Dopo 53 anni, la Siria sotto il regime degli Assad non esiste più. Dieci giorni di offensiva delle forze ribelli sono stati sufficienti a sgretolare le posizioni dell’Esercito Arabo Siriano e a mettere in crisi il potere del dittatore Bashar.

Il regime siriano è crollato come un castello di carte. Attorno a Damasco e nelle sue periferie, sono evidenti i segni della fine di un’era: statue abbattute, carceri aperte, e una folla festante che sembra celebrare più la conclusione di un incubo durato oltre tredici anni, dalla guerra civile del 2011 fino ad oggi, che la vittoria di una fazione rispetto all’altra.

Dove si trova Assad?

Nel caos, si moltiplicano le voci sul destino di Bashar al-Assad. Secondo due alti ufficiali dell’esercito siriano e l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, l’ex presidente siriano avrebbe lasciato Damasco a bordo di un aereo diretto verso una destinazione sconosciuta, come riportato dall’agenzia Reuters.

Alcuni sostengono che Assad sia fuggito in Russia, altri che si trovi in Giordania con la famiglia. Ma nessuna di queste due ipotesi è stata confermata.

Secondo quanto riportato dal sito “Flightradar”, un aereo della compagnia “Syrian Air” è decollato dall’aeroporto di Damasco intorno al momento in cui i ribelli stavano per entrare nella capitale. Successivamente, il velivolo è scomparso dai radar.

Due fonti siriane hanno suggerito la possibilità che Assad possa essere stato coinvolto in un incidente aereo. Subito dopo il decollo infatti, il tracciato mostra una brusca deviazione, seguita dalla scomparsa del volo. Non si esclude però che il pilota possa aver spento il radar, proseguendo su un percorso strumentale verso una destinazione sconosciuta ma di breve distanza.

L’uscita di scena del Rais è avvenuta senza discorsi ufficiali, senza messaggi alle truppe e senza alcun onore, in netto contrasto con il primo ministro Mohammed Ghazi Jalali, che almeno è rimasto a Damasco per adempiere ai suoi compiti istituzionali. Con molta probabilità, sarà proprio Jalali a sancire il passaggio di potere nella Repubblica Araba Siriana, il cui futuro, oggi, è completamente incerto.

Il ruolo di Erdogan

Il presidente turco Erdogan, da mesi, non perdeva occasione per criticare Israele e la sua offensiva su Gaza. Tuttavia, è stata proprio l’ossessione di Netanyahu a permettere al “sultano” di impadronirsi del destino della Siria, pronto a dividerne il futuro con Vladimir Putin e gli ayatollah iraniani, da una posizione di forza.

I ribelli siriani hanno infatti sfruttato la guerra in Libano, che ha costretto migliaia di combattenti di Hezbollah, precedentemente schierati in Siria, a tornare a Beirut per contrastare l’avanzata israeliana da sud. Con la mancanza di truppe sufficienti sul campo, il regime di Bashar al-Assad non poteva più sopravvivere solo grazie al supporto aereo russo.

Ho offerto ad Assad una trattativa, ma non ho mai ricevuto risposta“, ha dichiarato Erdogan nei giorni scorsi, come a spiegare le ragioni che lo hanno spinto a intraprendere l’assalto finale.

Il futuro della Siria in mano ai jihadisti

I ribelli anti-Assad sono divisi in almeno due fazioni:

  • e le forze filo-turche dell’Esercito Nazionale Siriano.

A questi si aggiungono i comandi operativi nel Sud e le Forze Democratiche Siriane curde, che hanno già avviato canali di comunicazione con gli anti-Assad e i jihadisti.

Sebbene il crollo del regime di Assad sia stato senza gloria, il futuro della Siria appare ancora più complesso proprio per questo motivo.

Il vuoto di potere che si è creato a seguito dell’offensiva, iniziata ad Aleppo e giunta rapidamente a Damasco, rafforza ciò che si poteva già prevedere prima della tempesta: la Siria non esiste più. Oggi esistono tante Sirie diverse, e la possibilità che i vincitori di questa offensiva si uniscano in un fronte comune è ancora un’incognita, su cui è necessario nutrire forti dubbi fino a quando non ci saranno prove concrete.

Nel frattempo il terrorista al-Jolani, che un tempo era membro di Al-Qaeda, sta cercando di assumere il ruolo di leader, promuovendo la diversità e l’inclusione delle minoranze.

Tuttavia, la realtà dei fatti è che uno dei Paesi con la tradizione più antica del Medio Oriente, culla della civiltà ellenistica, del cristianesimo primitivo e dell’Islam nel suo periodo di massimo splendore, rischia di essere dominato da forze radicali nei prossimi anni.

Questo potrebbe accadere soprattutto a causa della passività del regime che sta crollando. Le ultime roccaforti di Assad sulla costa mediterranea, dove si trovano le basi russe di Latakia e Tartus, hanno ora un destino incerto: verranno utilizzate come pedina di scambio per un cambiamento di regime? O cederanno ai militanti e ai jihadisti? Tutto ciò si inserisce nel grande caos geopolitico della Siria, un Paese al centro di molteplici crisi e appetiti stranieri, di cui è ormai difficile parlare in modo univoco.