I nuovi attacchi jihadisti in Siria hanno riacceso i timori di una destabilizzazione nel Medio Oriente. Il conflitto siriano, già devastante dal 2011, è tornato sotto i riflettori con la nuova offensiva lanciata il 27 novembre 2024 dagli oppositori del presidente Bashar al-Assad. Dopo otto anni di relativa calma, questa nuova escalation rappresenta una grave minaccia per un paese già provato da anni di guerra e crisi umanitaria.
Il Medio Oriente, storicamente segnato da disordini politici, dispute territoriali e conflitti armati, ha assistito ad un’intensificazione delle ostilità nell’ultimo anno. La situazione siriana si inserisce in un contesto regionale caratterizzato da fragilità e tensioni sempre crescenti.
Guerra in Siria, gli attacchi jihadisti e il ritorno delle tensioni
Il 27 novembre le forze ribelli siriane hanno lanciato un’avanzata sorprendente nel nordovest del paese. Hanno preso il controllo delle città che si trovano in quella zona. Hanno, inoltre, raggiunto in soli tre giorni, il 30 novembre, la città di Aleppo, la seconda più grande della Siria. Questo sviluppo ha un’importanza strategica e simbolica. Aleppo, conosciuta come la capitale economica del paese, riveste un ruolo cruciale per la sua posizione e le sue risorse.
La città ha un significato storico nel conflitto siriano, poiché il ritiro dei jihadisti nel 2016 aveva segnato una svolta significativa nelle operazioni militari del regime di Assad. Il ritorno dei combattimenti in questa area sottolinea l’entità della nuova crisi e il rischio di una rinnovata destabilizzazione della Siria.
La guerra civile siriana non si è mai realmente conclusa. I ribelli hanno mantenuto il loro bastione principale nella provincia di Idlib, nel nordovest del paese, vicino al confine con la Turchia. A guidare questa resistenza c’è Hayat Tahrir al-Sham, un gruppo estremista emerso come ex affiliato siriano di al-Qaeda, noto in passato come Fronte al-Nusra. Nella coalizione ribelle figura anche l’Esercito siriano libero, un’organizzazione sostenuta dalla Turchia. Ankara ha appoggiato l’opposizione contro il regime di Assad, nel tentativo di contrastare i movimenti secessionisti curdi, che considera una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale.
Il regime di Damasco ha beneficiato del sostegno delle forze russe e iraniane e degli alleati di Teheran durante la guerra. Dopo l’ultima offensiva, Mosca ha prontamente annunciato il suo appoggio ad Assad, facendo riferimento alla “sovranità siriana” e sta partecipando attivamente agli attacchi.
Perché si è riaccesa la guerra in Siria?
Il rapido avanzamento dei ribelli in Siria arriva in un momento di grande instabilità nella regione. Le ostilità in Libano e la guerra a Gaza hanno contribuito ad alimentare la nuova ondata di combattimenti, aggravando ulteriormente le tensioni nel Medio Oriente.
Negli ultimi mesi, le forze israeliane, oltre a combattere nella Striscia di Gaza, hanno effettuato numerosi raid contro le basi iraniane in Siria, uno dei principali alleati di Damasco. L’incursione di terra in Libano e l’uccisione di leader e alti dirigenti di Hezbollah da parte dell’IDF hanno ulteriormente indebolito il gruppo sostenuto dall’Iran. Inoltre, l’uccisione del capo delle milizie al-Quds, Qassem Soleimani, nel 2020, e le crescenti tensioni tra Teheran e Tel Aviv nell’ultimo anno hanno contribuito a ridurre l’influenza iraniana in Siria.
Anche la Russia, che ha annunciato il suo sostegno al regime di Damasco, è impegnata dal febbraio 2022 nella guerra in Ucraina. Kiev e i suoi alleati occidentali accusano Mosca di coinvolgere soldati nordcoreani sul fronte del conflitto nella regione russa di Kursk, mentre altre forze russe sono concentrate maggiormente nell’Ucraina orientale. Questo impegno in Ucraina ha ridotto la capacità della Russia di intervenire direttamente in Siria, limitando il suo ruolo nella regione. I ribelli cercano di trarre profitto da un governo e dai suoi alleati entrambi indeboliti o impegnati nelle proprie battaglie.
Nell’ultimo mese, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dato segnali di una possibile normalizzazione delle relazioni tra Ankara e Damasco. Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha dichiarato che la Turchia non è coinvolta direttamente nell’escalation del conflitto in Siria:
Non intraprenderemo alcuna azione che possa innescare una nuova ondata migratoria.
I media turchi hanno riferito che, il 30 novembre, il ministro Fidan ha avuto colloqui separati con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, e con quello iraniano, Abbas Araghchi. Russia e Turchia avevano raggiunto un accordo di cessate il fuoco nel 2020, contribuendo a mettere fine ai combattimenti più intensi. Questo periodo relativamente calmo non ha eliminato le fratture profonde e l’instabilità persiste in diverse aree del paese con l’ombra di potenziali nuovi scontri e tensioni.
Le radici del conflitto: cosa è accaduto prima?
Nel 2011, a seguito delle proteste della Primavera Araba, sono scoppiate le manifestazioni pro-democrazia in Siria contro il regime di Assad. Successivamente, è stata formata un‘opposizione armata composta da vari gruppi ribelli. In risposta, il regime di Assad ha ottenuto l’appoggio della Russia, dell’Iran e di altri alleati di Teheran, che hanno formato un’alleanza per difendere il governo siriano e respingere le forze ribelli.
Negli anni successivi, l’ISIS ha preso il controllo di diverse aree. Le Forze democratiche siriane, una coalizione composta da combattenti curdi e tribù arabe locali e sostenuta dagli Stati Uniti, sono state determinanti nel respingere gli estremisti islamici.
Nonostante l’accordo del 2020 che ha portato ad una relativa stabilizzazione in alcune zone, il regime di Assad non è riuscito a riconquistare l’intero territorio siriano. Fino al 27 novembre, non sono emerse grandi rivolte contro il regime, sebbene la situazione risultasse fragile e complessa.