Il 12 dicembre 1969, l’Italia perse la propria innocenza. La bomba esplosa quel pomeriggio non squarciò soltanto la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano ma anche il tessuto morale del nostro Paese, precipitandolo nell’incertezza e nel panico. Eventi simili sconvolgono l’immaginario di una nazione e la cultura è chiamata a interpretarne l’impatto. Tuttavia, il cinema italiano ha dedicato alla strage di piazza Fontana soltanto un film, “Romanzo di una strage“, diretto da Marco Tullio Giordana nel 2012, e due documentari risalenti al 1972.
Perché questo silenzio, potrebbe chiedersi qualcuno. Il motivo risiede nella complessità di quella stagione politica e nella fragilità dell’industria culturale (e cinematografica in particolare) italiana. Un periodo storico, quello dei cosiddetti ‘anni di piombo’, nei confronti del quale l’assenza di una verità giudiziaria ha creato per anni notevoli difficoltà a stabilire una verità storica. La semplificazione in ‘buoni’ e ‘cattivi’ di convenienza ha schiacciato responsabilità e connivenze, con un revisionismo strisciante che perdura ancora in questo 21° secolo, facendosi beffe della memoria delle vittime.
Il cinema come potente linguaggio di massa avrebbe avuto tutti gli strumenti, man mano che la verità emergeva in questi 55 anni, per creare una narrazione emotivamente condivisa su quei tragici fatti. Avrebbe potuto e dovuto creare un immaginario comune nel quale identificarsi, portando una chiarezza morale e storica in assenza di quella giuridica. Non lo ha fatto per mancanza di coraggio dei suoi autori (certificata, purtroppo, dal film di Giordana) e per la sua debolezza industriale e produttiva di fronte a un mondo politico che ha sempre guardato con sospetto se non apertamente ostacolato i progetti dedicati a quella stagione.
La strage di piazza Fontana e le colpe del cinema italiano
Alle 16:37 del 12 dicembre 1969, le vite di 17 persone vengono spezzate da un fragore di fuoco, cemento e acciaio. Una fuga di gas è la prima ipotesi, subito accantonata di fronte all’evidenza di un attacco brutale che di casuale non ha nulla. È stata una bomba, e non è la sola di quel pomeriggio. Altre tre ne esplodono a Roma, alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, a piazza Venezia e all’Altare della Patria, ferendo 16 persone.
L’Italia è sotto attacco per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale. Ma, a differenza di allora, stavolta i nemici non sono immediatamente riconoscibili e, a livello giuridico, restano sconosciuti fino a oggi, dopo 55 anni. La Cassazione, nelle motivazioni dell’ultima sentenza pronunciata nel 2005, riconosce il ruolo ispiratore dei neofascisti di Ordine Nuovo, ma non può condannare nessuno né individuare l’uomo che materialmente portò la bomba nella sede della banca milanese.
Quella di Milano è solo la prima di una serie di stragi che segnano gli anni successivi, dalla stazione di Gioia Tauro a piazza della Loggia, dal treno Italicus alla stazione di Bologna. Centinaia di morti che mettono l’Italia in ginocchio.
Un Paese che ha paura, e che non smetterà di averla per tutto il decennio successivo. Gli storici la chiameranno ‘strategia della tensione’: la destabilizzazione della vita civile di una nazione per favorire una deriva autoritaria dei suoi apparati governativi. Un fenomeno figlio di quell’epoca e della contrapposizione tra i ‘blocchi’ di Usa e Urss, e che già si era concretizzato in Grecia, con la ‘dittatura dei Colonnelli’ instaurata nel 1967.
I documentari di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Ferrara sulla strage
Di materiale per un film (o ben più di uno) ce ne sarebbe. C’è il conflitto, con una popolazione gettata nel terrore da chi ha ordito un simile evento catastrofico; c’è il mistero, sui colpevoli e i loro mandanti, e c’è la sua risoluzione, grazie alla cultura e alla forza della ragione, che possono suggerire ipotesi, collegare fatti, indicare colpevoli, anche quando la giustizia non ci riesce.
Ma questi film non vengono fatti. L’unica eccezione è rappresentata, in primo luogo, da due documentari realizzati all’indomani della strage, nel 1972: “12 dicembre” di Pier Paolo Pasolini e Giovanni Bonfanti, e “La pista nera” di Giuseppe Ferrara. Entrambi, però sono troppo ‘appiattiti’ sulla cronaca, con la loro intenzione dichiarata di spingere le indagini nella direzione dell’estrema destra e di allontanarle dalla falsa pista dell’attentato anarchico, per fornire uno sguardo approfondito e rigoroso sul contesto dell’epoca.
La letteratura riesce a fare la sua parte, dalla controinchiesta di Aldo Giannuli “La strage di Stato” alla memorialistica individuale e collettiva, fino all’opera meritoria di storici quali Giovanni De Luna e Guido Crainz. Il cinema, purtroppo, no.
I registi del nostro Paese non si dimostrano in grado di creare un racconto di quegli anni in grado di analizzarli e di formulare tesi, attribuendo colpe e responsabilità con la forza della ragione e dell’intelletto. O non sono messi nelle condizioni di farlo, con le poche pellicole realizzate su quella stagione che incontrano l’ostilità di un mondo politico e sociale che preferisce lasciare quegli anni sotto il tappeto. Per il troppo dolore che quella memoria porta con sé o per la convenienza di seppellire un passato le cui verità, evidentemente, fanno ancora paura a molti.
