Gaetano Nastri (Fratelli d’Italia), Marco Meloni (Pd), Ivan Scalfarotto (Italia Viva), Tino Magni (Avs), Stefano Patuanelli (Movimento Cinque Stelle), Susanna Camusso (Pd) e Antonio Iannone (Fratelli d’Italia): cos’hanno in comune questi sette senatori? Tutti si sono detti d’accordo per giungere, nella prima metà del 2025, a una delibera di Palazzo Madama che garantisca un salario maggiore, più tutele e maggiori diritti ai collaboratori parlamentari.

Del resto, sono questi ultimi a mandare avanti la baracca della nostra democrazia. Sono loro che studiano i dossier, preparano i testi di legge, scrivono i discorsi, tengono l’agenda dei politici. Perciò, se davvero si vuole dare nuova centralità al parlamento, soprattutto dopo il taglio dei deputati e dei senatori sancito dal referendum costituzionale del 2020, non si può prescindere dall’investire su di loro.

E, in tal senso, dall’altroieri, mercoledì 27 novembre 2024, quando è stato approvato il bilancio interno del Senato, una speranza in più sembrerebbe esserci.

Una vita da collaboratore parlamentare

E insomma: in Italia, una delle anomalie che si vivono nel cuore del nostro sistema democratico è quella che vede i collaboratori parlamentari, spesso persone molto preparate nonché appassionate del lavoro che svolgono, mal pagati, senza diritti e, il più delle volte, in balia dei capricci del parlamentare di turno.

Storicamente è stato così. Del resto, il film “Il portaborse” di Daniele Luchetti con Nanni Moretti e Silvio Orlando è già di oltre 30 anni fa: del 1991. Su YouTube resistono poche ma significative scene. E questa è una del finale, amarissimo

Ecco: Silvio Orlando, che dava il volto al portaborse, dice tra il compiaciuto e l’autoironico:

“Questa gliel’ho scritta io…”

Beh: quanti possono dire lo stesso durante i dibattiti parlamentari, i talk in tv, le interviste, i comizi, i post, i reel, e tutto quello che c’è oggi? Tanti. Negli anni sono stati davvero tanti. Delle specie più diverse: professionisti veri e propri della macchina parlamentare e della comunicazione politica, ex militanti di partito oppure semplici raccomandati.

Ma tant’è: oggi, l’Aicp, l’associazione italiana del collaboratori parlamentari, ne raggruppa 120. E da due giorni spera di vedere finalmente riconosciuti i diritti sacrosanti che tutti coloro che lavorano meriterebbero.

La novità in Senato

In breve, cosa è accaduto mercoledì che fa sperare i collaboratori parlamentari in un futuro meno tribolato? Che in Senato il questore Nastri abbia annunciato quanto segue:

“Il Collegio dei Questori ha completato l’istruttoria sulla disciplina del trattamento economico dei collaboratori dei senatori in relazione all’attività svolta. Annunciamo oggi una nuova delibera, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2025, per disciplinare il rapporto di lavoro tra senatore e collaboratore e il conseguente trattamento economico in relazione all’attività svolta”

In pratica, il Senato, dal prossimo primo gennaio, dovrebbe darsi la stessa regola che vige alla Camera dalla fine della presidenza di Roberto Fico

Ogni mese, tutti i deputati hanno 3690 euro e tutti i senatori 4180 per coprire varie tipologie di spese, dalla gestione di un ufficio all’organizzazione di eventi a quella – eventuale – di pagare i propri collaboratori.

Ora: già questa è un’anomalia tutta italiana: nessun altro parlamento europeo, infatti, fa a meno di prevedere una voce di spesa autonoma per i collaboratori.

La novità che comunque fa tirare un primo sospiro di sollievo è che dal prossimo gennaio, anche i collaboratori dei senatori potranno aspettarsi uno stipendio dignitoso dato che i costi accessori del loro lavoro saranno sostenuti dal parlamento.

Ma non solo: restando sempre alle parole di Nastri, in futuro potrebbero esserci anche ulteriori novità positive:

“Permettetemi di dire che questo è un primo passo fondamentale per restituire dignità sociale ai collaboratori parlamentari, non solo tutelando i loro diritti, ma anche riconoscendone il ruolo di pilastro del sistema democratico. È un primo passo”

ha precisato il senatore di Fratelli d’Italia. Tra gli applausi generali di chi era presente nell’aula di Palazzo Madama, si legge nel verbale d’aula trasportato fedelmente dal sito dell’Aicp.

