La Riforma dell’Autonomia Differenziata violerebbe – in alcune sue parti – la Costituzione italiana in quanto non terrebbe nel giusto conto i principi di bene comune, tutela dei diritti e sussidiarietà. Queste in sintesi le ragioni alla base della sentenza della Corte Costituzionale che, lo scorso 14 novembre, ha demolito l’impianto portante della Legge 86/2024, la legge sull’Autonomia Differenziata, rispedendo al Parlamento un testo lacunoso, da emendare in molte sue parti.

Una decisione le cui motivazioni sono state rese note oggi, martedì 3 dicembre, con il deposito della sentenza numero 192 del 2024, relativa alle questioni di costituzionalità sulla legge sull’autonomia differenziata. Il contenuto di questa sentenza era stato anticipato con il comunicato stampa della Corte del 14 novembre.

Motivazioni che confermano i limiti di costituzionalità della riforma che ha subito diviso l’opinione pubblica e le regioni, creando schieramenti tra favorevoli e contrari. Una riforma accusata di voler spaccare l’Italia e contro la quale sono state raccolte in poche settimane un milione e trecentomila firme a sostegno della richiesta di un referendum abrogativo sulla cui ammissibilità la Cassazione dovrà pronunciarsi il prossimo mese di gennaio.

Vediamo perché la Consulta ha dichiarato incostituzionali e cancellato molte parti della norma approvata a giugno dal Parlamento.

Autonomia differenziata, la decisione della Consulta

La legge Calderoli ha subito un colpo durissimo, ma, non è stata completamente distrutta dall’esame di costituzionalità della Consulta che – pur individuando numerose criticità – non ha ritenuto di dichiarare l’intera norma incostituzionale.

Come già anticipato nelle scorse settimane, però i giudici romani hanno bocciato alcuni dei pilastri portanti della riforma e soprattutto hanno stabilito che – a differenza di quanto previsto dalla legge Calderoli – non sarà possibile trasferire blocchi di più materie o funzioni e che la determinazione dei Lep non possa avvenire senza il passaggio in Parlamento.

Due elementi fondamentali dell’impianto della Riforma che adesso il Parlamento dovrà ripensare per mantenere l’operatività della norma.

Nello specifico la Corte Costituzionale ha individuato in totale 14 elementi di incostituzionalità che, come già detto, vanno a modificare due aspetti sostanziali della norma: il trasferimento delle materie e la determinazione dei Lep, i livelli essenziali di prestazioni che rappresentano l’indicatore del livello dei servizi garantiti ai cittadini di ciascuna regione.

I nodi: trasferimento materie e definizione dei Lep

In merito al primo punto, ovvero il trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni, la Corte Costituzionale restringe significativamente l’elenco delle materie potenzialmente trasferibili agli enti territoriali che, tra l’altro non possono essere trasferite in blocco. La sentenza nelle sue motivazioni stabilisce anche il principio che il trasferimento delle materie trasferibili debba avvenire nel rispetto del principio di sussidiarietà.

La sussidiarietà si basa sull’idea che le funzioni pubbliche debbano essere svolte al livello territoriale più vicino ai cittadini, ossia quello che è in grado di gestirle in modo più efficiente e rispondente ai bisogni locali. Tale principio applicato all’Autonomia Differenziata stabilisce pero anche che le funzioni possano essere trasferite solo se le regioni sono in grado di esercitarle in modo più efficace rispetto allo Stato.

L’altro pilastro demolito dalla decisione della Consulta riguarda, invece, i Lep o meglio il meccanismo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che la legge affidava al Governo. La Consulta ha stabilito che tale potere deve essere in capo al Parlamento.

I LEP non possono essere determinati da una delega legislativa aperta ma devono essere definiti in maniera precisa e vincolante, poiché la loro individuazione è cruciale per garantire equità tra i cittadini, a prescindere dalla regione di residenza.

Il ricorso, Emiliano: “Bocciato progetto devolution Lega”

A sollevare la questione di costituzionalità della Legge Calderoli sono state quattro regioni italiane, tutte a guida centrosinistra, ovvero la Campania di Vincenzo De Luca, la Toscana di Eugenio Giani, la Sardegna della governatrice pentastellata Stefania Todde e il governatore della Puglia, Michele Emiliano. Proprio quest’ultimo, ai microfoni dell’inviato di Tag24.it Michele Lilla, ha spiegato l’importanza della pronuncia della Consulta su una questione dirimente come quella del trasferimento delle funzioni (e non più delle materie) alle regioni.

“Il punto essenziale che è molto complesso dal punto di vista tecnico è che non si possono trasferire blocchi di materie alle regioni, ma si possono trasferire solo singole funzioni, quindi un’interpretazione molto riduttiva dell’autonomia differenziata e che quindi non può servire alla devolution che era il progetto politico della Lega.”

Spiega Emiliano che poi lancia un appello a trovare una soluzione condivisa, che superi le divisioni politiche e geografiche, e favorisca un processo di autonomia differenziata che non divida ulteriormente l’Italia, ma che invece promuova l’armonia tra le regioni.

“Bisognerà trovare un accordo se vogliamo dare più potere alle regioni con la norma ordinaria che prevede una procedura rinforzata adesso bisogna far prevalere l’armonia e non la divisione. La divisione Nord/ Sud dell’Italia è una iattura gravissima, è una battaglia che dobbiamo fare insieme, non ci si può riuscire a strappi.”

Conclude il governatore pugliese.

Le regioni ‘ribelli’ avevano chiesto alla Corte Costituzionale di valutare l’incostituzionalità dell’intera legge, ma i giudici hanno ritenuto infondata tale richiesta individuando, come già detto, solo alcune disposizioni illegittime con 14 dichiarazioni di incostituzionalità, 12 inammissibilità e 24 dichiarazioni di non fondatezza.

In sintesi: perché la Consulta ha bocciato l’autonomia differenziata

La Corte Costituzionale ha bocciato parti significative della Legge sull’Autonomia Differenziata, ecco le ragioni e le conseguenze dell’intervento della Corte:

  • Principio di sussidiarietà: La riforma prevedeva il trasferimento di interi settori alle regioni, ma la Corte ha stabilito che solo singole funzioni possono essere trasferite, e ciò solo se le regioni sono in grado di gestirle più efficacemente dello Stato.
  • Definizione dei LEP: La legge delegava al Governo la determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), ma la Corte ha deciso che questa deve essere una prerogativa del Parlamento, per garantire equità tra i cittadini di tutte le regioni.
  • Riforma incompleta e necessità di modifiche: La Corte ha bocciato molti aspetti della legge, rimandando al Parlamento la revisione di disposizioni critiche, senza dichiarare l’intera legge incostituzionale.