Una vecchia massima sostiene: se fossi un altro, vorrei essere un altro ancora. Insomma: nessuno è mai contento di come è. Figurarsi del proprio sistema politico-istituzionale. Così, se al momento dell’insediamento da premier, Giorgia Meloni ha annunciato la riforma del premierato sul modello semipresidenziale francese, ora in Francia molto probabilmente pagherebbero oro per avere le nostre regole: c’est la vie.
La situazione in Francia che ci fa essere invidiati dai nostri cugini
E insomma: la Francia si è ficcata in un pasticciaccio brutto.
Prima di tutto, il Governo in carica non ha una maggioranza. Dopo appena tre mesi, Michel Barnier sta già per lasciare Matignon e i francesi di nuovo senza esecutivo.
In più: se il voto previsto per stasera, 4 dicembre, verrà confermato saldando il Rassemblement National di Marine Le Pen con la sinistra di Jean-Luc Melenchon, in Parlamento, non si potrà trovare nessun’altra maggioranza per un eventuale nuovo esecutivo.
Non è finita: il Parlamento, essendo stato appena eletto (in Francia si è andati al voto anticipato dopo la vittoria dell’estrema destra alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno scorsi), non può essere sciolto prima di un anno.
E, last but not least, Emmanuel Macron, il presidente eletto con voto popolare all’Eliseo, non ci pensa nemmeno a dimettersi: in Arabia Saudita, dove è in visita ufficiale, ha parlato di “fantapolitica” quando gli hanno prospettato questa eventualità:
“Non ha senso lasciare prima del 2027. Sono stato eletto due volte dal popolo francese. Ne sono estremamente fiero e onorerò la fiducia che mi è stata concessa con tutta l’energia che ho a disposizione, fino all’ultimo istante”
La casa brucia
E quindi: anche se è un paradossale scherzo della storia dirlo adesso, alla vigilia della riapertura al pubblico di Notre-Dame, la mitica cattedrale di Parigi andata in fiamme a metà aprile del 2019, la casa brucia. La casa istituzionale dei nostri cugini d’Oltralpe è in fiamme: si salvi chi può.
Già, ma come? L’impasse istituzionale francese, almeno al momento, ha davvero poche soluzioni. Di conseguenza, i dati finanziari sono già in affanno: lo spread (ve la ricordate questa parolina con cui noi italiani familiarizzammo nel 2011?) è fuori controllo. A Parigi la febbre è sopra i livelli di guardia: mon Dieu!
Sta di fatto che quando capitò l’ultima volta a noi il rischio di non poter pagare stipendi e pensioni, ce la cavammo facendoci il segno della croce e ricorrendo al governo tecnico di monsieur Mario Monti.
Nel 2011, furono lacrime e sangue. Lacrime vere, tipo quelle di Elsa Fornero nell’annunciare i sacrifici per le pensioni, come il video dell’allora webtv del Pd, uno dei partiti che sostenne quel governo tecnico, ricorda su YouTube
Ma fu anche il modo per uscire dal tunnel.
Un sistema politico-istituzionale valido deve sempre prevedere una via d’uscita, anche quando la nave è in piena burrasca: sembra elementare, Watson. Ma, evidentemente, non lo si può dare sempre per scontato.
In ogni caso: i tanto vituperati governi tecnici ci hanno salvato dalla bancarotta non solo nel 2011. Ma anche nel biennio di transizione tra Prima e Seconda Repubblica 1993-1994 con Carlo Azeglio Ciampi; nel 1995-1996 con Lamberto Dini. E, in tempi molto più recenti, con un altro Super Mario: Draghi, dal 2021 al 2022.
E insomma: un salvagente, magari lanciato da qualche cosiddetta gran bella “riserva della Repubblica”, bisogna sempre averlo a portata di mano.
Il paradosso del premierato
Ora, però, il paradosso è che i francesi pagherebbero oro per avere un sistema politico-istituzionale elastico come il nostro. Ma noi siamo proiettati a cambiarlo facendolo assomigliare al loro. Dopo la mezza bocciatura dell’Autonomia differenziata, con la riforma della giustizia, rimane in piedi quella del premierato: la riforma delle riforme che storicamente sogna la destra di Giorgia Meloni. Tant’è che l’ha annunciata fin dal suo discorso di insediamento all’indomani delle elezioni vinte nel 2022. E ancora lo scorso maggio, intervenendo all’evento “La Costituzione di tutti – Dialogo sul Premierato”, la mise così:
“Sul premierato rischio, ma non starei in pace con me stessa se non lo facessi”
Lo testimonia l’agenzia Vista su YouTube
Tuttavia: visto ciò che sta accadendo a Parigi, chissà se madame Giorgia Meloni non ci stia ripensando.
Il paradosso del doppio turno alla francese
E in ogni caso: i fatti di Parigi stanno demolendo un altro pilastro della politica italiana: la legge elettorale a doppio turno alla francese, appunto. Soprattutto a sinistra, la si vede come un caposaldo per garantire, allo stesso tempo, pluralismo e stabilità. Salvare capre e cavoli si può, insomma. E quindi, presi dalla nostra proverbiale esterofilia: à la guerre comme à la guerre!
Fatto sta, però, che in Francia stanno ripudiando anche quella: Marine Le Pen vorrebbe qualcosa di simile al nostro proporzionale, per intenderci. Magari, proponendole il nostro modello, le allegheremo anche il manuale Cencelli: le farebbe comodo come il libretto delle istruzioni.