nelle sale italiane “Diamanti”. Un’opera corale, tutta al femminile, con un cast d’eccezione composto da ben 18 attrici italiane.
“Diamanti”, recensione
Due splendidi occhi luminosi, pieni di malinconia, guardano distrattamente verso l’alto; mezzo volto femminile, dipinto su di un muro bianco che costeggia un vicolo silenzioso, fa divampare una luce prepotentemente bella e calda, rendendo affascinante, ma al contempo triste, una strada che altrimenti sarebbe uguale a tante altre. E proprio in quella via c’è una villa, circondata da un meraviglioso piccolo giardino, dove tutti i giorni avviene un’autentica magia: un gruppo di donne unito, annodato come un groviglio di nervi tesi, crea degli abiti incantevoli. In quel gineceo, dove gli uomini sembrano non essere ammessi, benché ogni tanto gli si conceda di entrare silenziosamente in punta di piedi, c’è una sartoria che confeziona costumi di scena per il cinema e per il teatro. Fondata dalle sorelle Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca) Canova, nonostante siano le uniche proprietarie, non pare davvero appartenere soltanto a entrambe, ma anche a tutte le sarte che strenuamente cuciono quasi senza sosta, dalla mattina a la sera, in ogni nuovo giorno che la vita gli dona. Nina (Paola Minaccioni), Fausta (Geppi Cucciari), Paolina (Anna Ferzetti), Eleonora (Lunetta Savino), Nicoletta (Milena Mancini), ma anche Carlotta (Nicole Grimaudo), che tinge le stoffe, e la cuoca Silvana (Mara Venier), che è un po’ la mamma di tutte. Ciascuna coi propri drammi, coi propri caratteri, ognuna con un temperamento forte, marcato, alle prese coi problemi che solo un uomo sa crearti, nel momento esatto in cui poggiano il primo piede sullo scalino per entrare in sartoria sembrano abbandonare qualunque turbamento, per divenire uno strumento al servizio del lavoro di squadra. Fra quelle mura bellissime è come se le donne smarrissero improvvisamente il dolore, sentendosi sicure, al riparo da ogni pericolo.
Siamo a Roma, negli agitati anni ’70: quelli della ribellione, delle manifestazioni in piazza, delle rivolte popolari per rivendicare i propri diritti, gli stessi grazie ai quali col femminismo le donne smettono finalmente di vivere a testa bassa, cercando con vigorosa testardaggine di affermare la propria individualità al pari degli uomini. Ma sono anche gli anni neri dell’eroina, delle Brigate Rosse, del rapimento di Aldo Moro, della crescita sempre più rigogliosa del cinema che si scontra, come due lottatori che combattono corpo a corpo, col teatro. È in questo contesto che Alberta e Gabriella portano avanti, con inarrestabile orgoglio, un’attività tutta loro con grande dignità, impegnandosi affinché né loro, né le loro impiegate, vengano scacciate dalla concorrenza. Ma tra di loro c’è un grande muro invisibile che le separa, impedendogli di avvicinarsi quel tanto che basta per mostrarsi un po’ di umano conforto. Pochi anni prima una disgrazia, che ora nessuna delle due osa parlarne ad alta voce, si è abbattuta sulle loro esistenze portando con sé una disperazione grave e opprimente, dolorosa come una coltellata dritta alla gola, che ha cambiato per sempre le coscienze di entrambe.
“Diamanti”, critica
Che cosa accade quando uno spettacolare regista come Ferzan Ozpetek decide di girare un film che ricorda, senza volerlo, l’imbarazzante capitolo della tv italiana chiamato “Il Bello delle Donne”? Che ne viene fuori una gradevolissima opera. Sono certa che a Ozpetek quando ha cominciato a scrivere la sceneggiatura di “Diamanti”, insieme a Carlotta Corradi ed Elisa Casseri, tutto gli sia passato per la mente meno che quella scadente fiction che rappresenta un po’ il tracollo della televisione nostrana. Lui stesso ha dichiarato in più interviste di essersi ispirato al periodo in cui, da ragazzo, ha iniziato a lavorare come aiuto regista, frequentando prestigiose sartorie che confezionavano abiti di scena. Eppure la trama prende vita più o meno alla stessa maniera: due donne portano avanti un’attività femminile con un solo impiegato maschio. Un piccolo microcosmo quasi interamente di sole donne, ognuna coi propri drammi che si sviluppano al di fuori del contesto lavorativo. Tant’è che ben tre attrici sono presenti in entrambi i cast: Loredana Cannata, Lunetta Savino e Nicole Grimaudo. Ma se dobbiamo parlare di qualità, ovviamente, non c’è neanche l’ombra lontana di un possibile paragone.
Partiamo dal punto più alto che rende questa pellicola un piccolo gioiello: la recitazione. Senza un livello recitativo così alto, l’intero lungometraggio si sarebbe ridotto a un fumettone scadente, che con grande facilità avrebbe perso il focus centrale a più riprese. Fotografia, scenografia e costumi completano il quadro, rendendolo sublime. Le luci morbide, dolci, e i colori marcati della fotografia di Gian Filippo Corticelli sono un’esaltante esperienza visiva. Gli arredi, stupendi, ricordano alla perfezione gli anni ’70. Trucco, acconciature e abiti mettono in risalto l’estetica di ogni personaggio. Del resto Ozpetek, si sa, ha sempre amato il cinema corale e qui, come d’incanto, simile a una fata madrina con la sua bacchetta, dirige con maestria l’intero cast, regalandoci un lungometraggio dalle interpretazioni commoventi. Una delle poche note stonate che ho poco apprezzato sono le scene in cui i personaggi di Fausta e Nina, rispettivamente interpretate da Geppi Cucciari e Paola Minaccioni, scimmiottano i comportamenti maschili facendo dei commenti “proverecci” fuori luogo a dei ragazzi più giovani. Per quanto alcune battute le ho trovate divertenti, ci lamentiamo spesso del cat calling e delle molestie maschili; non vedo perché, se a farlo sono le donne, dovremmo ritenerlo più accettabile. Un altro momento abbastanza sopra le righe e del tutto superfluo è la comparsata finale di Elena Sofia Ricci, che avrei tagliato. Per concludere, a distanza di 19 anni dalla canzone “Gocce di memoria” scritta per “La Finestra di Fronte”, la cantante Giorgia e il regista ritornano a collaborare col brano “Diamanti”, tema dell’omonimo film. Dedicato inoltre alle dive, ormai scomparse, Mariangela Melato, Virna Lisi e Monica Vitti, a “Diamanti” assegno tre virgola otto stelle su cinque.