La guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente hanno fatto vacillare gli equilibri geopolitici tradizionali da un lato, mentre dall’altro hanno rinvigorito partnership che si sono unite contro un nemico comune: l’Occidente.
Le sanzioni imposte a Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina non hanno sortito gli effetti sperati. Anche la retorica che vede la Russia isolata diplomaticamente non convince del tutto.
Il Cremlino, forzatamente separato dall’economia occidentale, ha rafforzato i legami con Pechino, ha rinnovato l’interesse per il continente africano, ha consolidato l’amicizia strategica con la Corea del Nord e mantenuto un interscambio importante gli stati ex sovietici come Bielorussia e Kazakistan. Soprattutto l’Iran, anch’esso sotto sanzioni occidentali dai tempi della prima amministrazione Trump, è diventato sempre più centrale nell’orbita del Cremlino.
Le pressioni di Israele su Teheran e la crisi interna: il ruolo di Mosca
Un paese in cui rivolte interne hanno rotto argini nazionali, cagionando il disappunto delle più importanti capitali europee per la violenta repressione con cui gli Ayatollah imbavagliano il dissenso. La deflagrazione del conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas, e poi Israele e Hezbollah, ha minato le sicurezze militari ed economiche iraniane, fiaccandone l’influenza.
Dall’estate del 2022 si sono diffuse le prime indiscrezioni sulla vendita di droni iraniani a Mosca, i temuti Shahed-136: veicoli senza pilota che possono viaggiare per 2500 km trasportando fino a 40 kg di esplosivo. Teheran non ha da offrire la capacità d’avanguardia di altri produttori come Stati Uniti, Israele e Turchia ma negli anni ha saputo coltivarsi la sua clientela: proprio nel 2022 l’apertura in Tagikistan di una linea di produzione dell’Ababil-2, un drone tattico con autonomia di volo di un’ora e mezza. L’abbraccio tra Teheran e Mosca si è consolidato poco dopo l’ultima chiusura dell’Occidente, che non aveva gradito i droni iraniani in Ucraina ne la dura repressione delle proteste per la morte di Masha Amini, e ha disatteso le promesse fatte all’Iran di rinnovare gli accordi sul nucleare.
Prima della morte del presidente Ebrahim Raisi, Vladimir Putin aveva preso accordi per la realizzazione di un corridoio commerciale tra l’Europa orientale e l’oceano indiano al fine di facilitare gli scambi commerciali e aggirare le sanzioni. Facendo a meno dunque dei porti europei e del canale di Suez.
Già da mesi ormai, la Russia ha iniziato ad esportare in Iran combustibile tramite le ferrovie, in modo da evitare le sanzioni occidentali di entrambi. La politica iraniana di “guardare ad est”, nata dopo l’ennesima promessa disattesa dell’Occidente sul nucleare, trova nella Russia un alleato solido. Per Mosca infatti, i legami con Teheran sono diventati fondamentali dopo gli attriti con l’Occidente che ne ha limitato la capacità di cooperazione al livello internazionale. Sostegno militare e commerciale dunque, ma anche sostegno politico. All’assemblea generale delle Nazioni Unite i due paesi hanno mosso più volte i paesi “non allineati” verso la loro direzione, votando o non votando all’occorrenza, secondo la necessità dell’alleato. Il nemico comune ha modificato anche la storica rivalità energetica dei due paesi: con l’Europa off-limits per entrambi infatti, la competizione si è trasformata in diplomazia energetica, con prospettive di vantaggi reciproci.
L’asse della resistenza di Teheran, cosa significa?
L’asse della resistenza o “Mehvar-e moqavemat”, è l’alleanza politica tra Repubblica Islamica d’Iran, l’ormai ex governo di Bashar Al Assad e il gruppo politico-militare di Hezbollah. Con lo scoppio della rivoluzione islamica tra il 1978 e il 1979 e la conseguente instaurazione del regime islamista di Khomeini, l’Iran si è costruito la propria sfera d’influenza nella regione mediorientale, sfruttando in molte occasioni gli spazi vuoti lasciati dai propri rivali. Ad oggi l’asse della resistenza conta su alleati e proxies. Nell’orbita dell’asse ci sono le milizie sciite irachene facenti parte delle Forze di mobilitazione popolare e il movimento Houthi yemenita. Il minimo comune denominatore è l’aperta opposizione alle attività nella regione della NATO, di Israele e in parte anche dell’Arabia Saudita.
Come la Siria può rimodulare gli equilibri
La guerra civile in Siria del 2011 ha richiesto un impegno sostanziale dell’Iran nell’appoggio a Bashar al Assad, sostenuto politicamente e militarmente: Teheran è stata fondamentale nella riconquista delle città perdute. I punti di svolta nei rapporti sono due: nel 2018, anno in cui le forze di Assad hanno riconquistato quasi tutto il territorio siriano, ad eccezione delle zone nel Nord, e febbraio 2022. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha inevitabilmente condizionato anche l’impegno iraniano in Siria e in generale la stabilità del paese: un sostanzioso numero di truppe Russe, altro baluardo del regime di Assad, sono state mandate in Ucraina. I gruppi pro-iraniani in Siria sono principalmente suddivisi in: milizie libanesi e irachene alleate dirette di Teheran e i proxies iraniani, ovvero anche i mercenari afghani e pachistani arruolati dall’Iran.
La caduta del regime di Bashar al Assad è stata fulminea, Russia e Iran sono rimaste a guardare impotenti. Israele guarda da vicino gli sviluppi che prenderà il nuovo governo guidato dal nuovo premier ad interim, Mohammed al-Bashir insieme a Mohammed al-Jolani, il leader dei jihadisti che hanno spodestato Assad e che ora usa il suo vero nome, Ahmed al-Sharaa. Le idf resteranno fino alla fine dell’inverno sulle alture del Golan, una zona cuscinetto tra Israele e Siria, già conquistata in parte da Tel Aviv. Il G7 calibra una linea uniforme mentre gli Usa promettono che non ci sarà una rinascita dell’Isis.