Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso 24 ottobre, “Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa” è il nuovo film della regista Margherita Ferri. Ispirato dal libro “Andrea oltre il pantalone rosa”, scritto dalla madre Teresa Manes, la trama si basa sulla vera storia di Andrea Spezzacatena, morto suicida il 20 novembre 2012 dopo aver ripetutamente subito atti di bullismo e cyberbullismo da parte dei suoi compagni di scuola.
“Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa”, recensione
In un quartiere benestante di Roma vive un ragazzino, di nome Andrea (Samuele Carrino), che sembra già essere adulto. Sua mamma Teresa (Claudia Pandolfi) e suo papà Tommaso (Corrado Fortuna) litigano di continuo come se il loro amore si fosse consumato, trasformandosi in un frutto marcio dal sapore acre, rendendo la loro casa un territorio di guerra. Crescere in battaglia devasterebbe chiunque, eppure Andrea è rimasto calmo e diligente, come se in realtà fosse lui il padre dei suoi stessi genitori. Per suo fratello minore Daniele, ancora troppo piccolo per comprendere le dinamiche tossiche tra due persone che si sono scelte e desiderate, lui rappresenta una sorta di luce in un tunnel buio da seguire per ritrovare la via quando si sente smarrito. Dietro due lenti da vista spuntano i bellissimi occhi grandi, di un colore misto tra l’ambra, il verde e il nocciola, di Andrea che con un’espressione dolce e mansueta raccontano tutto l’universo interiore, fatto di bontà e gentilezza, di un bambino cresciuto troppo in fretta, ma senza perdere mai la purezza del suo animo paziente. La sera precedente al suo primo giorno di scuola la mamma gli regalerà un paio di jeans rossi che purtroppo in lavatrice stingeranno, diventando di un rosa vispo. Ma anziché gettarli in un cassetto, lui deciderà di indossarli con ingenuità ed entusiasmo. In fondo un colore è solo un colore, e come potrebbe mai immaginare che proprio quel paio di calzoni scateneranno i sentimenti più oscuri e malvagi dei suoi coetanei?
“Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa”, critica
Andrea Spezzacatena era un ragazzo di quindici anni con due grandi occhi castani, il nasino a patata e un sorriso dolcissimo che il 20 novembre 2012, trascorsi solo sei giorni dal suo ultimo compleanno, si tolse la vita avvolgendo il suo giovane collo a una sciarpa della madre, annodata e legata a una scala. Frequentava il secondo anno di liceo scientifico presso l’istituto Cavour di Roma e dopo aver subito per mesi interi atti di bullismo e cyberbullismo dai suoi compagni di scuola decise, purtroppo, di impiccarsi. Fu il fratello minore Daniele, all’età di soli dieci anni, a ritrovare il corpo ormai freddo di quello che per lui era sempre stato una guida, un esempio, ma anche un conforto e un appiglio nei momenti di lite tra i genitori prossimi alla separazione. A raccontarcelo è stata la madre Teresa Manes nel libro “Andrea oltre il pantalone rosa”, edito da Graus Edizioni, uscito il 20 gennaio 2023. Il titolo deriva da quello che parrebbe essere stato il principio dei brutali e disumani atti di derisione da parte dei suoi coetanei: un paio di pantaloni rossi, nuovi di zecca, che la mamma aveva regalato ad Andrea e che lavandoli in lavatrice si erano stinti, diventando rosa. Anziché buttarli via, il figlio volle metterli ugualmente; forse per non far dispiacere la madre, forse perché gli piacevano davvero. Fatto sta che un gesto semplice come indossare dei jeans colorati segnò irrimediabilmente il destino di un adolescente in cammino per diventare uomo. Successivamente seguirono non soltanto le ricorrenti e insopportabili prese in giro, ma addirittura la creazione di una pagina Facebook per deriderlo ulteriormente, come a non volergli lasciare scampo, come se il tempo passato fra i banchi di scuola non fosse sufficiente per mortificarlo, usandolo come valvola di sfogo per sadiche malignità. No, Andrea andava umiliato anche nei pomeriggi, nelle serate, nei week end, nel cuore della notte e bisognava che tutto ciò lo raggiungesse ovunque, persino nella tranquillità di casa sua, tempestandolo di notifiche sul cellulare.
