Da oggi, giovedì 19 dicembre, la manovra 2025 entra in scena in Parlamento per l’approvazione finale. Sta di fatto che, al di là del suo contenuto, è oggetto di dibattito se davvero la legge di Bilancio, la più importante che si vari ogni anno finanziando ogni aspetto della nostra politica, potrà essere discussa davvero nella sede che la Costituzione indica come la più appropriata.

A dirla tutta, ormai si tende a rispondere a questo quesito con un bel no.

È il caso, ad esempio, del costituzionalista Michele Ainis che già da tempo denuncia una distorsione della nostra Costituzione non solo davanti alle manovre economiche, ma anche ai decreti legge.

Manovra 2025 in Aula, ma come sarà discussa?

Quella che impegnerà la Camera oggi è la terza legge di Bilancio del Governo Meloni. Probabilmente, la più importante perché per forza di cose andrà a segnare la fase due dell’esecutivo, la seconda parte della legislatura che porterà alle elezioni del 2027.

Tanto più per questo, quindi, a leggere i resoconti, si tratta di una manovra “politicamente blindata”, come si dice. Perché? Essa è frutto di un lungo lavorio tra i tre principali partiti di maggioranza (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) e lascia davvero pochi spazi di discussione per eventuali correzioni o modifiche.

In ogni caso, ha avuto modo di ricordare Ainis sulle pagine di Repubblica,

“La procedura consacrata sarebbe questa: esame e voto di una Camera, poi esame e voto dell’altra. Infine, nuova lettura della prima Camera se la seconda ne corregge il testo”

È il bicameralismo perfetto, bellezza. E noi non possiamo farci nulla, parafrasando l’iconica battuta de “L’ultima minaccia”.

Non possiamo farci nulla anche perché Matteo Renzi, l’ultimo che, lo fece nel 2016, tentò di cancellare il bicameralismo italico, fallì l’obiettivo al referendum. Eppure, aveva avvisato che era come se un sindaco avesse a che fare con due consigli comunali, due assemblee di eletti che fanno le stesse, identiche cose.

È in questa forzatura della nostra Costituzionale che nascono tutti i guai. Compresi quelli che da oggi fioriranno attorno alla legge di Bilancio 2025.

La scorciatoia

Davanti alla regola forzata dei due rami del Parlamento che fanno la stessa cosa, come detta la Costituzione, nascono quindi tutti i sotterfugi per evitarla. Del resto, come insegnano tutti i costituzionalisti, esiste una Costituzione scritta e una materiale: una che si trova sulla carta, l’altra che si applica nella realtà. Ainis ne ha a male:

“Il bicameralismo perfetto alla nostre latitudini funziona in modo imperfetto: un ramo del Parlamento lavora, l’altro ratifica. Senza discutere perché non c’è più tempo. Vale per le leggi di bilancio (dopo il 31 dicembre scatta l’esercizio provvisorio), così come per i decreti legge che vanno convertiti entro 60 giorni, altrimenti decadono”

Per questo, fatta la legge, trovato l’inganno:

“Per fare presto, per evitare critiche e dissensi, scatta quasi sempre la tagliola: maxiemendamento e voto di fiducia”

Così sarà anche per la legge di Bilancio di quest’anno: manco a parlarne, è il caso di dire.

Il milleproroghe, l’assalto alla diligenza

Da questo terreno costituzionale sono nati dei veri e propri “mostri”. Compreso iI famigerato “milleproroghe”: un emendamento che si confeziona a fine anno quando si presenta la legge di Bilancio in cui si butta dentro un po’ di tutto al fine di farlo finanziare all’ultimo minuto utile. Un vero e proprio assalto alla diligenza, roba da far impallidire “Ombre rosse” con John Wayne, come ricorda Daniele Dottorini su YouTube

In ogni caso: Ainis si è detto preoccupato perché

“Il Parlamento non parla, a dispetto del suo nome. E non decide, giacché decide ormai solo il governo, anzi il suo capo. Eravamo una Repubblica parlamentare, siamo precipitati in una capocrazia”

I numeri e i rimedi

Sarà davvero così? A sostegno della sua tesi, Ainis porta i numeri: 3,5 decreti legge al mese il cui voto finale avviene nel 55,8% dei casi col governo che pone la fiducia. La quale dovrebbe essere uno strumento eccezionale, ma che il governo Meloni, e prima di esso tutti gli altri, utilizza tantissimo (una volta ogni 11 giorni).

Ora: anche per la legge di Bilancio 2025, la discussione degli emendamenti si è consumata nella commissione Bilancio della Camera:

“All’Aula resterà la scelta fra prendere o lasciare. E quando toccherà al Senato potrà solamente prendere”

si lamenta Ainis. Il quale, in conclusione, sostiene che se è vero che ci sono 600 parlamentari, sono appena 30, quelli della commissione Bilancio, a decidere realmente sulla legge più importante dell’anno.

La distorsione è evidente. Ma perché sono cattivi tutti i governi e tutti i parlamentari che abbiamo avuto negli ultimi decenni, perché siamo precipitati in una “capocrazia”, come sostiene Ainis, o perché le regole che impone la Costituzione sono di fatto troppo farraginose e inapplicabili e in realtà danno poco potere all’esecutivo?

Forse è questa la domanda cui bisognerebbe rispondere. Credendo che per una riforma costituzionale, sia o meno il premierato, non è mai troppo tardi. Anche per una questione di trasparenza.