Disney, DreamWorks, 20th Century Fox, Warner Bros. tutte case produttrici dei film d’animazione che hanno accompagnato l’infanzia di generazioni intere. Le collezioni dei Classici Disney negli scaffali in salotto oppure il costante rewatch di “Space Jam” durante il periodo natalizio fanno ormai parte di noi.
Anche quando pensiamo di sapere ogni storia, pure dopo aver rivisto ogni film centinaia e centinaia di volte, la magia riesce ancora a riportarci bambini e a meravigliarci allo stesso modo. Come fosse la prima volta. Ma crescendo i gusti cambiano e, ovviamente, si colgono molte più sfumature, alle quali da piccoli non si sarebbe mai prestata attenzione.
Ecco perché alcuni film d’animazione, sottovalutati al momento della loro uscita, guadagnano notorietà solo in seguito. O, meglio, per alcuni questo accade, ad altri, invece, serve una piccola spinta in più.
Quale periodo migliore delle vacanze di Natale per rivedere, da adulti, alcuni dei film d’animazione della nostra infanzia? Più tempo a disposizione e quella tipica aria da magia delle feste rendono le festività natalizie il momento migliore, infatti, per ripescarne qualcuno e fare un rewatch.
I film d’animazione da rivedere da adulti
Ormai è un dogma: Natale è il momento dei rewatch. Sarà che tendiamo a rivedere i nostri film preferiti mentre beviamo cioccolata calda oppure il fatto che in tv trasmetto per la n volta una “Poltrona per due” o i cinepanettoni di Christian De Sica e Massimo Boldi. Insomma, qualsiasi motivo (o scusa) è buono per voler tornare bambini, anche solo per il tempo della pellicola.
Anzi, visto che il 2024 si è consacrato come l’anno dei “ritorni”, perché non far “ritornare” quei film d’animazione dimenticati o sottovalutati quando eravamo piccoli? Ecco i nostri 10 film d’animazione che vale la pena rivedere da adulti, e forse rivalutare.
1- “Il Pianeta del Tesoro”
Quale apertura migliore se non con “Il Pianeta del Tesoro“? Vista la febbre 883 esplosa con la nuova serie Netflix a loro dedicata, iniziare con un film d’animazione che ha una loro canzone nella colonna sonora è doveroso. Vagamente in tanti ricordano la storia, ma tutti sicuramente cantano a squarciagola “Ci Sono Anch’Io” di Max Pezzali e Co. Che il brano sia il riadattamento in italiano del brano “I’m Still Here” di John Rzeznik poco importa, ciò che interessa è che il film del 2002 è molto di più di una storia avventurosa per famiglie.
La pellicola riprende in chiave steampunk il romanzo di Robert Louis Stevenson “L’Isola del Tesoro“. È la storia di Jim Hawkins, adolescente ribelle e scapestrato, che assiste allo schianto di una navicella. Il pilota gli consegna una sfera prima di morire, poco prima che un vascello pirata distrugga la sua casa. Costretto a fuggire con la madre, si renderà contro che l’innocua sfera è una mappa che conduce al leggendario Pianeta del Tesoro. Così, il giovane Jim parte alla ricerca del misterioso tesoro perduto.
Questo è fra i film d’animazione più sottovalutati. Nonostante i colori vivaci, i pirati e la ricerca di un misterioso forziere, la pellicola è stata un flop commerciale enorme per la Disney. Sebbene abbia avuto alcune importanti nomination, come quella agli Oscar, ha incassato “solo” 110 milioni di dollari a fronte dei 140 milioni spesi per produrlo. Perché?
Progettato per rivolgersi a un pubblico di adolescenti maschi, “Il Pianeta del Tesoro” affronta, però, tematiche profonde. Il rapporto padre-figlio oppure il crescere senza averne uno, per citarne alcune. Dai primi minuti, inatti, scopriamo che Jim vive con la madre, che si è occupata di crescerlo da sola. A queste, poi, si aggiungono i problemi tipici degli adolescenti (e non solo). Troviamo mancanza di autostima e una certa rabbia latente dovuta, forse, al sentirsi incompresi e/o al sentirsi stretti dentro regole troppo rigide.
Nella prima parte del film, infatti, vediamo un Jim acerbo, combinaguai e con tanti sogni infranti. Nella seconda parte, invece, acquisisce maggiore fiducia in sé stesso e affronta le difficoltà con determinazione. È un’avventura alla ricerca di un tesoro, che nasconde un lungo viaggio alla scoperta di sé stessi.
2 – “Atlantis – L’Impero Perduto”
Fra gli insuccessi della Disney, è da menzionare anche “Atlantis – L’Impero Perduto“. Uscito nel 2001, il film trae ispirazione dal romanzo di Jules Verne “Ventimila leghe sotto i mari“. Qui, però si mescola la storia alla mitologica città perduta di Atlantide.
