In Siria, il conflitto non si è fermato con la conquista della capitale Damasco da parte dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Il 9 dicembre, dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad, Muhammad al-Bashir è stato nominato primo ministro del nuovo governo di transizione. L’offensiva del 27 novembre, però, non è stata lanciata solo dall’HTS, ma anche da altri gruppi islamisti, come l’Esercito nazionale siriano, sostenuto dalla Turchia. Questa coalizione di gruppi armati di opposizione, presente nella Siria occidentale, continua ad operare nel territorio. La conquista della città di Manbij ha alterato gli equilibri di potere all’interno del paese, con Ankara, Washington e Tel Aviv impegnati a difendere i propri interessi.

I ribelli sostenuti dalla Turchia attaccano i curdi in Siria

Il 27 novembre, un’alleanza di gruppi jihadisti guidata da Hayat Tahrir al-Sham ha lanciato un’offensiva in Siria. Dopo l’accordo del 2020 tra Turchia e Russia, che aveva segnato un periodo di interruzione dei combattimenti attivi, questi gruppi si erano stabiliti nella Siria occidentale, vicino al confine turco. Tra gli alleati dell’HTS figura l’Esercito nazionale siriano, sostenuto da Ankara. L’obiettivo principale della Turchia è contrastare i movimenti secessionisti curdi, considerati una minaccia per la sicurezza nazionale e l’integrità territoriale.

Nonostante i jihadisti abbiano preso il controllo del governo, la caduta del regime non ha garantito loro il dominio sull’intero territorio siriano. Il 6 dicembre, l’Esercito nazionale siriano ha avviato un’operazione per conquistare il territorio controllato dal gruppo armato curdo YPG, che amministra una vasta area nel nord e nordest del paese. In pochi giorni, l’YPG ha perso la città di Manbij.

Manbij, situata a 30 km a sud del confine turco e un tempo roccaforte dell’ISIS, è stata liberata nel 2016 grazie all’intervento delle Forze Democratiche della Siria, una coalizione curdo-araba sostenuta dagli Stati Uniti. Ad oggi, il nordest, che ospita giacimenti petroliferi, è governato dall’YPG e include zone che ospitano circa 900 soldati statunitensi.

La conquista di Manbij è una vittoria per Erdogan?

Otto anni fa, dopo la liberazione di Manbij, Washington e, successivamente, Mosca avevano assicurato alla Turchia un eventuale ritiro dell’YPG dopo la sconfitta dell’ISIS. Questa promessa, cruciale per l’amministrazione turca che considera l’YPG il braccio siriano del PKK, non è stata mantenuta.

La conquista di Manbij rappresenta un importante sviluppo per l’amministrazione di Recep Tayyip Erdogan, ma non una vittoria completa. Le forze sostenute da Ankara sono determinate ad avanzare. La Turchia, invece, appoggia il pieno controllo dell’opposizione nell’area per ragioni di stabilità, sicurezza lungo il confine meridionale e per i piani nella lotta contro il PKK.

Gli interessi occidentali in Siria

Gli attacchi nel nord della Siria hanno suscitato preoccupazioni in Israele e negli Stati Uniti che hanno rivendicato i propri interessi. Dopo la caduta del regime, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha rapidamente annunciato il controllo di una parte della zona cuscinetto al confine con la Siria, nelle alture del Golan. Sebbene Israele abbia definito l’attività militare “temporanea”, Al Jazeera riporta che le forze israeliane sono avanzate fino a una profondità di almeno 18 km all’interno del territorio siriano.

Negli ultimi giorni, gli Stati Uniti hanno effettuato diversi bombardamenti aerei contro obiettivi dello Stato Islamico per impedirne la rigenerazione. Non è ancora chiaro quale ruolo assumeranno i 900 soldati statunitensi schierati per addestrare le milizie curde e condurre operazioni antiterrorismo, nel nuovo scenario politico e militare della zona.

La conquista di Manbij da parte dei ribelli filo-turchi segna un nuovo capitolo nella complessa scena che interessa la Siria. Nuove implicazioni per il futuro della popolazione e per gli equilibri geopolitici globali potrebbero manifestarsi con l’insediamento del nuovo governo. La Turchia sembra poter ottenere vantaggi strategici nel breve termine e la Siria rimane un terreno di scontro tra interessi nazionali e internazionali.