La caduta del regime di Bashar al-Assad, l’8 dicembre, non ha dato il controllo dell’intero paese ai ribelli jihadisti. L’alleanza islamista guidata da Hayat Tahrir al-Sham con base a Idlib nell’ovest del paese, ha avviato un’offensiva il 27 novembre. In pochi giorni è riuscita a conquistare le più grandi città del paese Aleppo, Homs e in fine Damasco.

L’offensiva jihadista è stata inaspettata considerando i quattro anni trascorsi dall’accordo tra Russia e Turchia che aveva portato a una relativa tregua nei combattimenti. La caduta del regime è stata favorita dalla diminuzione del sostegno di alleati come Mosca, Teheran e Hezbollah, impegnati in altre battaglie. Intanto, i jihadisti continuano a scontrarsi con altre forze presenti nel territorio al fine di ottenere il controllo completo.

Chi controlla le diverse regioni della Siria?

Il territorio siriano risultava da tempo frammentato. Gli oppositori jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e i loro alleati, tra cui l’Esercito nazionale siriano, si erano stabiliti nel nordovest del paese, in particolare nella zona della città di Idlib, al confine con la Turchia.

La Russia continua a mantenere una presenza strategica in Siria con due basi principali: una navale a Tartus e una aerea a Latakia, situate lungo la costa occidentale del paese. Secondo i dati aggiornati al 12 dicembre di Liveuamap, Mosca mantiene il controllo su queste due aree strategiche per la sua presenza nel Mediterraneo.

Le forze curde, sostenute dagli Stati Uniti, avevano giocato un ruolo cruciale nel respingere lo Stato Islamico dal nord e nordest della Siria stabilendo un maggiore controllo su queste regioni. Tuttavia, dopo la vittoria dei ribelli, l’Esercito nazionale siriano ha lanciato un’offensiva contro le città sotto il controllo curdo. Prima ad essere conquistata è stata Manbij, situata al confine con la Turchia, seguita da Deir ez-Zor, una città strategica ricca di risorse petrolifere. Ora le forze ribelli si dirigono verso Kobane, un’altra città chiave al confine turco che rappresenta un obiettivo di grande rilevanza.

Gli Stati Uniti, invece, continuano a mantenere una presenza alla base di al-Tanf, situata nel sudest della Siria. Washington ha ribadito il proprio impegno a sostenere le forze curde nel paese. Ha sottolineato che questa collaborazione è fondamentale per prevenire una possibile rivitalizzazione dello Stato Islamico nella regione.

Gli attacchi israeliani in Siria

A partire dall’8 dicembre, Israele ha condotto oltre 480 attacchi contro diversi obiettivi strategici in territorio siriano. Le operazioni hanno colpito aerei da combattimento, navi militari, strutture di difesa aerea, aeroporti, porti e altre infrastrutture cruciali. Tel Aviv giustifica queste azioni sostenendo che siano necessarie per garantire la propria sicurezza nazionale. Secondo alcune stime, tali attacchi avrebbero compromesso fino all’80 per cento delle capacità militari della Siria.

Le forze israeliane non hanno iniziato gli attacchi solo di recente. Dopo il 7 ottobre, l’IDF ha intensificato i bombardamenti colpendo un numero maggiore di target con l’obiettivo di distruggere postazioni legate all’Iran e al suo alleato Hezbollah. Questo approccio mirava a indebolire la presenza iraniana nel territorio siriano e ridurre la capacità operativa delle sue forze alleate.

L’ultima serie di operazioni rientra in una nuova strategia militare. Israele ha trasferito le sue forze nella zona demilitarizzata delle alture del Golan dichiarando che l’accordo del 1974 è crollato dopo il ritiro dell’esercito siriano. Sebbene Tel Aviv affermi che la mossa sia temporanea, Francia, Iran, Russia, Turchia e Arabia Saudita hanno criticato le operazioni nella zona.

La ricostruzione della Siria

Diversi paesi con interessi in Siria, e altri attualmente assenti dal territorio, chiedono un futuro governo pluralista dopo la fuga di Assad. Secondo una dichiarazione dell’Italia che attualmente presiede il G7, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti sosterranno una transizione verso un governo “inclusivo“. Nel frattempo, i jihadisti hanno nominato un nuovo primo ministro ma la ricostruzione del paese e il pieno controllo del territorio restano sfide cruciali per i nuovi governatori.

Abu Mohammed al Jolani, leader di Hayat Tahrir al Sham, ha dichiarato a Sky News che “non c’è più nulla da temere dalla Siria” dopo la caduta del regime di Assad. Tuttavia, permangono dubbi su come un leader jihadista estremista possa trasformarsi in un moderato e contribuire alla costruzione di un paese inclusivo e rispettoso allo stato di diritto e dei diritti civili e sociali.