Se i politici guardassero più film (o leggessero più libri, o ascoltassero più musica, o visitassero più mostre: come preferite, è lo stesso) molti ritengono che il mondo sarebbe probabilmente un posto migliore. E, forse, non hanno tutti i torti a giudicare dalle difficoltà della Cop29 a Baku in Azerbaigian, dove, prima di ogni discussione, i rappresentanti mondiali dovrebbero riguardarsi “The day after tomorrow (in Italia “L’alba del giorno dopo“) per avere più chiaro lo scenario verso cui si sta dirigendo il mondo in conseguenza della crisi climatica (e del suo negazionismo…).

Il film catastrofico di Roland Emmerich compie vent’anni proprio in questo 2024 e il dramma è che, purtroppo, non sembra invecchiato di un giorno. Non solo da un punto di vista tecnico, con effetti speciali ancora allo stato dell’arte, ma soprattutto da quello dei contenuti.

Ancora oggi ricordata per il suo alto tasso di spettacolarità da grande blockbuster hollywoodiano, la pellicola lanciava, all’epoca, un allarme ben preciso su cosa sarebbe potuto succedere se la politica avesse continuato a ignorare gli avvertimenti degli scienziati. Allarme, evidentemente, rimasto inascoltato.

The day after tomorrow, la Cop29 e l’allarme climatico inascoltato

Le cronache arrivate da Baku non fanno ben sperare. Come al solito, i leader mondiali faticano a trovare un accordo per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra e il sostegno economico da parte dei Paesi più ricchi verso quelli più poveri. Un panorama sconfortante, soprattutto alla luce dell’avvertimento lanciato di recente dall’Unep (il programma Onu per l’ambiente) per il quale, se non cambiano le cose, il mondo rischia di non riuscire a raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi come stabilito dall’Accordo di Parigi del 2015.

A questo si deve aggiungere la precarietà legata alla recente vittoria di Donald Trump, convinto negazionista del cambiamento climatico, alle elezioni presidenziali Usa, che getta un’ombra diffusa sulla conferenza annuale sul clima promossa dalle Nazioni Unite.

Basterebbe questo per capire come, rispetto ai pericoli segnalati dal climatologo interpretato da Dennis Quaid in “The day after tomorrow – L’alba del giorno dopo“, ignorati con arroganza dai politici del film, la situazione non sia cambiata poi molto.

Il trailer italiano di “The day after tomorrow – L’alba del giorno dopo”.

Il cambiamento climatico e le critiche al film di Emmerich

Roland Emmerich, specializzato in film appartenenti al genere ‘catastrofico’ (suoi sono anche “Independence day” del 1996 e “2012” del 2009), realizza una pellicola che, dietro a un impianto narrativo altamente spettacolare, si fa portavoce di un’angoscia che sarebbe esplosa solo alcuni anni più tardi.

Roland Emmerich all’anteprima mondiale a Berlino del suo film “The Day After Tomorrow”.

Nel suo film c’era già molto, se non tutto, quello cui assistiamo ancora oggi.

Attraverso il suo scienziato Jack Hall, Emmerich denuncia i rischi del surriscaldamento globale (termine all’epoca usato come sinonimo del cambiamento climatico) provocato dall’inquinamento dell’uomo. La crisi che ne deriva viene, ovviamente, accelerata per esigenze narrative volte allo spettacolo, e così, con il suo co-sceneggiatore Jeffrey Nachmanoff, il regista immagina una nuova era glaciale dovuta al riscaldamento eccessivo della corrente del Golfo, la corrente oceanica cui si deve la mitigazione del clima globale.

In pratica, nel giro di poche ore nel film accade ciò che potrebbe succedere nell’arco di diversi anni o decenni.

Tuttavia, proprio questa accelerazione, insieme ad alcuni scenari proposti dalla sceneggiatura, hanno fatto guadagnare al film il giudizio fortemente negativo di molti scienziati e climatologi. Questi ultimi accusano gli autori di aver banalizzato le loro preoccupazioni e la loro battaglia contro la crisi climatica, esasperando oltre il necessario l’emergenza.