Purtroppo, anche stavolta alla grande casa produttrice è andata male, oltre al flop al botteghino, la critica non ha apprezzato particolarmente l’opera alla sua uscita. Senza considerare le dure critiche che assimilavano il film alla serie anime “Nadia – Il mistero della pietra azzurra” della Gainax e a “Laputa – Il Castello nel Cielo” dello Studio Ghibli. Le eccessive somiglianze fra l’opera Disney e la nipponica “Nadia“, in particolare, svilirono “Atlantis” a mero plagio, facendola finire dritta dritta nel dimenticatoio.
Eppure, la storia del cartografo e linguista Milo e il bizzarro team assoldato per ritrovare la misteriosa e magica città perduta sotto il mare ha tutti gli elementi per meritare una rivalutazione. Mettendo da parte le questioni legali e le beghe attraversate durante la sua produzione, “Altantis – L’Impero Perduto” mette in luce personaggi e temi che di solito hanno poca attrattiva per i giovani.
A partire proprio dal povero protagonista. Smilzo, goffo, nerd all’ennesima potenza e per giunta cartografo. Insomma, Milo non è esattamente il prototipo di “principe azzurro” tipico dei precedenti film Disney. Eppure, lui è uno dei pochissimi, se non rari, personaggi a rendere interessante una professione estremamente di nicchia. In questo senso, vengono in aiuto anche i personaggi secondari, come Audrey Ramirez, il capo meccanico e Gaetan Molière, geologo e pilota della scavatrice.
Già solo il piccolo team riesce ad abbattere più di qualche stereotipo (ricordiamo che il film è uscito nel 2001). Mostra, infatti, una donna, per di più giovane, a capo della squadra dei meccanici oppure l’utilità di conoscere le rocce per comprendere territori diversi dal nostro, ricavando informazioni essenziali per la sopravvivenza.
Per non parlare, poi, dell’impegno della squadra a cura del progetto “Atlantis“: Marc Okrand (autore anche della Lingua klingon di Star Trek), ad esempio, è colui che ha ideato e costruito la lingua e l’alfabeto atlantideo all’interno del film.
Sebbene il film sia stato un esperimento sotto tanti punti di vista, l’iniziale citazione di Platone, le conseguenze potenzialmente disastrose della (pseudo) colonizzazione e la smodata sete di denaro, accompagnata dall’idea che con la violenza si possa ottenere tutto, sono elementi che rendono “Atlantis” un film godibile più da adulti, che da bambini. Purtroppo, la fretta e qualche scelta sbagliata in fase di realizzazione ha, poi, dato vita a un risultato poco in linea con le aspettative.
3 – “Pocahontas”
Legato ad “Atlantis” per la questione “effetti della colonizzazione” è “Pocahontas“, il film d’animazione Disney dedicato alla leggendaria principessa nativo americana. Se da piccoli a tenere lo sguardo incollato alla tv sono i colori, le canzoni, gli animaletti carini, da adulti si vede tutto il resto.
Ovviamente la storia non è fra le più felici e, anzi, cela retroscena decisamente più oscuri. Se per i bambini Pocahontas è una bellissima e coraggiosa principessa nativa, per gli adulti è la tragica vicenda di una ragazzina (reale) vittima della colonizzazione. Questione piuttosto polemizzata dalla critica all’uscita del film. Tuttavia, il lungometraggio è un buon espediente per trasmettere temi importanti in modo semplice anche per i più piccoli.
Empatia, rispetto per la natura e gli animali, intraprendere relazioni con gli altri (diversi per cultura, pensiero, etnia, religione) costruttive e sane, senza imporre, tanto meno con la forza, la propria visione. Si può imparare tanto conoscendo e ascoltando.
Forse è proprio questo il più grande pregio di “Pocahontas“: porre l’accento sull’ascolto e l’imparare dagli altri. Le canzoni, i dialoghi e persino la storia d’amore fra la protagonista e John Smith sono funzionali a questo scopo.
A ciò, si aggiunge un altro punto che riguarda più da vicino la relazione fra Smith e Pocahontas: per la prima volta la Disney mette in scena un certo grado di “sensualità”, di “chimica” fra i due protagonisti. Un feeling che, di certo, solo gli adulti possono cogliere, ma che rende il film d’animazione più maturo rispetto alle precedenti fiabe disneyane.
4 – “Anastasia”
“Anastasia” e “Pocahontas” seppure geograficamente lontane (una è una nativa americana, una principessa russa), sono vicine per alcune tematiche. Se nel secondo film a prevalere è la conquista da parte degli inglesi dei territori dei nativi americani, nel primo viene trattata la conquista della classe proletaria del potere, rovesciando e distruggendo per sempre la dinastia zarista.
