Quando si va a finire a carte bollate, quando si chiamano gli avvocati, quando ci si dà appuntamento in tribunale, si ha sempre bisogno di testimoni: lo giuro, vostro onore. Ebbene: lo scrittore Nicola Lagioia, appena querelato dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, potrà contare su uno ben collaudato, il leader dei Verdi Angelo Bonelli.

Oggi, davanti ai cronisti, non vedeva l’ora che gli facessero una domanda sul caso Valditara vs Lagioia. Subito è partito con la sua attestazione: “Viva chi si ribella a questo governo, lunga vita a Lagioia”, il senso delle sue parole. Senza se e senza ma. Anche se, paradossalmente, se tutto è nato per uno svarione grammaticale del ministro sottolineato dallo scrittore, anche Bonelli è scivolato su un errore simile.

Bonelli sul caso Valditara-Lagioia

E insomma: salga sul banco dei testimoni Bonelli Angelo. Che la sinistra, e con essa chiunque si scagli contro il governo Meloni, può stare tranquillo: parlerà a suo favore. Oggi, all’indomani della notizia della querela partita dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara nei confronti dello scrittore premio Strega 2015 Nicola Lagioia, subito ha lasciato agli atti l’ennesima filippica sulla libertà di critica messa a dura prova dal governo di centrodestra in carica

E comunque: il paradosso è che la passione nel difendere Lagioia per aver criticato un tweet sgrammaticato del ministro Valditara, lo ha tradito. Bonelli, a sua volta, ha iniziato la sua accorata difesa con un errore da matita blu:

“Mi può querelare anche a me il ministro Valditara”

Una sorta di nemesi, un cane che si morde la coda.

L’accusa al Governo e la lezione democristiana

Resta il fatto che oggettivamente Bonelli mette il dito nella piaga: un politico, soprattutto se ricopre una carica istituzionale come Valditara, non può permettersi di querelare un cittadino che gli muove una critica, anche se quest’ultima è sopra le righe e anche se davvero si scopre del tutto ingiustificata.

Non è una questione di cultura grammaticale, evidentemente. Ma di cultura politica: i democristiani, ad esempio, pur ricevendone di tutti i colori nei loro quarant’anni di potere, non si sono mai permessi di farlo. Era il loro abc: il potere si esercita lontano dai tribunali. E bisogna sempre stare attenti a non confondere l’autorevolezza con l’autoritarismo.

Così, Indro Montanelli, parlando di Giulio Andreotti, una volta, come ricorda il profilo Instagram di primarepubblica, fece questa riflessione:

“Non so quali meriti o demeriti gli storici di domani attribuiranno ad Andreotti. Ma nessuno di loro potrà disconoscere che in questi ultimi anni egli ha reso un servigio prezioso: quello di aver fornito agli italiani, vera o falsa, la chiave di tutti i loro misteri, e dio sa se ce ne sono. Senza di lui, non riusciremmo a spiegarne nessuno. Il suo armadio è il più accogliente sacrario di tutti gli scheletri in cerca di autore circolati in Italia nell’ultimo ventennio. E dobbiamo convenire che Andreotti si è sempre gentilmente e con molta grazia prestato ad accoglierli: mai un lamento, mai una querela, mai nemmeno una piccola smorfia di rammarico o di dispetto”

Appunto. E addirittura in quella “mascalzonata” de “Il Divo”, come Andreotti bollò il film che gli dedicò Paolo Sorrentino, si rinviene una scena che viene a fagiolo con quanto qui si sostiene: quando il regista premio Oscar fa dire a un andreottiano, appena persa la presidenza della Repubblica nel 1992:

“Osserva Andreotti e impara come si sta al mondo”

E invece: il governo Meloni, non è la prima volta che, andando per querele, rivela un certo disagio. Bonelli, a rischio di passare come Pulcinella per testimone, l’ha sottolineato:

“È un atteggiamento arrogante da parte di chi non riconosce la legittima critica”

Per Bonelli, i rappresentanti della destra meloniana hanno “la coda di paglia”. Il retropensiero che, evidentemente, voleva esprimere è che esprimono una cultura fascista: antidemocratica, che non conosce dissenso.

La difesa del diretto interessato e i precedenti

Nicola Lagioia, in ogni caso, non ha atteso il leader di Avs per difendersi. E non a caso l’ha fatto dicendo:

“Valditara mi fa causa perché questo potere è debole, è un atto intimidatorio verso il dissenso”

Probabilmente è così. Visto che, come dicevamo, non è la prima volta in questi due anni di governo Meloni che i ministri si mettono a querelare. Da Gennaro Sangiuliano, che ha chiamato gli avvocati per Maria Rosaria Boccia, ad Adolfo Urso, che ha querelato Il Foglio, il giornale che aveva preso a chiamarlo Adolfo Urss; dalla stessa Giorgia Meloni a Matteo Salvini che hanno chiamato in causa Roberto Saviano; fino a ritornare al ministero dell’Istruzione che ha bypassato le aule giudiziarie sospendendo per tre mesi l’insegnante-scrittore Christian Raimo che aveva sbroccato anche lui contro Valditara.

Il gioco delle parti

Sta di fatto che se, da un lato, quello dei politici al potere, c’è la querela facile, sintomo di non saper maneggiare bene il potere, dall’altra c’è la difesa ad oltranza senza se e senza ma, tendente a far passare per buono tutto ciò che va contro il governo e a far gridare più o meno esplicitamente al fascismo ad ogni polemica. Un teatrino di second’ordine, un gioco delle parti sterile, di cui certo non può arricchirsi il dibattito pubblico. Tutt’al più qualche avvocato.