Posizioni condivisibili, dal momento che si parla di scienziati e non di sceneggiatori o registi. Proprio Nachmanoff, in un’intervista alla Bbc del 2014, chiariva come la pellicola non avesse come obiettivo l’accuratezza scientifica ma si focalizzasse su “problemi spettacolari” per sottolineare un dato di cui la scienza era ed è convinta: che l’uomo sta alterando in modo preoccupante il nostro sistema climatico.

Da convinto attivista per il clima, a Emmerich non manca il coraggio di mostrare il cambiamento climatico come il vero villain della pellicola, con tutti i disastri che questo comporta per il nostro pianeta. Il suo film decide, infatti, di sbattere in faccia, con la potenza di effetti speciali iperrealistici, il destino cui la Terra potrebbe andare incontro (nella peggiore e più improbabile – ma spettacolare – delle ipotesi) se non si introducono dei cambiamenti radicali nei nostri comportamenti e stili di vita.

Un approccio che ha fatto breccia nel pubblico, dal momento che la pellicola, ai tempi della sua uscita nei cinema, fu un enorme successo commerciale, incassando oltre 552 milioni di dollari.

The day after tomorrow, la vera fantascienza sono le scuse della politica

Decisamente più verosimile è, invece, la reazione a dir poco scettica della politica agli allarmi della scienza, come dimostra anche la Cop29 di Baku.

Nel film, queste posizioni sono espresse da un vicepresidente degli Stati Uniti interpretato da Kenneth Welsh. Lui, proprio come i leader mondiali di oggi, vent’anni dopo, contrappone ragioni economiche (i costi del ‘Protocollo di Kyoto’ nel film) alla salvaguardia del pianeta e accusa gli scienziati di fare mero “sensazionalismo“. Frasi prese direttamente dalle dichiarazioni pubbliche rilasciate all’epoca da Dick Cheney, vicepresidente nell’amministrazione di George W. Bush.

Un attacco diretto all’ottusità dei governi che, alla fine del film, quando i superstiti riflettono sulla catastrofe avvenuta, porta a un accorato discorso di scuse da parte del vicepresidente:

“Per molti anni, siamo andati avanti con l’illusione di poter continuare a sperperare le risorse naturali del pianeta, senza subire conseguenze. Ci sbagliavamo. Io mi sbagliavo”.

A proposito di questo ‘ravvedimento’ finale, Roland Emmerich, venuto a Roma nel 2004 a presentare il suo film, disse alla stampa che quella era “la parte più fantascientifica dell’intero film. Dopo vent’anni, è grave che sia ancora così.

Conclusioni

  • La crisi climatica e il fallimento politico: nonostante l’allarme lanciato ormai vent’anni fa nel film “The Day After Tomorrow“, che descrive uno scenario catastrofico causato dal cambiamento climatico, le attuali difficoltà alla Cop29 di Baku dimostrano che i leader mondiali continuano a fare pochi progressi nella riduzione delle emissioni di gas serra e nel sostegno ai paesi più poveri, ignorando gli avvertimenti scientifici;
  • Le critiche scientifiche al film: pur essendo criticato per la sua rappresentazione esagerata dei disastri climatici, “The Day After Tomorrow” ha avuto il merito di portare l’attenzione sulla realtà del cambiamento climatico, sebbene la scienza ritenga che il film esageri l’accelerazione degli eventi, focalizzandosi più sugli aspetti spettacolari che sull’accuratezza scientifica;
  • Il cinismo della politica e la necessità di un cambiamento radicale: il film mostra la resistenza della politica, incarnata da un vicepresidente degli Stati Uniti che inizialmente nega la crisi per interessi economici. La critica del film ai governi appare ancora più realistica oggi, vent’anni dopo, con la politica che continua a non prendere misure efficaci contro il cambiamento climatico.