“Sua figlia non sopravvivrà al parto”. Parole durissime e dolorose: Luisa Ferraris era al sesto mese di gravidanza quando i medici le hanno comunicato che sua figlia sarebbe morta. Un controllo di routine aveva evidenziato, infatti, delle anomalie nel feto, poi confermate da una risonanza magnetica. La creatura che portava in grembo presentava una rarissima malformazione cerebrale, incompatibile con la vita.
Lei non ha avuto scelta: è andata avanti. Nessuno le aveva mai parlato di altre opzioni, racconta a TAG24.
I medici non potevano sapere che Sofia si sarebbe aggrappata alla vita con tutte le sue forze, smentendo ogni pronostico. Oggi ha 15 anni e ha ispirato la linea di accessori “Sofia Ottoruote”, realizzati artigianalmente da sua madre. Coprigambe, bavaglini, scaldacollo pensati per le esigenze delle persone con disabilità.
La storia di Luisa e Sofia è innanzitutto un meraviglioso racconto di amore e resilienza.
La storia di Sofia ‘Ottoruote’ raccontata da mamma Luisa
Sofia, che ha una tetraparesi spastica, è venuta alla luce nel 2009, in anticipo di pochi giorni rispetto alla data presunta del parto. Mamma Luisa era stata avvertita: avrebbe dovuto dire addio alla sua piccola dopo pochi istanti.
“Sofia è nata con una microcefalia, cioè una circonferenza cranica inferiore alla media, e una lissencefalia, una condizione in cui il cervello non presenta le circonvoluzioni nella norma. La risonanza magnetica aveva già evidenziato questa terribile malformazione a causa della quale non avrebbe respirato né avuto il riflesso della suzione. Non avrebbe potuto fare nulla” racconta Luisa Ferraris.
E invece Sofia non solo ha iniziato a respirare autonomamente, ma è stata alimentata al seno fino a sei mesi. Per poi passare al biberon e allo svezzamento, come ogni neonato.
“Io non avevo messo neanche il fiocco nascita fuori dalla porta di casa, sapendo che ci avrebbe lasciato. Invece lei dimostrava tutt’altro. Io la trattavo con molta cura, pensavo avremmo avuto poco tempo: ogni giorno me la tenevo in braccio, stretta stretta…” sono le commoventi parole di sua madre.
“Poi un giorno l’ho appoggiata sul letto per cambiarle il pannolino e mi è leggermente scivolata. Lei si è messa a ridere. Io l’ho guardata stupita: ‘Ah, ride?’ Allora ho ripetuto quel gesto e lei ha riso di nuovo. Quindi mi sono detta: ‘Bene, ridiamo insieme, perché no?’ Abbiamo così creato questo mondo tutto nostro, in cui Sofia ha continuato a crescere. Si è alimentata da sola fino al 2020, quando siamo passati alla PEG a causa del vomito che non riuscivamo più a gestire”.
Da quindici anni senza una diagnosi
Sofia non ha una diagnosi. Nessuno ha ancora saputo spiegare cosa o perché sia nata con queste malformazioni cerebrali.
“Lei ha una tetraparesi e una microcefalia di cui ancora oggi non conosciamo la causa. I medici avevano pensato inizialmente a un virus, poi a un batterio, ma in realtà non è stato riscontrato nulla. Abbiamo fatto esami genetici più volte, ma senza risultato. Da qualche anno abbiamo smesso, ma vorrei riprovare per vedere se la medicina ha scoperto qualcosa di nuovo. Non perché Sofia possa guarire, ma per essere utile ad altri bambini” spiega Luisa.
Sofia ha cambiato medico di riferimento più volte, sia per esigenze diverse dovute alla crescita, sia perché considerata, a volte, una ‘patata bollente’.
“I medici, quando vedono la risonanza di Sofia effettuata alla nascita, pensano che non appartenga a lei. Solitamente questa tipologia di malformazione cerebrale è riconducibile ad altre malformazioni cardiache, polmonari e renali che lei non ha. Il suo cervello ha una forma anomala e quindi non dovrebbe essere in grado di compiere determinate sinapsi. Invece lei comprende. Ovviamente non tutto, però se le chiedo cosa vuol mangiare, se vuole andare a dormire oppure uscire, lei sa di cosa sto parlando” racconta la madre.
Sofia comunica attraverso un linguaggio non verbale: quello che lei stessa ha insegnato ai suoi familiari. “Bisogna semplicemente guardarla, notare come si muove, il colore della sua pelle, dell’iride, la temperatura delle orecchie. Tutti dettagli che ci fanno capire se sta bene, se è allegra o triste: i sentimenti li ha anche lei, anche se non può mostrarli come noi. Sebbene molte persone normodotate non siano comunque capaci di farlo”.