E cosa accade quando una madre è costretta, d’improvviso, a sopravvivere a una mostruosità come la morte prematura del proprio figlio, ancora troppo piccolo persino per vivere da solo, a causa di circostanze tanto orribili quanto evitabili? Ce lo mostra da anni la stessa Teresa che, dopo aver dovuto seppellire Andrea, lasciandolo sprofondare lentamente nel buio di un gelido fosso nel terriccio di un cimitero, si batte facendo il giro delle scuole di tutta Italia per insegnare ai ragazzi cos’è il rispetto dell’animo altrui e quali conseguenze possono avere la cattiveria gratuita e la mancanza d’umanità. È da questa storia che la regista Margherita Ferri, con la sceneggiatura di Roberto Proia, prende spunto per il suo film “Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa” uscito nelle sale italiane lo scorso 7 novembre. Presentato in anteprima il 24 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, troviamo l’attrice Claudia Pandolfi nel ruolo di Teresa Manes, Corrado Fortuna nella parte del padre Tommaso (che nella vita vera si chiama Tiziano), Sara Ciocca che interpreta la migliore amica di Spezzacatena, Andrea Arru nei panni dell’antagonista Christian Todi e Samuele Carrino, il protagonista. A fare da centrale tema musicale di tutto il lungometraggio c’è il brano “Canta Ancora” di Arisa, che è stato presentato per la prima volta a Cagliari il 16 settembre 2024 all’interno del programma televisivo “Tutti a Scuola” con l’accompagnamento dell’Orchestra Regionale dei Licei Musicali del Veneto. Inoltre dal 4 novembre sono state organizzate delle proiezioni straordinarie de “Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa” in alcuni degli istituti scolastici del Paese, ma tristemente ci sono stati più episodi di battute di scherno e commenti omofobi espressi da degli alunni durante lo spettacolo. Inoltre una scuola di Treviso è stata costretta inizialmente ad annullare l’evento per le proteste di diversi genitori. Tutto ciò non può che confermarci ulteriormente anzitutto che la mela difficilmente cade lontano dall’albero (…) e che, anche a causa di questo, vi è una necessità vitale di portare avanti simili iniziative, atte a rieducare le nuove generazioni per un mondo più civile, lontano da bullismo e omofobia.
Per quanto riguarda la pellicola in sé, a livello di critica tecnica, benché il dramma sia ben recitato da tutto il cast e sia presente una gradevolissima fotografia che sottolinea e risalta i colori con contrasti netti, i dialoghi e la regia della Ferri sono, ahimè, ai livelli delle fiction Rai; forse anche colpa della sua plurima esperienza nel dirigere programmi, documentari, serie Tv e web series. Più che da grande schermo, sarebbe stato maggiormente appropriato destinarlo a una diffusione televisiva; non necessariamente in negativo, quantomeno per il fatto che così facendo avrebbe raggiunto un pubblico più omogeneo, ma soprattutto degli spettatori delle vecchie generazioni che spesso necessitano di una sensibilizzazione maggiore sull’argomento del pregiudizio omofobo e transfobico. Mi ha comunque strappato non poche lacrime ed è stato impossibile per me non affezionarmi a questa famiglia, se pur riprodotta nella finzione. Alla fine del film ci si ritrova inermi, spezzati, col cuore gonfio di dolore davanti alla frase della mamma Teresa: “ho commesso sicuramente degli errori con mio figlio, ma permettergli di indossare dei pantaloni rosa non è stato tra quelli”. Con molto dispiacere solo tre stelle su cinque.