De Falco, il presidente dell’Aicp: “Un passo importante”

L’associazione che raggruppa i collaboratori parlamentari di ogni partito è nata nel 2014. Presidente, da sei anni, è Josè De Falco, 43 anni e ora più ottimista che mai:

“Quello di mercoledì è un passo importante per la disciplina dei collaboratori parlamentari. Altrettanto importante è quanto dichiarato dal questore Meloni, sulla volontà di fare di quest’atto una disciplina transitoria fino all’adozione, entro i prossimi sei mesi, di un atto recante ‘una definizione più complessiva e completa dei compiti e dei diritti di tutte le persone che collaborano con noi, con le senatrici e i senatori di questa Assemblea, stabilendo il contratto collettivo nazionale di riferimento, il numero minimo di ore, i compensi minimi, insomma tutto ciò che costruisce, attorno al lavoro dei collaboratori dei parlamentari, un set di diritti che renda pienamente merito ad una professionalità assai preziosa, se non decisiva per il lavoro di tutti noi’

Insomma: se le parole hanno un valore, l’Italia finalmente dovrebbe iniziare ad allinearsi alle altre democrazie evolute.

“Basti pensare – spiega ancora De Falco – che in Francia, solo per lo staff di ciascun parlamentare, il Parlamento stanzia non meno di 10.500 euro lordi mensili”.

Invece, in Italia, ad oggi, quanto guadagna un collaboratore parlamentare?

“Da 800 a poco più di 2000 euro. Ma in quest’ultima categoria ricadono solo le mosche bianche”.

Perché quest’anomalia?

“Noi da tempo chiediamo una riforma complessiva e un contratto a tutto tondo. Ma il Parlamento italiano, a differenza di quello degli altri Paesi, finora non ha compiuto questo passo discriminando, tra l’altro, tra semplici collaboratori e collaboratori di parlamentari che ricoprono incarichi all’interno delle Camere, come i membri dell’ufficio di presidenza o i presidenti di commissione: questi ultimi beneficiano di un trattamento più favorevole perché temporaneamente risultano dipendenti diretti dell’amministrazione”.

I parlamentari come vi pagano?

“Attingendo da un fondo unico denominato ‘spese per l’esercizio del mandato’, pari a 3690 euro per i deputati e 4180 per i senatori, con cui devono far fronte, ad esempio, anche alle spese per tenere aperta una segreteria nel loro collegio elettorale di riferimento, per avere accesso a delle banche dati, per gestire un ufficio”.

Tutti si sobbarcano queste spese?

“No. Molti preferiscono devolvere quei soldi al loro partito; spenderli in altro modo o tenerli per sè: solo la metà, infatti, deve essere rendicontata agli uffici”.

La vostra vicenda ha a che fare col dibattito che si è scatenato in questi giorni di riproporre il finanziamento pubblico dei partiti?

“No. Noi non siamo legati ai partiti. Nè con l’amministrazione parlamentare strettamente intesa in quanto non siamo vincitori di concorso. Giuridicamente, non abbiamo nulla a che vedere con queste categorie”.

Come si diventa collaboratori parlamentari?

“Per via fiduciaria: il parlamentare in carica sceglie la persona dalla quale vuole essere seguito per le sue attività istituzionali e di indirizzo politico”.

Perché sarebbe davvero importante investire su di voi?

“Perché, soprattutto dopo il taglio del parlamentari, sarebbe ragionevole rafforzare l’attività di chi è rimasto, senza esaurirne la funzione nel pigiare i tasti che si trovano davanti ai loro scranni in occasione delle votazioni. Se non si vuole svuotare il parlamento, bisogna mettere i parlamentari nelle condizioni di dare davvero il loro contributo. Per questo devono essere assistiti da persone competenti dei singoli dossier, così da esercitare la funzione legislativa, di controllo e di indirizzo politico appieno, come prevede la Costituzione. La crisi del parlamento si affronta anche così”.

In un mondo ideale, la vostra posizione dovrebbe essere presa in carico dal parlamento.

“In un Paese normale quanto chiediamo sarebbe di una ovvietà disarmante. Invece, mancando ogni regola contrattuale, spesso, in passato, ci siamo trovati costretti finanche a denunciare i parlamentari con i quali abbiamo lavorato perché ci siamo accorti che non ci pagavano i contributi oppure non accumulavano il Tfr”.