Il mondo della disabilità tra difficoltà e nuove consapevolezze
Sofia ha catapultato sua madre, che è anche la sua caregiver, in un mondo più lento, ma anche più attento e più profondo.
“Io la ‘studio’ come fa mamma scimmia con la sua scimmietta. Mi ha trasformato la vita. A livello affettivo sicuramente, ciò che provo per lei è un bene inimmaginabile. Mi sento come se fossi un suo prolungamento, dato che non è autonoma. Però mi ha anche insegnato ad apprezzare quelle piccole cose della vita che io stessa avevo un po’ perso”.
Quali sono le difficoltà maggiori riscontrate nella gestione di una figlia con grave disabilità? “Sicuramente la burocrazia. Paradossalmente anche quando si chiedono ausili che ci spettano per legge” racconta mamma Luisa. Poi ci sono gli atteggiamenti di certi adulti, che dovrebbero invece imparare dai bambini.
“I bimbi piccoli non hanno mai visto delle diversità in Sofia. Alle scuole elementari l’insegnante aveva dovuto organizzare un calendario per permettere a tutti i suoi compagni di classe di starle accanto. Litigavano per sedersi al banco con lei. Gli adulti, invece, a volte incontrano me e il mio attuale marito, Mario- che non è il padre biologico di Sofia, ma è il suo papà a tutti gli effetti- e non la salutano neanche. Le persone pensano che, siccome non parla e non cammina, allora non vada presa in considerazione” aggiunge con un pizzico di amarezza.
“Eppure basterebbe dirle ‘ciao’. A volte c’è poca comprensione. I colleghi di lavoro, poi, restano spesso contrariati di fronte a una 104. C’è ancora molto da fare sotto questo punto di vista”.
Luisa ha deciso di usare i social anche con questo obiettivo: sensibilizzare. Cercare di diffondere empatia e consapevolezza. Su Facebook e Instagram mostra la sua vita da caregiver, affidando alle immagini anche tante riflessioni. Una di queste riguarda l’essere definita una “superoeroina” per quello che fa.
Chiamateci con il nostro nome. Io per esempio sono Luisa, la mamma di Sofia. La amo da impazzire, ma a volte tutto questo mi stanca e no, non sono speciale. Sofi lo è. Io mi limito a fare dei limoni che mi ha dato la vita, una bella limonata.
Il progetto ‘Sofia8Ruote’
Sofia ha stravolto la vita di Luisa anche sotto un altro aspetto. Lei, che non è una sarta né una modellista e non sapeva neanche attaccare un bottone, ha imparato a cucire proprio per rispondere alle necessità di sua figlia.
“Quando Sofi era piccola, io pensavo esistesse già tutto, soprattutto in un mondo in cui basta far scorrere il pollice su uno schermo per trovare ciò di cui si ha bisogno. Ero convinta di poter comprare un coprigambe per lei che è sulla sedia a rotelle: invece non l’ho trovato” racconta.
Luisa ha quindi l’idea di realizzare con le sue mani gli accessori per sua figlia. Per poi rendersi conto che certe esigenze erano in realtà comuni a tante persone con disabilità.
“Coprigambe, bavaglini, teli per la sedia a rotelle da usare dopo la doccia o dopo la piscina, mantelle in pile: tutte cose che io personalizzo anche in base alla richiesta”. Gli accessori per la disabilità vengono solitamente considerati ‘prodotti ortopedici’. Invece Luisa li concepisce come ‘prodotti fashion’.
“A me piace vestire in un certo modo e mi piace che Sofia sia vestita bene e che sia in ordine, anche in modo adeguato alla sua età. Non posso metterle i bavaglini con l’orsacchiotto a quindici anni: mi rifiuto” afferma.
“Io volevo che un giubbotto o un copri gambe fossero prodotti fashion, non ortopedici. Così come i bavaglini. Quando si ha un problema neurologico ci si ritrova a dover affrontare anche la scialorrea (un’eccessiva produzione di saliva, ndr). E questo succede con diverse patologie come sclerosi multipla, ictus, cancro alla gola a persone normodotate fino a un attimo prima”.
Ecco perché ha deciso di creare questa linea così speciale. Come scrive sul sito, SofiaOttoRuote “è un anello di congiunzione tra abili e non, dove la disabilità non fa la differenza”.
Un’altra, toccante storia è quella di Jessica e sua figlia Martina, nata con una malattia rarissima, la SPG50.