Ad ascoltare certe affermazioni, sembra che la società contemporanea sia diventata una specie di ‘campo minato’ a causa del politicamente corretto eccessivo che la domina. Una dittatura, come la definiscono alcuni, nella quale non si sa più come parlare per il rischio di offendere qualcuno. E i primi a lamentarsene sono i creativi, che proprio della parola hanno fatto il proprio mestiere. L’ultimo, in ordine di tempo, è Ben Stiller che, con parole decisamente pacate, esprime la sua posizione sul politically correct e su come esso rappresenti un problema per chi voglia fare, oggi, ironia provocatoria.

L’attore e regista cita “Tropic Thunder“, travolgente commedia demenziale del 2008 che prendeva a bersaglio il mondo di Hollywood. Una satira in piena regola che si prendeva gioco degli stereotipi di quel contesto, delle vite e dei desideri surreali di chi lo frequenta, senza risparmiare colpi bassi con sequenze e battute al vetriolo.

Un film che oggi, secondo Stiller, forse non riuscirebbe a fare proprio per come è mutato il suo ambiente nei limiti imposti alla vena creativa degli autori.

Ma siamo sicuri che sia davvero questo il problema? Certe soglie di buon senso sono sempre esistite e queste si evolvono con il passare degli anni. Forse, allora, la vera questione riguarda il riuscire a stare al passo con questi mutamenti?

Ben Stiller accusa il politically correct di limitare la commedia

Intervistato da Collider, l’attore di “Tutti pazzi per Mary” e “Zoolander” risponde a una riflessione del suo intervistatore sulla difficoltà che ci sarebbe, oggi, a realizzare un film come “Tropic Thunder. Una considerazione con la quale Stiller si dice d’accordo, ritenendo che “in questo ambiente, è più difficile fare commedie più taglienti“.

Il trailer italiano di “Tropic Thunder”.

La pellicola ruota intorno a un gruppo di divi hollywoodiani viziati ed egocentrici impegnati nelle riprese di un film di guerra ma costretti a combattere in un vero conflitto armato per volontà del veterano dalle cui memorie è tratto il ‘film-nel-film’ e di un produttore senza scrupoli (interpretato da un magnifico Tom Cruise).

Stiller, recentemente tornato sul set con Adam Sandler per “Un tipo imprevedibile 2, sequel della fortunata commedia del 1996, cita in particolare l’elemento satirico rappresentato dal personaggio interpretato da Robert Downey Jr., un attore premio Oscar che, per immedesimarsi al massimo con il ruolo di un soldato afroamericano, si sottopone a un intervento per scurire la pigmentazione della sua pelle.

L’idea di Robert che interpreta un personaggio afroamericano è incredibilmente rischiosa. Anche all’epoca, ovviamente, era rischioso. L’unica ragione per cui abbiamo tentato di farlo è che mi sembrava fosse molto chiaro chi fossero i bersagli di quello scherzo e cioè gli attori che cercano di fare qualsiasi cosa per vincere i premi”.

Robert Downey Jr. in una scena del film “Tropic Thunder”.

Stiller, che del film è anche regista, ammette che oggi, probabilmente, non avrebbe nemmeno osato proporre una cosa simile a causa dell’ambiente attuale.

Carlo Verdone e le “p***e piene” del politicamente corretto

A pensarci bene, la riflessione dell’attore e regista rappresenta l’essenza del suo lavoro che, è bene ricordarlo, è di natura culturale. Ragionare su cosa rappresentare, su quali temi affrontare e su come farlo è fondamentale poiché da questo dipende la costruzione di quell’immaginario che diventa espressione di una società sana. Non è, dunque, una resa a pressioni bigotte o insensate.

Come detto in precedenza, però, sono in molti ad avere le stesse idee di Stiller sul politically correct e su come questo finisca in qualche modo con il ‘tarpare le ali’ proprio alla commedia.

Uno di questi è Carlo Verdone che da anni ormai combatte una sua personalissima battaglia contro quella che considera una deriva surreale del nostro tempo. Già nel 2020, infatti, il comico romano si lanciava in un’invettiva contro di essa, sostenendo che il politicamente corretto “portato all’esasperazione” avrebbe creato problemi agli sceneggiatori.

Faremo meno ridere“, dichiara minaccioso nel video condiviso all’epoca da Daniela Santanchè, da sempre in prima fila sulla questione. Verdone poi si lascia andare a uno sfogo in piena regola, rimarcando come anche tanti suoi colleghi avessero “le p***e piene” del politically correct.

