Mercoledì, il presidente americano eletto Donald Trump ha annunciato la nomina di Kari Lake alla guida di Voice of America, il servizio ufficiale radiotelevisivo del Governo federale degli Stati Uniti.
Lake, ex candidata al ruolo di governatore dell’Arizona e al Senato, è una sostenitrice convinta di Trump e sarà incaricata di dirigere l’emittente finanziata dal Congresso, che trasmette informazioni in tutto il mondo.
Chi è Kari Lake?
Con un passato di oltre vent’anni come conduttrice di telegiornali a Phoenix, Lake si è dimessa nel 2021 in seguito a controversie legate ad alcune sue dichiarazioni sui social media, tra cui la diffusione di notizie inesatte sul COVID-19. Dopo aver lasciato il giornalismo, ha intrapreso la carriera politica, guadagnando notorietà nazionale per le sue posizioni dure sull’immigrazione e le critiche ai media tradizionali, accusati di diffondere “fake news”.
Trump ha dichiarato che Lake collaborerà strettamente con il prossimo capo dell’Agenzia statunitense per i media globali, aggiungendo che “si impegnerà a trasmettere i valori americani di libertà e democrazia in modo giusto e veritiero, contrariamente alle menzogne dei media che diffondono notizie false“.
Lake ha guadagnato il sostegno di Trump anche per il suo allineamento alla narrativa secondo cui entrambi sarebbero stati vittime di frodi elettorali (lui nel 2021, lei nel 2022). Nel suo libro del 2023, Unafraid: Just Getting Started, si è definita la “legittima governatrice” dell’Arizona, nonostante la sconfitta elettorale. Dopo aver perso anche la corsa al Senato, Lake ha continuato a contestare i risultati in tribunale senza successo, cercando al contempo di moderare le sue posizioni su temi controversi come frodi elettorali e aborto.
Lake ha affermato che sarebbe stata il “peggior incubo” di un giornalista se avesse vinto le elezioni per diventare governatore dell’Arizona. Trump l’ha presa in considerazione come sua compagna di corsa alla vicepresidenza prima di decidere per JD Vance.
Cos’è Voice of America?
Trump in passato si è espresso duramente contro Voice of America (VOA), dichiarando nel 2020 che “le loro affermazioni sono offensive nei confronti del Paese”.
Durante il primo mandato del tycoon da presidente, l’emittente è stata ulteriormente criticata dalla Casa Bianca per il modo in cui aveva gestito le notizie nei primi giorni della pandemia di coronavirus. Una comunicazione ufficiale accusava VOA di utilizzare fondi pubblici per sostenere “i regimi autoritari”, facendo riferimento alla copertura relativa alla fine del lockdown a Wuhan, la città cinese dove il virus era stato inizialmente rilevato.
Fondata durante la Seconda Guerra Mondiale, precisamente nel 1942, VOA opera in conformità a un mandato del Congresso che richiede di fornire notizie e informazioni imparziali a un pubblico globale. In risposta alle critiche ricevute da Trump, l’emittente ha difeso la propria linea editoriale.
Voice of America è stata oggetto di intense politiche durante il primo mandato di Trump. Nel 2020, il tycoon ha nominato Michael Pack come CEO della US Agency for Global Media, che controlla VOA, e durante il suo breve incarico Pack ha licenziato dirigenti, bloccato budget per reportage e avviato indagini su giornalisti accusati di parzialità.
Con l’inizio dell’amministrazione Biden nel gennaio 2021, sono stati rapidamente rimossi diversi funzionari di alto livello legati a Trump all’interno di VOA e nelle organizzazioni collegate.
Il piano di Trump per controllare i media
Il secondo mandato di Donald Trump potrebbe segnare un punto di svolta per la libertà di stampa negli Stati Uniti, con rischi senza precedenti che derivano direttamente dallo Studio Ovale.
Durante la campagna elettorale, Trump ha più volte espresso la sua ostilità verso i media. In un comizio pre-elettorale, ha dichiarato che non gli sarebbe dispiaciuto se un assassino avesse preso di mira i giornalisti presenti. Inoltre, aveva apertamente manifestato l’intenzione di perseguire legalmente i giornalisti, smantellare le loro fonti confidenziali, revocare le licenze alle principali reti televisive e criminalizzare il contrasto alla disinformazione.
