Fine di 2024 contraddistinto da un brusco stop: lo stabilimento a Mirafiori del gruppo Stellantis vedrà gran parte delle sue attività ferme per un periodo che va dal 2 dicembre 2024 al 5 gennaio 2025. La produzione però potrebbe riprendere soltanto la settimana successiva, lasciando lavoratori e lavoratrici in ansia per il proprio futuro.
Futuro che riguarda anche il settore dell'automotive italiana, che Stellantis in una nota ha affermato di voler proteggere nonostante i volumi di vendita delle auto elettriche non sia soddisfacente a generare utili. La necessità di spostare il focus produttivo sulle vetture green, senza però un'adeguata domanda, è per la multinazionale un fattore di grave impedimento.
Dal lato della Fiom, come della Cisl, si critica la decisione di Stellantis, mentre Matteo Renzi di Italia Viva chiede la fusione dei gruppi Renault e Stellantis per un grande player europeo dell'automobile.
Una notizia che non ha fatto alcun piacere ai lavoratori e alle lavoratrici italiane di Stellantis. L'azienda ha deciso che la produzione nello stabilimento piemontese di Mirafiori, uno dei più importanti su suolo italiano, dovrà subire un brusco stop fino al 2025.
Il tutto è stato organizzato secondo queste tempistiche: le attività produttive saranno sospese dal 2 al 17 dicembre, mentre l'intero stabilimento sarà chiuso dal 18 dicembre al 5 gennaio. Stellantis, citando questa decisione come frutto di un accordo con le organizzazioni sindacali, cerca allo stesso tempo di rassicurare di essere impegnata nel salvaguardare l'occupazione in tutti i suoi stabilimenti a fronte di un mercato automobilistico particolarmente bloccato nelle vendite.
L'azienda afferma che il 97% della sua produzione negli stabilimenti italiani è orientata a vetture elettriche e a quelle di lusso esportate in mercati come quello statunitense o cinese. Se in quest'ultimi due è probabile una "guerra dei dazi" fra il Partito Comunista Cinese e l'amministrazione di Donald Trump, nel caso delle auto elettriche Stellantis le vendite in precisi segmenti si è di molto ridotto nel corso del 2024.
Infatti il volume degli ordini della 500 elettrica, prodotta a Mirafiori "per responsabilità sociale" secondo Stellantis, non consentirebbe all'azienda di ottenere utili. Con ogni probabilità la produzione di questo modello riprenderà il 13 gennaio.
Nella sua Enews il leader di Iv Matteo Renzi aveva commentato la notizia inserendola nel più ampio contesto europeo e di un'industria automobilistica non degna del suo passato.
Se in passato tanti produttori (dalla Renault alla Fiat, dalla Seat alla Wolskwagen) avevano fatto le fortune dei paesi in cui producevano i propri modelli, oggi forse è necessaria un'integrazione più ampia per creare dei player dalla caratura internazionale:
Marco Grimaldi, vicepresidente di AVS alla Camera, esprime invece il lato politico della questione: è inammissibile che nessuno al governo abbia ancora commentato la decisione di Stellantis e il silenzio è tanto più grave in quanto coinvolge anche la premier Giorgia Meloni.
La situazione non è rosea in tutta Europa per il settore dell'automotive: la particolarità italiana è di aver avuto un'azienda (prima Fiat, oggi Stellantis) che negli anni ha ricevuto molti finanziamenti e sussidi statali, riducendo al contempo il proprio impegno nelle grandi fabbriche distribuite al Nord e al Sud del nostro paese.
Il governo, per bocca del ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, ultimamente ha insistito molto su questo concetto: Stellantis indichi al governo italiano cosa voglia fare e in che modo, ma soprattutto rispetti il fatto che non è sempre possibile puntare sugli incentivi per la sostenibilità del proprio piano industriale.
In Inghilterra, la chiusura della fabbrica della Vauxall a Luton, che pure produce alcuni modelli disponibili sul mercato europeo con il marchio inglese, ha messo il governo di Keith Starmer di fronte ad una potenziale grave crisi industriale. Più di 10mila lavoratori e lavoratrici rischiano di perdere il proprio posto di lavoro o di vedere un contratto con stipendi decurtati.
Germania e Francia non se la passano bene dal canto loro, specie il secondo paese. Molti dati economici che parlano dello stato di salute dell'industria tedesca non soddisfano i rappresentanti di categoria e anche la Wolkswagen sembrerebbe intenzionata a chiudere alcuni importanti stabilimenti a Wolsfburg.
Tutti lamentano che il Green Deal europeo e la scorretta concorrenza dei produttori automobilistici cinesi abbiano causato un rallentamento prima e poi un affanno sempre maggiore nel mercato delle automobili: senza sussidi, come affermano sia Stellantis che altri produttori automobilistici, è impossibile rendere appetibile un tipo di veicolo che sembrerebbe non incorrere ancora nei favori della popolazione.
Certamente è aumentato l'interesse per un modello di spostamenti più sostenibili, che dovrebbe abbracciare anche un ripensamento radicale degli spazi cittadini e della mobilità dolce (treni, biciclette, trasporto pubblico, monopattini elettrici, ecc.), ma è anche vero che le guerre in Ucraina e a Gaza, così come il Covid, hanno prodotto uno scenario economico che in tanti casi - Italia in testa - ha bloccato la crescita dei salari e fatto aumentare i prezzi di tanti beni di consumo.
Una decisione del genere non poteva fare altro che ottenere una risposta critica da parte dei sindacati. La Cgil e la Uil, fra le ragioni dello sciopero generale del 29 novembre, avevano anche indicato la necessità di investimenti maggiori e sensati nell'industria dell'automotive italiana, che da anni soffre di volumi di vendita bassi e della recente necessità di introdurre convintamente modelli elettrici nel proprio parco vendite.
Citata spesso come una delle cause che hanno portato l'industria automobilistica europea a stagnare, la "svolta green" resta comunque una necessità non soltanto per il minor impatto ambientale che può produrre ma anche per rendere concreta quell'idea di autonomia strategica che diversi politici a livello europeo vanno chiedendo negli ultimi tempi.
Tornando ai sindacati italiani, Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive, addita a Stellantis tutto l'interesse nel fermare una produzione e nell'usare gli ammortizzatori sociali, così da limitare al massimo le perdite per tutto il gruppo automobilistico. Seguendo quanto detto da Calenda e Renzi in più di un'occasione, Lodi chiede che il governo si faccia sentire al più presto sull'argomento:
La mancanza di un piano industriale "serio e credibile" è lamentata anche da Luigi Sbarra, segretario nazionale della Cisl, il quale però non arriva alla "minaccia" del rappresentante della Fiom di andare autonomamente a Palazzo Chigi per parlare con i rappresentanti del governo.
Sbarra comunque ha chiesto che questi vigilino attentamente su un comparto che anche a causa della forte crisi, prima industriale e poi politica, che sta attraversando la Germania rischia di soffrire per un tempo intollerabile agli occhi dei lavoratori e delle lavoratrici di tutta Italia.