Il dietro le quinte di “It Ends With Us” è stato più complesso di quanto si potesse immaginare. Justin Baldoni, regista e protagonista del film tratto dal best seller di Colleen Hoover, ha recentemente condiviso un’esperienza personale toccante, rivelando di aver attraversato un periodo di profonda crisi emotiva durante le riprese. L’attore e regista ha ammesso di aver quasi subito un crollo nervoso a causa della pressione e delle intense emozioni legate al progetto.
Baldoni ha parlato apertamente delle sfide affrontate durante la realizzazione del film, visti i temi delicati come le relazioni abusive e il trauma emotivo. L’impegno di Baldoni nel portare sullo schermo una storia così intensa e complessa ha richiesto un grande investimento emotivo, portandolo a confrontarsi con aspetti personali molto profondi. La sua esperienza offre uno sguardo inedito sul processo creativo e sulle difficoltà che gli artisti possono incontrare nel portare a termine un progetto ambizioso.
Justin Baldoni racconta di aver avuto quasi un crollo durante le riprese di It Ends With Us, ecco perché
Justin Baldoni, noto al pubblico per il suo ruolo in “Jane the Virgin” e per aver diretto il film “It Ends With Us”, ha recentemente condiviso un’esperienza personale profonda e toccante. In un’intervista al podcast “How to Fail With Elizabeth Day”, l’attore e regista ha parlato delle sfide emotive affrontate durante le riprese del suo ultimo film, rivelando un “quasi crollo nervoso” causato dall’intensità del ruolo e dal peso dei temi trattati.
Interpretando Ryle Kincaid, un personaggio complesso e tormentato nel film tratto dal bestseller di Colleen Hoover, Baldoni si è immerso in un mondo di gelosia, possessività e violenza emotiva. Una scena in particolare, quella in cui Ryle scopre il messaggio di Lily (Blake Lively), ha scatenato in lui un’ondata di emozioni così intense da portarlo al limite. “C’era così tanto dolore“, ha confessato Baldoni. “Ho dovuto andarmene e piangere e tremare“.
L’attore ha spiegato come il personaggio di Ryle sia il risultato di un profondo dolore interiore, un uomo che nasconde le proprie ferite dietro una facciata di controllo. “Non è necessariamente ciò che fa, ma che ciò che fa è il risultato di ciò che ha tenuto dentro per tutta la vita“, ha affermato. Baldoni ha ammesso di aver vissuto un’esperienza simile, lottando con le conseguenze di un trauma sessuale subito in passato.
“Ho incontrato una donna al college e sono rimasto così coinvolto in quella ‘relazione pessima’ che era l’unica cosa di cui mi preoccupava“, ha raccontato. “Ho cambiato chi ero per soddisfare ciò che lei voleva e ho perso completamente il senso di me stesso“. L’esperienza ha lasciato profonde ferite nell’anima di Baldoni, che ha combattuto a lungo con le conseguenze di quel trauma.
La scelta di dirigere “It Ends With Us” è stata per Baldoni un modo per affrontare i propri demoni interiori e sensibilizzare il pubblico su temi importanti come la violenza domestica e il trauma emotivo. Tuttavia, l’immersione totale nel personaggio di Ryle ha avuto un costo emotivo elevato, portandolo a vivere un’esperienza quasi travolgente.
Oltre alle difficoltà legate all’interpretazione del personaggio, Baldoni ha parlato anche delle sfide legate alla regia. “Dirigere è un lavoro molto solitario”, ha ammesso. “Sei in cima a questo totem pole. Nei tuoi momenti di silenzio, tutti hanno mille domande per te e nessuno vuole disturbarti e non hai molte persone con cui parlare“.
L’importanza della psicoterapia per Baldoni
“Essere un uomo significa in gran parte esibirsi e assicurarsi che tutti sappiano che siamo al sicuro“, ha ammesso Baldoni, sottolineando come la società spesso impedisca agli uomini di esprimere la propria vulnerabilità e di chiedere aiuto. Tuttavia, grazie al supporto di un terapeuta e a un percorso di auto-scoperta, l’attore è riuscito a superare questo ostacolo e a trovare la forza di condividere la sua storia.
Un’altra importante tappa nel percorso di guarigione di Baldoni è stata la diagnosi di ADHD, ricevuta all’età di 40 anni. Questa scoperta ha gettato una nuova luce sul suo passato, spiegando molte delle difficoltà che aveva incontrato durante l’infanzia e l’adolescenza. “Ho sentito di non essere abbastanza intelligente, di non essere all’altezza”, ha confessato.
Nonostante il dolore causato dalle esperienze negative del passato, Baldoni è riuscito a trasformare queste ferite in una forza motrice. Grazie alla sua vulnerabilità e alla sua onestà, è diventato un modello per molti, dimostrando che è possibile superare anche le sfide più difficili e trovare la propria strada verso la guarigione.
In conclusione
Le parole di Justin Baldoni sono un invito a riflettere sull’importanza della salute mentale, sulla necessità di abbattere i tabù legati alla vulnerabilità maschile e sulla possibilità di trasformare il dolore in forza. La sua storia è un esempio di come l’arte possa essere uno strumento di guarigione e di come condividere le proprie esperienze possa aiutare gli altri a sentirsi meno soli.