Dai toni usati si capisce come per il regista romano si tratti di una vera e propria crociata. Verdone, infatti, la ripropone anche nella terza stagione della serie “Vita da Carlo“, arrivata il 16 novembre 2024 su Prime Video. Durante la presentazione in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024, torna infatti a insistere, raccontando come sia stato costretto a togliere alcune scene per evitare di far arrabbiare qualcuno.

Il politically correct è sempre esistito e non è un limite

La posizione dei due attori e registi non è nuova e accomuna molti creativi contemporanei.

Anni fa, anche un genio come Mel Brooks si espresse contro il politicamente corretto, sostenendo che oggi non gli avrebbe permesso di realizzare un film come “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” del 1974, Una pellicola che, attraverso la sua satira affilata, si prendeva gioco del razzismo e, soprattutto, della stupidità di chi lo mette in pratica.

Mel Brooks nel 2010 alle celebrazioni per la sua stella sulla Hollywood Walk of Fame.

In quell’intervista a BBC Radio 4, Brooks sottolineava come il politicamente corretto non facesse bene alla commedia che, per sua natura, “deve correre rischi“. Tuttavia, in un altro passaggio, si capiva come il regista di “Frankenstein junior” fosse consapevole che un comico debba avere sempre il ‘polso’ del contesto sociale e culturale in cui va ad agire, per spingere i bottoni giusti con la sua provocazione, senza sfociare nell’offesa. Brooks ammetteva, infatti, che non avrebbe mai fatto ironia sulle “camere a gas” e sulla “tragedia degli ebrei per mano dei nazisti.

È buonismo questo? No, non lo è affatto. Si tratta di quella riflessione richiamata in precedenza in merito alle scelte su cosa rappresentare e in che modo.

E il punto è proprio questo.

Non riguarda tanto una crociata contro i presunti limiti imposti dal politically correct, quanto la capacità di un artista, di una persona che lavora con la propria mente e le parole, di usarle nel modo giusto. Facendo ridere, certo. Sferzando la società sbattendogli in faccia la verità dei propri difetti in modo provocatorio, senza dubbio. E anche spingendo i limiti di quella provocazione sempre un po’ più in là. Ma senza abbatterli violentemente.

Perché certi limiti (della decenza, del rispetto, del buon gusto) sono esistiti in ogni epoca e sono mutati con l’evoluzione della coscienza umana, facendo sì che ciò di cui si poteva o non si poteva far ridere nel passato sia per forza diverso da ciò di cui si può o non si può far ridere oggi.

Comprendere questa evoluzione non significa essere schiavi di una presunta ‘dittatura del politicamente corretto’ di cui si riempiono la bocca tanti che, non a caso, dicono di tutto senza curarsi minimamente di quanto offensive, volgari e violente possano essere le loro parole. Significa, invece, assumersi la responsabilità del proprio pensiero e delle parole che ne derivano.

Perché fare ironia su qualcuno o qualcosa senza assumersene la responsabilità o preoccuparsi delle conseguenze non è satira. È prevaricazione. È bullismo. È violenza. In altre parole, è la forma peggiore di fascismo, e il politically correct serve anche a difenderci da essa.

Conclusioni

  • Il limite del politicamente corretto nella commedia: creativi come Ben Stiller e Carlo Verdone esprimono preoccupazione sul fatto che il politicamente corretto, se portato all’estremo, possa limitare la libertà artistica e la possibilità di fare commedia provocatoria. In particolare, Stiller ritiene che un film come “Tropic Thunder“, che si prendeva gioco di certi stereotipi di Hollywood, oggi non sarebbe realizzabile;
  • L’evoluzione dei limiti morali e culturali: il dibattito non riguarda solo una presunta ‘censura’ imposta dal politicamente corretto, ma piuttosto l’evoluzione dei limiti morali e culturali, che sono sempre esistiti e che si trasformano nel tempo. I creativi devono essere consapevoli dei contesti sociali e culturali in cui operano per fare satira, evitando di sfociare nell’offesa gratuita;
  • La responsabilità nella satira: la vera sfida per gli artisti è fare satira senza cadere nella prevaricazione o nell’insulto. La responsabilità nello scegliere quale argomento rappresentare e come farlo è essenziale: la satira non deve essere uno strumento di bullismo, ma una forma di critica che spinge i limiti della società.