Nel 2025 saranno cinquant’anni dalla pubblicazione di “Piange il telefono”, uno dei singoli di maggior successo di Domenico Modugno. E chissà se, mezzo secolo più tardi, il cantautore di Polignano a Mare ne farebbe una versione dedicata ai politici. Gli spunti non gli mancherebbero. Anche perché, nel frattempo, le nuove tecnologie hanno moltiplicato le occasioni di ridurre le persone ai singhiozzi dall’altro capo della cornetta, ormai solo metaforica.
In questi giorni, ad esempio, nel pieno delle festività di fine anno: a chi non è capitato di ricevere un messaggio WhatsApp del politico di turno, del consigliere comunale, del parlamentare di zona, che spamma il suo (rigorosamente indistinto) “Tanti auguri a te e famiglia”?
È solo l’ultima pratica che rende il telefono uno strumento pericoloso per chi fa politica. Per questo, che qualcuno, l’altro giorno in Senato, si sia dimenticato di spegnerlo, ‘sto telefono, come ha detto in napoletano il Maestro Riccardo Muti al termine del concerto di Natale, non appare affatto nè una novità nè cosa sorprendente.
I politici al telefono, la bacchettata del Maestro Muti
E allora: Riccardo Muti, il Maestro Riccardo Muti, non ha un carattere facile. Tutt’altro: soprattutto ora che ha una certa età (a luglio ha compiuto 83 anni) non si lascia sfuggire occasione per dare bacchettate anche quando non è sul podio. A giugno scorso, ad esempio, all’arena di Verona, rivolgendosi al sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, prima tenne a precisare di non essere fascista. E poi raccontò di avere un sogno, visto che “le autorità spesso vengono ad ascoltare, poi non si vedono più”. Così, diede il la al pianista affinché introducesse il Va’ pensiero di Verdi e, rivolgendosi al loggione d’onore, laddove si siedono i politici, si mise ad intonare un “Vaaaffaaa…”.
E quindi: c’era da aspettarselo che Muti al Senato non avrebbe fatto sconti per chi avesse lasciato la suoneria incautamente non silenziata. Le cronache raccontano che il patatrac è accaduto durante la sinfonia “Roma” di Bizet. Nonostante le note degli orchestrali, Muti sente squillare un telefono. Il suo volto cambia in un istante. Diventa rabbioso. Ma tira dritto. Finisce il concerto di Natale, che bisogna essere più buoni. Ma al termine, mentre rivolge i suoi auguri alla platea (presenti il presidente Mattarella e quelli di Camera e Senato Fontana e La Russa), ne squilla un altro. E allora non ce l’ha fatta a trattenersi:
“E stutatelo ‘sto telefono!”
Anche se il Maestro poi ha aggiunto che “quando l’ho sentito prima, ho guardato bene la partitura. Ma non c’era alcuna nota che mi era sfuggita…”
Il Corriere ha immortalato il momento sui suoi social
Politici al telefono, linee roventi dai tempi di JFK
E comunque: sembra facile interrompere le conversazioni, staccare, silenziare, quantomeno. Ma spesso i politici non possono fare a meno dei telefoni. Anzi, sempre più spesso, si viene a sapere che utilizzano varie schede Sim: una per la famiglia, una per i collaboratori, un’altra per i colleghi, un’altra ancora per il resto del mondo.
Partendo dall’alto: Trump ha appena detto che vuole chiamare Putin per far cessare la guerra in Ucraina. Il che ha portato alla mente la mitica linea rossa che dal 1963, dai giorni della crisi dei missili di Cuba, collega direttamente la Casa Bianca, Washington, e il Cremlino, Mosca.
Il nuovo, per l’epoca, sistema di telecomunicazione tra le due capitali fu voluto per evitare incomprensioni. Il 30 agosto 1963, la Casa Bianca diffuse una nota con la quale spiegò che la linea telefonica diretta avrebbe “contribuito a ridurre il rischio di una guerra per incidente o errore di calcolo”. Insomma, al posto dei telegrammi, in caso di emergenze, meglio dirsi le cose a voce utilizzando una linea riservata, attiva 24 ore al giorno, sette giorni a settimana. E, fortunatamente, dai tempi di JFK, il red telephone ha funzionato. Anche per il Hollywood, che ci ha fatto dei film indimenticabili, come Thirteen Days: andò nelle sale nel 2000 con Kevin Kostner
Lo scherzo telefonico subito da Giorgia Meloni
E comunque, rimanendo ai russi: Putin vuole che si sappia che non ha un telefono. Ma i russi, alzando la cornetta, ci fanno parecchie cosette, anche quando poi dicono che è uno scherzo.
