Nel 1609 e il 1610, a Jamestown, primo insediamento britannico negli Stati Uniti D’America, in Virginia, viene scritta una delle pagine più oscure e controverse degli ultimi quattrocento anni di storia.
I primi coloni inglesi, a causa del grande freddo e della conseguente carestia di beni di prima necessità, pur di sopravvivere, furono costretti a praticare il cannibalismo: cibarsi di organismi appartenenti alla propria specie.
Mentre nella quasi totalità della società umana si tratta di un fenomeno crudele, atroce e immorale, salvo che per la tribù dei Korowai, gli ultimi antropofagi sul pianeta, in natura è sviluppato in oltre cento tipologie di mammiferi quali criceti, topi, leoni, orsi, scimpanzé e tigri.
In quell’anno drammatico avvenne una vera e propria strage senza precedenti: l’80% degli abitanti morì di fame e di stenti pur di non mangiare i propri simili, tutte persone che prima della loro dipartita avevano avuto una vita attiva nella comunità.
I coloni inglesi della Virginia praticarono il cannibalismo: storia e insediamento
Durante il sedicesimo secolo, una parte della popolazione inglese, prettamente imprenditoriale e disposta ad emigrare in un altro stato, aveva visto nel Nord America la giusta zona da colonizzare: un’occasione per espandere l’Inghilterra fuori dalle proprie terre.
Considerata dai più una fonte massiva di materie prime e nuove merci, come le pellicce, l‘arrivo nel “Nuovo Mondo”, espressione dell’epoca per indicare l’America e le isole limitrofe, si trasformò da simbolo di speranza e di una nuova vita in un incubo crudele, brutale e apparentemente senza fine per circa cinquecento abitanti.
Furono diversi i tentativi di insediamento in diverse zone, tra queste Terranova e Roanoke, ma i migranti videro in Jamestown il loro potenziale centro di gravità permanente.
Era il 1607 quando 104 coloni in cerca di speranza si trasferirono all’interno della zona arrivando dal fiume James: luogo dotato di un’ottima posizione per difendersi da potenziali attacchi e per la presenza di corsi d’acqua navigabili.
Purtroppo per loro, i residenti scoprirono solo tempo dopo che le terre erano inadatte alla produzione di raccolti e l’acqua non potabile, causando dissenterie, avvelenamenti e gravi malattie.
Inoltre, molte degli inglesi partiti alla ricerca di fortuna, non erano avvezzi al lavoro fisico e al procacciarsi cibo.
Il duro conflitto dei coloni inglesi con i Nativi Americani
La scarsità di beni materiali e di prima necessità, sono stati solo alcuni dei numerosi problemi affrontati dalla comunità di coloni inglesi.
In quelle stesse zone, aveva vissuto da sempre la Confederazione Powhatan, gruppo indiano composto da più di trenta tribù disseminate su tutto il territorio della Virginia.
Nonostante una comunicazione basata prettamente su scambi commerciali e baratti, più e più volte le due comunità si scontrarono tra loro.
Uno dei motivi principali delle discordie è legato prettamente ai britannici tra divergenze di pensiero e scelte potenzialmente abusive.
In quegli anni, i coloni decisero di recintare alcune zone destinate all’agricoltura, sottraendo materie prime alla popolazione opposta.
Per gli indiani era diventato complesso cacciare e procacciarsi il cibo e la loro sopravvivenza era stata messa duramente a repentaglio.
Il Periodo della Fame, la strage di coloni e il cannibalismo
Tra il 1609 e il 1610, Jamestown diventa il teatro di una tra le più grandi tragedie della storia americana ed inglese.
Gli anni passano e il numero di coloni inglesi presenti nella zona cresce esponenzialmente.
Da 104 residenti si arriva a 500, ma lo “Starving Time”, soprannominato in Italia “Il periodo della fame”, che incombe sul territorio.
La popolazione inglese, a causa degli aspri rapporti con la controparte indiana, la presenza di raccolti scarsi e la siccità, arriva ad un punto di non ritorno, difficile da immaginare: praticare il cannibalismo.
Inizialmente si sostentarono con le scorte di cibo conservate nel corso del tempo, successivamente di qualsivoglia animale presente in quei luoghi.
Senza dar conto a potenziali malattie e pur di sopravvivere, le persone ingerirono carne di cane, topi e cavalli. I destrieri tempo addietro, sono stati utilizzati per lunghi spostamenti e come mezzo di movimento destinato alla caccia.
Da quella carestia, di coloni ne sopravvissero soltanto sessanta, quest’ultimi mangiarono i cadaveri dei loro connazionali defunti.
Ancora oggi questa delicata vicenda non compare in numerosi degli Stati Uniti di storia ed è assente dal sito web dello Stato della Virginia.
Dalla teoria del cannibalismo alle prove: il caso di Jane
A riportare in auge questa vicenda, dopo anni di tabù e silenzio, è stato lo storico, saggista e attivista americano Howard Zinn nel libro “Storia del Popolo Americano dal 1492 ad oggi” pubblicato nel 1980 e oggi considerato un classico dell’argomento.
La certezza del cannibalismo tra i coloni inglesi di Jamestown, era già conclamata all’interno di diversi resoconti storici dell’epoca. I sopravvissuti avrebbero fatto razzia dei cadaveri, senza mai commettere delitti nei confronti dei propri simili.
Nel 2013, in un deposito rifiuti dell’attuale comunità locale, giunta a quattordicimila abitanti, è stato ritrovato il cranio di una quattordicenne appartenente al 1609-1610.
Battezzata dagli archeologi “Jane”, le spoglie mortali della giovane, dissotterrate e successivamente analizzate, presentano il teschio della donna spaccato in due e diversi tagli di sega e altri strumenti su mandibola, fronte e parte superiore.