Scomparso dalle scene nel 2019 dopo le accuse di molestie sessuali ricevute da parte di alcune donne, con le quali ha poi raggiunto un accordo economico, l’attore James Franco oggi ritorna sul grande schermo da protagonista in un film del regista romano Claudio Giovannesi. La pellicola, intitolata “Hey Joe”, è stata presentata in anteprima lo scorso 25 ottobre alla Festa del cinema di Roma.

“Hey Joe”, recensione

1944.
La Seconda Guerra Mondiale è agli sgoccioli e per le vie in rovina dei Quartieri Spagnoli di Napoli si aggira un giovane soldato con un bellissimo volto da divo del cinema. Si chiama Dean Berry (James Franco), viene dal New Jersey e nella miseria dei “vasci” ha incontrato due splendidi occhi verdi e una morbida bocca carnosa che lo hanno rapito all’istante. Quegli occhi sono di Lucia Stendardo (Giada Savi), una ragazza ingenua e ancora vergine che vive con la nonna in un seminterrato che affaccia su un vicolo stretto e buio. Per Lucia la compagnia sempre più presente di Dean rappresenta un bagliore di luce che illumina quelle quattro mura cadenti, regalandole un genuino entusiasmo che la fa sembrare quasi bambina. Lucia rimane incinta e mentre la sua pancia cresce, come una pasta lievitata, Dean le rimane accanto scoppiettante di gioia. Ma a poche settimane dal parto lui sarà costretto a ripartire per gli Stati Uniti, rompendo l’incanto di una favola troppo rosea per essere vera. Difatti lui le prometterà di tornare al più presto da lei e dal loro bimbo, ma in realtà non farà mai più ritorno. Adesso è il 1971 e Dean ormai è maturato. Altre due guerre lo hanno visto coinvolto in battaglia: quella in Corea e quella del Vietnam. E dopo tutto sembra esserne uscito quasi svuotato e incapace di provare emozione alcuna. Ha trovato anche il tempo di sposarsi e di divorziare, di non pagare gli alimenti, di diventare un alcolista e di finire perso, senza uno scopo, sospeso in giornate vane che oscillano tra un bicchiere di gin e una partita a biliardo. E per ben ventiquattro anni non ha mai pensato davvero a suo figlio, che ormai è un uomo e si chiama Enzo (Francesco di Napoli). Ma all’improvviso, ricevuta una lettera in ritardo di dodici anni, Dean proverà l’istinto di andare a cercare quel ragazzo che ha abbandonato prima ancora che nascesse.

“Hey Joe”, approfondimento e critica

Cinque anni fa Claudio Giovannesi presentava in concorso alla 69ª edizione del festival di Berlino l’adattamento cinematografico de “La Paranza dei Bambini” di Roberto Saviano. La pellicola fu poi premiata col Leone d’Argento per la miglior sceneggiatura e successivamente candidata a svariati altri premi. Al botteghino incassò la bellezza di 1,8 milioni di euro in Italia e raggiunse in totale quasi 3 milioni di dollari a livello mondiale. Crudo e doloroso, il film mostrava senza pietà l’adesione tra gli adolescenti alla camorra nei quartieri più poveri e più antichi di Napoli. Ma non era la prima volta che Giovannesi e Saviano si incontravano: il regista aveva già diretto due episodi della serie “Gomorra”, sempre tratta da un libro dello scrittore partenopeo. Il cineasta romano tuttavia non sembra essere attratto esclusivamente dalla narrazione di una Campania violenta e senza redenzione, ma più specificatamente dal dolore e dalla perdizione giovanile sviluppati in contesti di povertà e violenza: possiamo riscontrarlo, ad esempio, in altri suoi lavori come “Ali Ha Gli Occhi Azzurri” (2012) e “Fiore” (2016). Proprio per questo, dopo ben cinque anni dal suo ultimo lavoro, avendo io appreso dell’imminente uscita di “Hey Joe”, il suo nuovo lungometraggio presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso 25 ottobre, le mie aspettative erano altissime, ma sono state tristemente disilluse.