Il 18 settembre 2023, due comici (in realtà non si sa quanto comici e quanto possibili collaboratori dei servizi) di Mosca, Vivan e Lexsus, riuscirono a beffare i centralinisti di Palazzo Chigi e lo staff di Giorgia Meloni spacciandosi per il presidente della Commissione dell’Unione Africana. I due volevano informazioni attorno alle operazioni in Ucraina e all’accordo sul grano che in quei giorni era all’attenzione delle cancellerie di mezzo mondo. L’audio fu diffuso un paio di mesi più tardi. Al che, Palazzo Chigi fu costretto a una nota:
“L’Ufficio del Consigliere diplomatico della presidente del Consiglio dei Ministri si rammarica per essere stato tratto in inganno da un impostore che si è spacciato per il Presidente della Commissione dell’Unione Africana e che è stato messo in contatto telefonico con la presidente Giorgia Meloni…”
Prima di lei, i due simpaticoni di Mosca avevano messo nel mirino il premier spagnolo Pedro Sanchez, il ministro degli Esteri danese Lars Lokke Rasmussen e l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger. Evidentemente, la guerra ibrida contro l’Occidente di Putin passa anche attraverso il telefono.
Da Andreotti a Cossiga, la Dc al telefono
Così, è meglio ricordare episodi del passato che, almeno con gli occhi (e le orecchie) di oggi, suonano molto meno inquietanti. Impossibile non ricordare (o immaginare?) Giulio Andreotti al telefono se non (anche) per rispondere a Franco Evangelisti, uno dei suoi che è passato alla storia per chiedergli continuamente dei favori. Anziché con il canonico “Pronto”, quando glielo passavano, si narra che il Divo avesse preso a chiedergli direttamente “‘A Fra’, che te serve?“
È accertato, invece, il fatto che l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga avesse una vera e propria mania per la tecnologia. Iniziò a coltivarla dopo un incidente, da giovane, approfittando del fatto che fu costretto per un periodo a letto e si annoiava: divenne un radioamatore. Poi, da ministro dell’Interno prima, quando il suo nome compariva sui muri delle città con la K, e da Capo dello Stato poi, divenne espertissimo di high tech tanto che si narra che al Quirinale avesse allestito una stanza appositamente per i suoi 20 computer e gli oltre 60 telefoni cellulari.
E insomma: non è un mistero che li utilizzasse molto. All’alba, anche. Una volta l’ex ministro Marco Minniti raccontò che era solito ricevere la telefonata di Cossiga alle cinque del mattino: il presidente, dall’altra parte del filo, era già pronto a commentare i giornali, ciò che era accaduto in Italia e nel mondo, e a picconare. Insomma: la telefonata mattutina non era corta.
Il numero di Michele Emiliano a diposizione del “popolo”
Facendo un balzo temporale più avanti: quando Michele Emiliano decise di lasciare la magistratura e iniziare la sua carriera politica non perdeva occasione di vantarsi del fatto che il suo numero di telefono era a disposizione di tutti. Il “popolo” poteva chiamarlo quando, come, e non appena lo volesse. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che sul suo profilo social, si rintracci ancora un post come questo del 2019
Questo è il mio numero di telefono 3358402227 attendo una chiamata per provare a risolvere la questione https://t.co/O4tPBDjCKP
— Michele Emiliano (@micheleemiliano) April 15, 2019
E insomma: Massimo Cacciari troverebbe da obiettare che “solo gli angeli parlano direttamente”. Ma il telefono, ai tempi della crisi della democrazia rappresentativa, è uno degli strumenti del miraggio populista che vuole solamente due soggetti: da una parte il capo, dall’altra il “popolo”.
Berlusconi che per una telefonata fece attendere la Merkel
E comunque il telefono a volte davvero fa incorrere davvero in brutte figure. Come nel 2009 capitò a Silvio Berlusconi che ricevette una telefonata poco prima di partecipare a una cerimonia per il sessantesimo anniversario della Nato.
Angela Merkel era lì, sulla sponda del Reno, ad accogliere i capi di Stato e di governo con tanto di tappeto rosso e cerimoniale da protocollo. Sennonché, quando arrivò il Cavaliere, quest’ultimo scese dall’auto ma, anziché andarla a salutare, le fece cenno di essere impegnato al cellulare. Poi, forse per evitare di farsi leggere il labiale, con una mano in tasca, si mise di spalle alla Cancelliera. Al che la Merkel sorrise. Poi iniziò a guardarsi attorno. Poi a mormorare qualcosa. Poi ad alzare le sopracciglia. Poi ad allargare le braccia. Poi ad accogliere un altro ospite. Il tutto mentre il Cavaliere era ancora lì a parlare al telefono. I fotografi e i cronisti cominciarono a non credere ai loro occhi: scatti e video che ancora oggi fanno la fortuna di YouTube (questo è del Tg di Sky)
Fino a quando la Merkel non si spazientì e, rivolgendo una battuta ai giornalisti, tornò dentro.
Più tardi, fonti governative italiane avrebbero fatto trapelare che il premier italiano sarebbe stato trattenuto al telefono dal collega turco, Recep Tayyip Erdoğan “per sbloccare la nomina del segretario generale della Nato”. E insomma: hai voglia di piangere al telefono…