Dopo la sostanziale bocciatura da parte della Corte Costituzionale della riforma Calderoli sull’Autonomia differenziata, la domanda sorge spontanea, per dirla come un vecchio giornalista tv: l’Italia è un Paese irriformabile?
Da ieri, 14 novembre 2024, da quando la Consulta ha diramato il comunicato con il quale ha fatto sapere che la legge che ridisegna i rapporti di forza tra Stato centrale e Regioni così come licenziata dal Parlamento il 19 giugno scorso non va, si tenderebbe a rispondere ancor più convintamente sì.
In effetti, in Italia, è quantomeno difficile cambiare. Anche se poi, come nel caso dell’Autonomia, almeno a chiacchiere, nessuno ha il coraggio di difendere lo status quo.
Tutti a dirlo, allora, che bisogna cambiare. Ma, alla prova dei fatti, nessuno lo fa. O nessuno riesce a farlo. Così, la nostra rimane una democrazia poco decidente.
L’Italia è il Paese del Principe di Machiavelli, ma non dello scettro: disperso nei mille rivoli di una Costituzione che ha spacchettato il potere in mille pezzi. E che volutamente – questo è il convincimento della maggior parte degli studiosi della nostra Carta – si è resa difficilmente riformabile.
Nel 1948, del resto, quando entrò in vigore, la nostra Costituzione è nata come reazione al ventennio fascista e alla dittatura del duce. La priorità, quindi, era che nessuno avrebbe dovuto più avere la possibilità di diventare un uomo solo al comando.
L’Italia, un Paese irriformabile da Benigni all’Autonomia
E così, senza riaprire la ferita del 2016, quando è fallito all’ultima curva del referendum l’ultimo, grande tentativo di riformare organicamente la nostra Carta con la legge Boschi-Renzi, a spizzichi e bocconi, siamo giunti all’ennesimo stop di ieri.
E sì, a spizzichi e bocconi perché la nostra Costituzione, la mitica “costituzione più bella del mondo”, per dirla come quelli di sinistra-sinistra alla Pierluigi Bersani, è stata comunque modificata almeno 20 volte, con l’approvazione di ben 46 leggi costituzionali tra le quali, a proposito di Regioni, quelle per approvare o modificare gli statuti speciali.
E comunque: per la sinistra, è sempre la più bella. Quella scritta col sangue dei partigiani che combatterono contro i nazifascisti “col pugno chiuso”, rivendicò una volta in aula Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione Comunista nella stagione del primo Ulivo di Romano Prodi. Il quale, a pensarci adesso, quasi trent’anni dopo, fa una certa impressione, aveva in programma anche la modifica costituzionale che avrebbe sparigliato il bicameralismo perfetto, con Camera e Senato che fanno la stessa cosa, già vent’anni prima del tentativo di Matteo Renzi.
In ogni caso: nel 2012, Pierluigi Bersani, all’epoca segretario del Partito Democratico, lo ripeteva e ripeteva che la nostra Costituzione era la più bella di tutte, tanto da venire buono per pubblicizzare il one man show di Roberto Benigni che portò la nostra Carta in prima serata su Rai 1 nel dicembre di quell’anno. Non a caso, proprio con il titolo “La più bella del mondo”. Vedere il video che il diretto interessato ha lasciato su YouTube per credere
E insomma: lo show di Benigni andò alla grande con una media di 12 milioni di telespettatori e oltre il 46% di share. Ma c’era da giurarci: la Costituzione, per il piccolo diavolo di Castiglion Fiorentino e per il popolo del centrosinistra, era già diventata un must tanto che a febbraio 2011, Gianni Morandi, al suo primo Sanremo, lo invitò come super ospite al Festival. E lui (lo ricorda il video di Repubblica e RadioTv su YouTube) entrò in sella a un cavallo bianco, sventolando il Tricolore ed esclamando: “Viva l’Italia!”.
Il sottotitolo, chiaro e forte, era per l’ultimo governo Berlusconi, tra l’altro agli sgoccioli perché già alle prese col super spread: non azzardatevi a toccare la nostra Costituzione!
A cambiare la nostra Carta ci pensò giusto qualche mese dopo Mario Monti, subentrato al Cav a novembre di quello stesso anno, fissando, zitto zitto, nella nostra Carta il principio del pareggio (badate bene: “pareggio”, non più “equilibrio”) di bilancio.
E vabbè: ciao core, come dicono a Roma. Visto che comunque nel 2020 Giuseppe Conte riuscì a far approvare il Superbonus edilizio, il 110%: “il più costoso sussidio mai visto nella storia della Repubblica italiana, il più generoso credito d’imposta del mondo”, come hanno scritto Luciano Capone e Carlo Stagnaro in “Superbonus, come fallisce una nazione” edito da Rubbettino e in uscita proprio oggi, 15 novembre 2024.
Forse questa è un’altra storia. Ma sintomatica comunque del fatto che in Italia, quando c’è la Costituzione di mezzo, si deve procedere con le pinze. Si urtano troppe suscettibilità. O troppi interessi, chissà.
Le reazioni alla bocciatura della Consulta di ieri
E quindi: una delle verità rivelate della politica italiana, col tempo riassunta in quella che è quasi diventata una frase fatta a proposito di riforme della Costituzione, è che queste ultime devono essere fatte senza forzature da parte della maggioranza di turno. Altrimenti, presto o tardi, si va a sbattere.
“C’è bisogno della massima condivisione quando ci sono di mezzo le regole del gioco”: quante volte abbiamo sentito ripetere queste parole?
Così, oggi, al microfono di Lorenzo Brancati di Tag24.it che li attendeva sotto i Palazzi, i parlamentari si sono scatenati nel solito gioco delle parti.
Ha iniziato Andrea Crippa della Lega, tentando di ricomporre i cocci della riforma Calderoli:
Ha preso poi la palla Mauro D’Attis di Forza Italia, rivendicando in faccia agli alleati un “ve lo avevamo detto” grosso come una casa:
Hanno goduto come ricci i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle, tanto che Francesco Silvestri si è levato il sassolino dalla scarpa di rispedire al mittente l’accusa di essere “incompetenti”:
E il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, ha parlato, non stando nella pelle per la contentezza, di “tranvata per la Lega”
Salvo comunque precisare: “Noi comunque, non siamo mai stati contro l’autonomia delle Regioni…”.
Ecco, bisogna pur sempre ricordare che la Costituzione in oggetto è quella dell’Italia: il Paese dove, col melodramma, è stata inventata la commedia.
Autonomia differenziata: perché l’Italia non è un Paese per le riforme (in tre punti)
- Ieri, 14 novembre 2024, la Consulta ha bocciato la riforma Calderoli sull’Autonomia differenziata: ridisegnava i poteri tra Stato centrale e Regioni
- Si è trattato dell’ennesimo tentativo a vuoto di cambiare la Costituzione, definita dal centrosinistra “la più bella del mondo”. Anche se l’Ulivo voleva modificarla, da Roberto Benigni (che sulla Carta fece anche un programma di successo) a Bersani, rappresenta un vero e proprio dogma
- Il giorno dopo, i commenti dei parlamentari alla bocciatura della Corte Costituzionale riprendono, così, il solito gioco delle parti: qualcosa di sicuramente già visto. Si ritorna, come nel gioco dell’oca, al punto di partenza mentre la nostra rimane, a detta degli esperti, una democrazia non decidente