Mentre i nuovi leader siriani consolidano il controllo del territorio e cercano di unificare le fazioni ribelli sotto l’egida del ministero della difesa del paese, sottratto all’ex presidente Bashar al-Assad, resta incerto il futuro degli alleati curdi degli Stati Uniti in Siria. Lo stesso vale per i campi e le prigioni da loro gestiti (al-Hol e Roj), dove si trovano migliaia di familiari di membri dello Stato islamico (Isis) e sospetti combattenti.

Futuro incerto per le SDF

Le Forze Democratiche Siriane (SDF), una coalizione di milizie curde sostenuta dagli Stati Uniti, operano nella Siria nord-orientale ma sono sotto pressione da parte delle milizie arabe appoggiate dalla Turchia. Il rapporto tra le SDF e il nuovo governo siriano, ora guidato da Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo ribelle islamista che ha guidato l’allontanamento di Assad, rimane incerto.

Le SDF, da tempo in prima linea contro l’Isis, ora affrontano la sfida di un nemico che si riorganizza. Intanto, i campi sotto il loro controllo rappresentano veri e propri centri di detenzione all’aperto. La popolazione di questi luoghi è cresciuta enormemente dopo il crollo del califfato nel 2019, ma molte delle persone detenute non sono mai state accusate formalmente di crimini, sollevando serie questioni umanitarie.

Secondo Amnesty International, a dicembre 2023 circa 47.000 persone erano detenute nei campi di al-Hol e Roj, con una netta prevalenza di donne e bambini, spesso non siriani. La Global Coalition ha riportato che, a novembre, nel campo di al-Hol si trovavano 39.904 persone, un numero in calo grazie ai rimpatri.

Il processo di rimpatrio, però, è ostacolato dalla riluttanza di molti paesi occidentali a riprendere i propri cittadini, alcuni dei quali sono stati persino privati della cittadinanza, diventando apolidi. L’Iraq, al contrario, si è impegnato nel rimpatrio dei propri cittadini.

Gestiti dalle SDF con il supporto militare e logistico degli Stati Uniti, questi campi rappresentano un nodo critico.

Il ruolo degli USA

Il Pentagono ha dichiarato che circa 2.000 soldati americani sono presenti in Siria per contenere le attività dello Stato islamico, che continua a rappresentare una minaccia.

La Turchia, che considera le SDF legate al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), vede queste milizie come una minaccia diretta, intensificando le tensioni. Le mutevoli alleanze in Siria, dopo la caduta del regime di Assad, hanno reso ancora più complicata la situazione, con attacchi crescenti da parte dell’Esercito Nazionale Siriano, sostenuto dalla Turchia.

Le SDF, costrette a ritirarsi da Manbij come parte di un accordo mediato dagli Stati Uniti, ora rischiano di perdere il controllo su altre aree strategiche. Intanto, i senatori statunitensi Van Hollen e Graham hanno minacciato sanzioni contro la Turchia se non verrà concordato un cessate il fuoco e una zona demilitarizzata.

Sinam Mohamad, rappresentante politico delle SDF negli Stati Uniti, ha avvertito che l’intensificarsi degli scontri potrebbe costringere le SDF a ridurre gli sforzi per custodire i detenuti dello Stato islamico.

La minaccia Isis

La vulnerabilità attuale potrebbe dare nuova linfa a cellule dormienti dell’Isis, minacciando anni di lavoro per la stabilizzazione della regione.

“La minaccia è regionale”, ha dichiarato Mohamad. “Se tutto ciò che è stato fatto finora con gli Stati Uniti e la coalizione globale dovesse svanire, le conseguenze sarebbero disastrose”.

Molto dipenderà anche da come intenderà muoversi il nuovo governo siriano. Il leader Ahmed Hussein al-Sharaa (ex Al Jolani) si presenta ora come islamista moderato, ma in passato è stato un sostenitore dello Stato Islamico prima e in seguito di Al Qaeda. L’atteggiamento nei confronti dei militanti dell’Isis in Siria sarà la prova del nove per capire se il suo è un cambiamento reale o soltanto di facciata.