Non tutte e tutti si chiamano Cristina Seymandi, che ha avuto la possibilità di difendersi con interviste una dietro l’altra dopo la richiesta di archiviazione della procura per gli hater che avrebbero diffamato la donna dopo la tumultuosa fine della relazione affettiva con il suo compagno a pochi giorni dal matrimonio. Moltissimi, appunto, non si chiamano Cristina Seymandi, e vedono la loro reputazione calpestata da conigli da tastiera che spesso dietro l’anonimato offendono, deridono, diffamano senza per questo essere puniti.

Secondo quanto scrivono i giornali la decisione di archiviare le querele sarebbe supportata dal fatto che nei social “non pare più esigibile che la critica ai fatti privati delle persone si esprima sempre con toni misurati e eleganti. La progressiva diffusione di circostanze attinenti la vita privata e la diffusione dei social ha reso comune l’abitudine ai commenti, anche con toni robusti, sarcastici, polemici e inurbani”.

Il diritto di critica sui social non autorizza il diritto di offesa 

I commenti social erano stati postati dopo che l’ex fidanzato nel luglio del 2023 aveva annunciato pubblicamente la rottura del loro fidanzamento addebitando alla manager presunti tradimenti. È a questo punto che comparvero insulti sui social verso la donna. “Si vuole davvero – scrive l’avvocato nell’opposizione alla richiesta di archiviazione – fare passare la cattiveria e la brutalità dei commenti come fisiologiche espressioni di un diritto di critica in ragione del contesto dialettico nel quale sono realizzate le condotte? Tale epilogo si rivelerebbe assai pericoloso, in quanto legittimerebbe qualsivoglia individuo a esprimersi nelle più volgari, offensive e denigratorie maniere in qualunque contesto, sconfinando nella aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo”.

Il pubblico ministero nel motivare l’archiviazione ha sottolineato la difficoltà di identificare tutti gli odiatori che hanno agito sui social. E quindi che cosa può fare chi viene diffamato? Chi apre un profilo social dovrebbe lasciare alla piattaforma la propria identità.

Stefano Bisi