Il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol ha sorpreso la nazione annunciando, nella notte di mercoledì, la dichiarazione della legge marziale di emergenza su scala nazionale. La decisione, poi revocata dopo il voto del Parlamento, prevedeva la sostituzione del governo civile con un’amministrazione militare. Se il provvedimento fosse stato confermato, sarebbe stata la prima volta dopo 44 anni.

Secondo l’articolo 77 della Costituzione sudcoreana, il presidente può ricorrere alla legge marziale in caso di guerra o altre emergenze nazionali.

Essa si divide in due categorie:

  • la legge marziale di emergenza,
  • la legge marziale di sicurezza.

Nel caso specifico, Yoon ha optato per la prima variante, che comporta la limitazione di diritti fondamentali come la libertà di parola, di stampa, di riunione e di associazione. Inoltre, assegna alle autorità militari poteri straordinari per gestire la crisi.

Quante volte è stata proclamata la legge marziale in Corea del Sud?

Nella storia della Corea del Sud, la legge marziale è stata dichiarata circa 16 volte, con la prima applicazione risalente all’agosto 1948, poco dopo la fondazione della Repubblica. Durante la Guerra di Corea (1950-1953), la legge marziale divenne uno strumento regolare per affrontare il caos bellico. Successivamente, nel 1961, il generale Park Chung-hee instaurò un regime militare attraverso un colpo di stato, ripristinando la legge marziale. Durante la sua presidenza (1961-1979), questa misura venne utilizzata sistematicamente per reprimere il dissenso e mantenere il controllo.

La Costituzione Yushin del 1972 introdusse una forma di legge marziale permanente, trasformando la presidenza in una dittatura virtuale. Nonostante le misure autoritarie, il governo di Park fu anche segnato da una rapida crescita economica, che gli garantì un certo sostegno popolare. Park riteneva che la democrazia liberale occidentale non fosse adatta alla Corea del Sud in quel momento storico, proponendo invece un modello di “democrazia coreana” basato su un potere presidenziale forte e centralizzato.

Il massacro di Gwangju del 1980

L’assassinio di Park Chung-hee nel 1979 sembrò aprire uno spiraglio per la democrazia, ma fu presto seguito da un nuovo colpo di stato guidato dal generale Chun Doo-hwan. Nel dicembre dello stesso anno, Chun dichiarò nuovamente la legge marziale, ampliandone i poteri fino a vietare le attività politiche, chiudere le università e censurare la stampa.

Nel maggio 1980, la città di Gwangju si sollevò contro il regime autoritario chiedendo democrazia. La risposta del governo fu brutale: sotto la legge marziale, le forze armate repressero violentemente le proteste, provocando il massacro di centinaia di civili. Questo evento, noto come la “Rivolta di Gwangju”, divenne un simbolo della lotta contro l’autoritarismo e una pietra miliare del movimento democratico sudcoreano.

La “Rivolta di Giugno” del 1987 e il percorso verso la democrazia

Le proteste nazionali del giugno 1987, conosciute come la “Rivolta di Giugno”, costrinsero il regime di Chun Doo-hwan ad attuare parziali riforme democratiche. Tra queste, spiccò l’introduzione delle elezioni presidenziali dirette, un passo importante verso la democratizzazione. Gli eventi di quell’anno cruciale sono stati immortalati nel film coreano del 2017 1987: When the Day Comes, che racconta la lotta del popolo per la libertà.

Dopo le conquiste democratiche degli anni ’80, la legge marziale non è stata più utilizzata in Corea del Sud, segnando un periodo di relativa stabilità democratica. Tuttavia, questo equilibrio è stato interrotto dalla recente decisione del presidente Yoon Suk Yeol, che ha dichiarato la legge marziale d’emergenza, una scelta inaspettata che ha scosso la nazione.

Un ritorno al passato che spaventa

Nel tentativo di giustificare questa controversa mossa, Yoon Suk Yeol ha fatto appello al patriottismo e al senso democratico dei cittadini. “Ho proclamato la legge marziale d’emergenza per salvaguardare la nazione dalle forze anti-statali che minacciano di paralizzare le funzioni essenziali dello Stato e il nostro ordine costituzionale democratico”, ha dichiarato il presidente. Nonostante queste parole, Yoon, già gravemente impopolare, si trova ora sotto una crescente pressione politica, con richieste di impeachment sempre più forti.

Per molti sudcoreani, il ritorno (per ora sventato) alla legge marziale rappresenta un ricordo inquietante di un’epoca oscura della loro storia, caratterizzata da repressione e autoritarismo. L’idea che uno strumento politico così controverso possa essere nuovamente utilizzato da un leader in difficoltà suscita timori e resistenze. La popolazione, che ha lottato duramente per conquistare la democrazia, appare determinata a non permettere un ritorno a quei giorni bui.