Fra le molte cose che la Rivoluzione Russa ha originato, quella al centro di “Anastasia” è proprio la leggenda sulla scomparsa dell’ultima figlia dello zar Nicola. Un mito che ha affascinato e che continua a farlo, nonostante la tragica storia dietro gli eventi del film. I fatti reali, tuttavia, non riescono a rovinare l’estetica o la meraviglia della visione della pellicola.
La cifra stilistica e narrativa del tutto peculiari rendono “Anastasia” un film indimenticabile e adulto, considerate anche le scene più oscure e inquietanti, come il deragliamento del treno (così adrenalinica da poter rivaleggiare con il miglior thriller) o l’incubo sulla nave in tempesta.
La storia della granduchessa Anastasija Nikolaevna Romanova, però, non è una rivisitazione storica accurata, quanto la realizzazione del mito stesso. Le influenze disneyane su Don Bluth, ovviamente, si sentono nelle canzoni, nel lieto fine e nel cattivissimo Rasputin, ma questi elementi sono rivisti in una chiave più profonda e riflessiva.
Con Anastasia sperimentiamo la confusione: perché persone sconosciute vogliono distruggere la mia famiglia? Ma proviamo anche la volontà di rivalsa e il coraggio di affrontare un futuro incerto, senza ricordi e senza una famiglia alle spalle. Anastasia cresce durante il film, non solo in senso anagrafico, ma anche caratterialmente, scoprendosi “una giovane donna combattiva e fiera“. Lei, però, non è l’unica a maturare.
Tutti i personaggi cambiano con lei, evolvendosi, a partire proprio da Dimitri, il truffatore di San Pietroburgo. Dimitri è ciò che si definirebbe un personaggio “moralmente grigio: egoista, egocentrico, interessato solo a ottenere un vantaggio da chiunque, anche se si tratta di sfruttare una povera ragazza. Poi, invece, capisce il vero valore dell’amicizia, della giustizia e del fatto che il denaro non può comprare la felicità. È disposto persino a rinunciare al suo amore, se questo significa permettere ad Anastasia di trovare la sua di felicità, con la nonna appena ritrovata e tornare nel dorato mondo nobiliare a cui appartiene.
5 – “Sinbad”
Con “Sinbad“, ancora prima che con “Pirati dei Caraibi“, è esploso l’amore per i pirati e per le avventure via mare. Sregolato, ma leale, onesto e carismatico, Sinbad è di certo il personaggio maschile più caratterizzato dei vecchi film d’animazione, sulla stessa scia del Dimitri di “Anastasia“.
Anzi, proprio come Dimitri, anche Sinbad non ha un impatto iniziale molto positivo: è egoista ed egocentrico, ma poi si rivela di buon cuore, coraggioso e leale verso gli amici, facendo di tutto per salvare Prometeo. L’amico, infatti, ha preso il suo posto, facendosi imprigionare, per concedergli il tempo necessario a trovare le prove della sua innocenza. Una fiducia prontamente ripagata da parte di Sinbad, determinato a dimostrare di essere una “brava persona”, nonostante i suoi eccessi.
Tuttavia, il suo carattere spesso si ritrova a cozzare con quello di Marina, promessa di Prometeo e partita all’avventura proprio per sorvegliare Sinbad e impedirne l’eventuale fuga. I loro continui alterchi, le scaramucce e le battute di spirito sono fra le cose più azzeccate del film, rendendo la storia più apprezzabile per un pubblico adulto. L’incontro/scontro con Marina, inoltre, è ciò che porta i personaggi a una maturazione interiore e a smussare, per affetto, i lati più spinosi del loro carattere.
Menzione a parte, invece, merita la dea Eris. Finalmente un’antagonsita che non ricalca il classico stereotipo, ma un personaggio accurato e intrigante. Nella mitologia, infatti, Eris è la dea della discordia e come tale anche nel film porta con sé il caos. Affascinante, sensuale e sadica, come in effetti, dovrebbe essere una divinità capricciosa. Un po’ sulla stessa scia dell’Ade di “Ercules” (1997).
Certo, in alcuni punti trama e animazione lasciano a desiderare. Tuttavia, il lungometraggio rimane una storia godibile (se si accetta di chiudere un occhio sulle sue pecche) e irriverente, che attrae per le battute e le frecciatine e i luoghi appartenenti alla mitologia.
6 – “El Dorado”
“La strada per El Dorado” di Bibo Bergeron, Jeffrey Katzenberg e Don Paul del 2000 non è sicuramente un film adatto a un pubblico di più piccoli. Fra i sacrifici umani, la spietatezza della colonizzazione spagnola e le sensuali movenze di Chel, troppi elementi lo rendono un film d’animazione da rivedere assolutamente da adulti.
