Trump in un discorso a Phoenix, in Arizona, ha rilanciato il suo piano per mettere fine alla guerra in Ucraina. “Putin ha detto che vuole incontrarmi il prima possibile”, ha affermato il tycoon. Peccato però che sia stato immediatamente smentito.

Il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov, ha infatti dichiarato che finora “non ci sono dettagli o prerequisiti per un possibile incontro tra Putin e Trump a gennaio 2025”.

Il piano di Trump non piace a Putin

Il piano del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, per mettere fine alla guerra in Ucraina è ancora in fase di definizione, ma ha già destato preoccupazioni in Russia.

Due punti principali del piano sarebbero alla base del malcontento di Putin: l’enfasi sulla linea di demarcazione e la garanzia che l’Ucraina non sarà disarmata.

Putin infatti sarebbe disposto a cessare il fuoco solo se l’Ucraina rinunciasse ad aderire alla NATO e cedesse alla Russia i territori di Zaporizhia, Kherson e Donetsk, con il riconoscimento degli Stati Uniti di queste aree come parte del territorio russo. Una simile richiesta appare al momento irrealizzabile.

Stando a quanto riportato da Reuters, Trump avrebbe sul tavolo tre principali strategie per mettere fine al conflitto. Queste includono i piani presentati dall’inviato speciale per l’Ucraina e la Russia, Keith Kellogg, dal vicepresidente eletto JD Vance e dall’ex direttore ad interim dell’intelligence, Richard Grenell. Ciascuno di questi approcci, in modo diverso, prevede di stabilire un congelamento del conflitto lungo l’attuale linea di demarcazione.

2025, l’anno della svolta?

Al di là della retorica propagandistica e delle accuse a Putin di essere un dittatore sanguinario, appare chiaro come l’approccio generale dell’Occidente nei confronti del Cremlino sia mutato. Il cosiddetto “piano della vittoria” — che mirava a una riconquista totale dei territori occupati dalla Russia dal 2014, inclusi Crimea e Donbass — è stato gradualmente accantonato. Kiev ora punta alla “pace giusta”, uno slogan già ribadito nei mesi scorsi.

Anche tra gli alleati europei, dietro le dichiarazioni ufficiali di supporto all’Ucraina, l’attenzione si sta spostando dalla sconfitta della Russia a una possibile “exit strategy”, da concordare con la nuova amministrazione statunitense.

Negli ultimi mesi, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha alternato aperture e chiusure diplomatiche, in linea con l’evoluzione del conflitto, che però ha registrato sviluppi sfavorevoli per l’Ucraina. Due fattori principali hanno contribuito a questa situazione: da un lato, il supporto militare occidentale insufficiente rispetto alle richieste di Kiev; dall’altro, errori strategici, come l’incursione nella regione russa di Kursk, che inizialmente aveva alimentato ottimismo, ma si è rivelata un fallimento, indebolendo il fronte ucraino nel Donbass. Qui, le forze russe hanno rapidamente conquistato terreno, aggravando una situazione già critica.

Senza un maggiore sostegno militare e una mobilitazione più ampia — compresa l’estensione della coscrizione ai diciottenni — il futuro per Kiev appare sempre più incerto.

Lo scenario più realistico

Neanche un incremento del supporto occidentale o delle forze sul campo garantirebbe all’Ucraina la possibilità di invertire le sorti della guerra. Sebbene ciò potrebbe prolungare la difesa, risulta improbabile che consenta un contrattacco decisivo.

Alla luce della posizione espressa da Donald Trump, lo scenario più realistico sembra essere un avvio di dialoghi tra Washington e Mosca per delineare i termini di un possibile accordo. Questo cambio di rotta da parte di Kiev, che ha abbandonato il rilancio del “piano della vittoria” subito dopo l’elezione del tycoon, riflette la necessità di adattarsi al nuovo contesto internazionale.

Resta da vedere quali saranno le reali mosse del nuovo presidente statunitense, se emergeranno le condizioni per un’intesa che avvii almeno un cessate il fuoco, e quale sarà la posizione del Cremlino. Le richieste di Putin sono note, ma i margini per negoziare sono ancora incerti.

Al momento, Zelensky non può fare altro che attendere i primi passi di Washington e Mosca, ai quali sarà inevitabilmente costretto ad adattarsi. Lo stesso vale per l’Unione Europea, che finora ha seguito la linea dettata dagli Stati Uniti. Tuttavia, l’unità auspicata dal presidente ucraino si scontra con divisioni interne: da un lato, Paesi come il Regno Unito, i Baltici e la Polonia mantengono una posizione dura contro la Russia; dall’altro, nazioni come la Germania spingono per soluzioni diplomatiche.

Berlino, Parigi e altre capitali europee hanno risentito pesantemente delle conseguenze economiche e politiche del conflitto, e un suo prolungamento non farebbe altro che accentuare tali difficoltà. Il rischio per l’Ucraina è di essere spinta verso un compromesso al ribasso nel caso in cui, nel 2025, si aprisse davvero uno spiraglio per negoziati.