Ma andiamo per ordine: anzitutto Giovannesi ha scelto nuovamente Napoli come sfondo “attivo” (il capoluogo campano non potrebbe mai, in nessuna occasione, risultare un semplice contesto passivo, nel bene e nel male…) per la narrazione di una storia scritta da lui stesso insieme agli sceneggiatori Maurizio Braucci e Massimo Gaudioso, e ha scritturato ancora una volta l’attore Francesco di Napoli, come nella sua precedente opera, per uno dei personaggi principali. La trama, come spiegato prima, parla di un ex veterano del New Jersey che durante la Seconda Guerra Mondiale, in servizio in Italia, aveva conosciuto e messo incinta una ragazza napoletana. Tornatosene in America prima del parto, si era poi dimenticato di lei e di suo figlio Enzo. Ma ventiquattro anni dopo, per una bizzarra coincidenza, si ricorderà proprio di quel bambino, ormai ragazzo, abbandonato ancor prima di vederlo nascere e tornerà a cercarlo in quei luoghi dove aveva trovato l’amore.

Ecco, è qui che entra in scena l’attore James Franco scelto per il ruolo del protagonista Dean Barry. Dunque serviva un volto statunitense che potesse intrepretare la parte e Franco, probabilmente, sarà risultato come un’occasione a prezzo stracciato di accaparrarsi un nome noto per pochi spiccioli. Perché dico questo? Perché magari molti lo avranno già dimenticato, ma l’attore americano nel 2018, in pieno Me Too, è stato accusato di molestie sessuali da parte di alcune donne. Raggiunto un accordo economico con le vittime e rilasciata una bislacca ammissione di colpevolezza a metà, lasciando tutta la responsabilità a una presunta dipendenza dal sesso, aggravata dall’uso di alcol e droghe, James Franco dal 2019 è poi sparito dalle scene perché nessuno lo ha più voluto scritturare. Lo ritroviamo nel 2025, mi spiace ammetterlo, con un aspetto più maturo, composto e tremendamente affascinante ad interpretare un personaggio molto diverso dai suoi abituali ruoli. Eppure, se in tanti hanno riconosciuto in lui delle notevoli doti attoriali, personalmente, ben prima del raccapricciante scandalo che lo ha coinvolto, non l’ho mai trovato granché espressivo. Di sicuro in “Hey Joe” l’ho apprezzato di più rispetto al solito, ma la sua interpretazione per me rimane un’esecuzione nella media. Per quanto riguarda il resto del cast la recitazione risulta di buon livello che non sfigura affatto al fianco di un nome internazionale, come invece purtroppo accade spesso nel cinema italiano.

E allora che cos’è che manca a questa narrazione per colpire fino in fondo? L’anima e il cuore, paradossalmente come a tutte le parti recitate da Franco. Sembra che il film abbia assorbito l’essenza di un uomo piatto, per risputarla sul grande schermo in 117 minuti. Attenzione, non sto dicendo che sia brutto; l’ho trovato gradevole e scorrevole, nonostante la poca plausibilità di alcuni aspetti (soprattutto il finale, non molto realistico). Ma questo soggetto non lascia il segno, come gli altri lavori di Giovannesi. Nonostante i temi drammatici, per la delicatezza con la quale si contraddistingue, risulta più come una commedia. Non graffia, non ti schiaffeggia violentemente con vigore, non ti pugnala all’addome infilandoci poi le mani dentro, cercandoti le viscere per strappartele via. Non commuove. Ti tiene compagnia per appena due ore e poi ti lascia andare, come un flirt estivo. Da un regista del genere non mi aspetto, bensì pretendo molto di più. Perfetto per una fredda domenica pomeriggio e non molto altro. Tre stelle su cinque.