Un atteggiamento che intimorisce produttori e registi che, magari, avrebbero qualcosa da dire, spingendoli al silenzio.
“Romanzo di una strage” è un’occasione mancata
Bisognerà aspettare 43 anni per vedere il primo film di finzione dedicato alla strage.
I presupposti ci sarebbero tutti per una pellicola che renda finalmente giustizia a quei morti e a ciò che quella bomba ha rappresentato per la storia d’Italia, trauma collettivo che ha arrestato un processo di modernizzazione socioculturale che non è mai più ripreso.
Ci sono gli anni trascorsi, innanzitutto, che hanno permesso l’affermazione di una verità storica sui mandanti della strage. E poi c’è un regista che quella stagione l’ha vissuta e che ha già dimostrato di saperla raccontare con passione e senza timori, quel Marco Tullio Giordana già autore di “Maledetti, vi amerò“, de “I cento passi” (2000) e de “La meglio gioventù” (2003).
Tutti fattori che alimentano la rabbia per l’occasione mancata rappresentata da “Romanzo di una strage” che Giordana realizza nel 2012.
Il regista milanese conferma le sue qualità quando deve restituire la complessità di un contesto storico difficile. Viene mostrato, ad esempio, il dialogo inconciliabile tra la rabbia di parte della popolazione destinata a sfociare nella lotta armata (il discorso di Giangiacomo Feltrinelli all’inizio del film) e l’opposizione a quella strada del resto dei cittadini, così come la complessa rete di giochi di potere internazionali che decideva i destini delle nazioni (con la scena del ritrovamento del deposito di armi nascosto), di cui la bomba non fu che una parte.
Giordana riesce, inoltre, ad evitare certe ricostruzioni semplicistiche e mai suffragate dai fatti, come quella sulla presunta contrapposizione tra Giuseppe Pinelli e il commissario Luigi Calabresi. Interpretati rispettivamente da Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea, il regista li mostra in rapporti cordiali, mentre discutono in una libreria, luogo del dialogo per definizione.
Due vittime anche loro, seppure in maniera indiretta, di quella strage. Non a caso, sull’altro mistero ancora aperto di quei giorni, la morte di Pinelli avvenuta il 15 dicembre 1969, Giordana decide di mostrare esplicitamente l’innocenza di Calabresi, che diventa una sorta di eroe tragico della sua pellicola.
Una decisione forte che rimane, purtroppo, l’unica del film.
Perché quando si tratta di tirare una linea, di indicare con la forza della verità storica i colpevoli e gli innocenti, gli assassini e le vittime, i criminali e chi vi si oppose, “Romanzo di una strage” viene meno.
Facendo sua la tesi del libro di Paolo Cucchiarelli, “Il segreto di piazza Fontana“, il regista immagina la presenza di due bombe nella sede della Banca Nazionale dell’agricoltura, quel 12 dicembre 1969: una anarchica, dimostrativa, piazzata dagli anarchici (forse proprio da quel Pietro Valpreda accusato per anni della strage), e l’altra volta a gettare il Paese nell’angoscia con morti e feriti, messa dalla destra neofascista.
Una non-risposta, una posizione che non ne esprime nessuna e che, soprattutto, come scrisse proprio Mario Calabresi ai tempi dell’uscita del film, “lascia la sensazione che non sappiamo niente, che non abbiamo né verità né giustizia“. Verità che oggi è ormai nota, come ricorda il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando sottolinea che la matrice neofascista della strage e di tutte quelle che segnarono quella tremenda stagione è “emersa con evidenza“.
Sia chiaro, Giordana così come i suoi due co-sceneggiatori (Sandro Petraglia e Stefano Rulli) e lo stesso Cucchiarelli hanno il diritto di avere la loro opinione sui fatti.
Però, queste ipotesi lasciate aperte sono un altro duro colpo al nostro immaginario traumatizzato e ferito. Perché sembrano dire che non solo non sappiamo quale sia la verità, ma che non siamo neppure in grado di rappresentarla attraverso la forza catartica del cinema. Ciò che rimane, immutata, è solo l’angoscia della nostra nazione.
Conclusioni
- La strage di piazza Fontana e il silenzio del cinema italiano: la bomba esplosa il 12 dicembre 1969 a Milano segnò un trauma collettivo in Italia, ma il cinema italiano ha affrontato questo evento in modo marginale, con un solo film di finzione (“Romanzo di una strage“, 2012) e pochi documentari. La mancanza di verità giudiziaria e la complessità politica degli ‘anni di piombo’ hanno reso difficile una narrazione chiara e condivisa, con il cinema che non ha trovato il coraggio di affrontare appieno il tema;
- Il ruolo della cultura e la mancanza di coraggio del cinema: nonostante la disponibilità di materiale e il contesto storico ricco di conflitti e misteri, il cinema non ha saputo creare un racconto che potesse portare chiarezza morale e storica. La difficoltà di affrontare la verità su quei tragici eventi, unita alla resistenza di un mondo politico ostile, ha impedito ai registi di esplorare appieno la strage, limitando il contributo del cinema alla comprensione di quegli anni;
- La critica a “Romanzo di una strage“: sebbene il film di Marco Tullio Giordana mostrasse la complessità del periodo, affrontando il conflitto interno alla nazione e la rete di poteri internazionali, non ha saputo fornire una risposta chiara sui colpevoli della strage, restando ambiguo su responsabilità e verità. Questa mancanza di un’analisi definitiva ha alimentato la sensazione che l’Italia non sia ancora pronta a confrontarsi pienamente con la sua storia traumatica.