A renderla una storia da pubblico adulto, infatti, proprio la resa dei personaggi principali e secondari. Se i colonizzatori si caratterizzano per la spasmodica sete di ricchezze e sangue, con Cortés questi sentimenti si sublimano in un personaggio spietato e veramente crudele. Tulio e Miguel, invece, sono i due protagonisti. Giovani scapestrati in cerca di fortuna e bugiardi fino all’osso. Eppure la loro simpatia è contagiosa, i loro siparietti spiritosi e ognuno ha un carattere ben definito, nonostante gli aspetti comuni.
Miguel è uno spirito libero, sognatore, amante dell’avventura e del divertimento, ingenuo e impulsivo. Tullio è riflessivo, cauto, equilibrato e con i piedi ben piantati per terra. Da truffatori, però, i due si dimostreranno l’unica salvezza per la magica El Dorado, rinunciando persino all’oro pur di salvare la popolazione dalla ferocia di Cortés.
Sui protagonisti del film si protrebbero dire cose a non finire, ma lo spazio è poco e il tempo pure. Perciò, ci limiteremo solamente ad aggiungere altri due buoni motivi per cui rivedere “El Dorado” durante queste vacanze natalizie: la spettacolarità visiva e Chel. La DreamWorks Animation ha impiegato ben 4 anni per realizzare il lungometraggio, lavorando in contemporanea anche a un altro grande film “Giuseppe – Il re dei Sogni“.
Fra le due pellicole, infatti, sono tante le similitudini, a partire dall’estrema cura estetica e dalla caratterizzazione profonda dei personaggi. In “El Dorado” la creatività esplode in effervescenti colori (e canzoni) prima della Spagna e poi della rigogliosa Foresta Amazzonica. Ogni dettaglio è realizzato in modo da essere quanto più veritiero possibile. Ciò è visibile nel rispetto degli usi, costumi, architettura e modo di fare degli spagnoli e degli Inca.
Chel è un mondo a parte. Nonostante sia nata e cresciuta all’interno della leggendaria città, si dimostra estremamente sveglia e intelligente. Non si fa scrupoli a sfruttare il suo fascino e il suo corpo per convincere Tullio a includerla nel piano di fuga da El Dorado. Il suo è fra i personaggi femminili più fuori dagli schemi di quegli anni. Come lei, solamente le altre personagge descritte in precedenza in questo articolo. E, nonostante ciò, Chel dà l’impressione di essere ancora un passo avanti rispetto a loro.
7 – “La Spada Magica”
“La Spada Magica” è forse fra le storie più dimenticate che riguardano Camelot. Re Artù, Merlino e i Cavalieri della Tavola Rotonda attirano da sempre la curiosità del pubblico. Tuttavia, in “La Spada Magica” troviamo il racconto un po’ diverso della storia.
Tutto ruota attorno al tradimento proprio di uno dei Cavalieri e alla sua sete di conquista del trono di Camelot e di Excalibur. Se Ruber è il perfetto cattivo, i protagonisti, Kayley e Garret sono icone di determinazione.
Kayley è la figlia di Sir Lionel, valoroso Cavaliere leale ad Artù e morto nella ribellione di Ruber. Garret, invece, è un giovane solitario che vive nella foresta incantata e menomato dal calcio di un cavallo da adolescente. Un incidente che lo ha privato della vista. Sebbene la storia sia piuttosto lineare e senza colpi di scena particolari, si ritaglia un posto nel cuore del pubblico.
Questo film riesce a coniugare la magia della fiaba per bambini ai temi delicati della vita adulta. Oltre al lutto e al crescere senza una figura paterna, il lungometraggio mette in scena cosa vuol dire vivere con un deficit, quale la cecità. Garret, infatti, è il personaggio reso meglio all’interno della storia. L’incidente lo ha segnato indelebilmente, provocando in lui un senso di inferiorità e distruggendo la sua autostima come giovane uomo. D’altro canto, però, lo ha reso più tenace e riflessivo nell’affrontare gli oscali che la vita gli ha messo sul cammino, riuscendo ad adattarsi a un luogo pieno di pericoli come la foresta magica.
Kayley, invece, è vivace, coraggiosa e animata da un profondo senso di giustizia. Il suo personaggio evolve nel corso della pellicola, passando da irruenta e istintiva adolescente a matura e logica donna, in grado di affrontare con lucidità le situazioni difficili. Anzi, è proprio lei, con il suo amore per Garret, a donare uno degli insegnamenti più grandi: non fermarsi alle apparenze, né giudicare qualcuno per i suoi limiti. Quella fra lei e Garret, quindi, è una storia di insegnamento reciproco e fiducia.
Le animazioni vivaci, le gag fra i personaggi e i divertentissimi Devon e Cornelius, poi, fanno la fortuna de “La Spada Magica“, rendendola una pellicola spiritosa e vitale.