Negli Stati Uniti, un paese tradizionalmente considerato un baluardo della libertà di stampa a livello globale, i giornalisti si trovano ora ad affrontare minacce simili a quelle sperimentate dai colleghi in paesi come le Filippine, l’Ungheria o il Venezuela. Per resistere a queste pressioni, potrebbero dover imparare da chi opera in contesti in cui la libertà di informazione è costantemente sotto attacco.
La seconda amministrazione Trump sembra destinata a ostacolare il giornalismo critico e indipendente, con implicazioni preoccupanti per il settore. I reporter potrebbero affrontare crescenti intimidazioni di natura politica e rischi di abusi legali. Trump ha infatti utilizzato il sistema giudiziario contro diversi media importanti dal 2016, intentandovi cause per diffamazione. Più di recente, ha citato in giudizio la CBS per un’intervista a Kamala Harris nel programma 60 Minutes.
Un’altra area di preoccupazione è la possibilità di un’impunità maggiore per le minacce online verso giornalisti e redazioni. La piattaforma X (ex Twitter) ha recentemente aggiornato la funzione di blocco, consentendo agli utenti di vedere chi li ha esclusi, sollevando timori che questo cambiamento possa aumentare le molestie online. Secondo un rapporto dell’Unesco e dell’International Center for Journalists, le aggressioni virtuali spesso si trasformano in pericoli reali, con donne e persone di colore particolarmente vulnerabili.
Nel contesto dei social media, la battaglia per regolamentare l’incitamento all’odio e la disinformazione sembra persa. Molti sostenitori di Trump ritengono che interventi per salvaguardare i diritti umani, la salute pubblica e l’integrità elettorale sulle piattaforme digitali rappresentino una violazione della libertà di parola, nonostante studi dimostrino che queste affermazioni siano infondate.
Durante la campagna per il 2024, Trump ha definito gli sforzi per combattere la disinformazione politica come parte di un “cartello della censura”, rifiutandosi però di rinunciare a diffondere informazioni non veritiere durante i suoi comizi.
Il suo primo mandato è stato caratterizzato da un uso frequente del termine “fake news” per screditare i media critici. Dopo i disordini del 6 gennaio, i repubblicani hanno intensificato le iniziative contro il lavoro di fact-checking, mentre Trump prometteva, una volta rieletto, di vietare ogni coinvolgimento federale nella regolamentazione della disinformazione. Ha anche annunciato l’intenzione di indagare chiunque partecipasse a queste attività, sostenendo erroneamente che si tratti di censura.
Anche Elon Musk ha dato il suo supporto a queste politiche, dichiarandolo apertamente in un post su X dopo le elezioni. Musk, noto per la sua opposizione agli sforzi di contrasto alla disinformazione, ha persino intrapreso azioni legali contro organizzazioni non-profit impegnate a combattere l’incitamento all’odio online.
Trump ha inoltre cercato di ridurre drasticamente il budget per i media pubblici durante il suo primo mandato, minacciando l’indipendenza delle emittenti locali e investigative. Sebbene il Congresso abbia bloccato questi tagli, resta da vedere se i legislatori repubblicani riusciranno a resistere a pressioni simili in un secondo mandato.
Anche PBS, nota per i suoi reportage di alta qualità, è a rischio a causa delle riduzioni di finanziamento promosse da Trump. Musk, che potrebbe svolgere un ruolo chiave nella gestione della spesa governativa sotto la nuova amministrazione, ha già mostrato interesse a tagliare i fondi per i media pubblici.
Di fronte a queste minacce, le organizzazioni internazionali per la libertà di stampa hanno espresso preoccupazione per i potenziali attacchi alla libertà di informazione. Tuttavia, un sondaggio commissionato dall’International Center for Journalists ha rilevato che una parte significativa degli americani non percepisce tali azioni come un rischio. Secondo i dati, quasi un quarto degli intervistati (23%) non considera le minacce e gli abusi rivolti ai giornalisti da parte dei leader politici un pericolo per la libertà di stampa.