La storia di Giuseppe “Pino” Pinelli diventa un caso il 12 dicembre 1969, quando una bomba esplode alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, causando 16 morti e decine di feriti. La sera stessa, Pinelli, insieme a molti altri, viene portato in questura per interrogatori.
Chi era Giuseppe Pinelli?
Giuseppe Pinelli, nato a Milano il 21 ottobre 1928, è stato ferroviere e attivista, noto per il suo impegno nel circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa”. Durante la Resistenza, aveva svolto il ruolo di staffetta nella Brigata Autonoma Franco, forse in contatto con le Brigate Bruzzi Malatesta. La sua vita si conclude tragicamente la notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, quando precipita da una finestra della questura di Milano, dove era trattenuto per accertamenti, in seguito alla bomba esplosa nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana. La sua detenzione era priva di base legale.
Le indagini sulla morte di Pinelli
Inizialmente, il questore Marcello Guida dichiara che Pinelli si sarebbe suicidato; la famiglia viene a sapere della sua morte solo grazie a giornalisti come Camilla Cederna, Giampaolo Pansa e Corrado Stajano, giunti in piena notte a informare i familiari, i quali, non essendo stati avvisati dalla polizia, ricevono come spiegazione l’insensibile risposta: “Non avevamo tempo”.
L’ipotesi del suicidio appare subito poco credibile e suscita scetticismo. Nei mesi seguenti, il “Comitato cineasti contro la repressione” raccoglie materiali per un film, completato nel 1970 sotto la direzione di Elio Petri e Nelo Risi. L’opera si divide in due parti: una diretta da Risi, intitolata semplicemente Giuseppe Pinelli, e l’altra da Petri, conosciuta come Ipotesi su Giuseppe Pinelli o Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli. Alla vicenda si ispira anche Dario Fo, che realizza la celebre opera teatrale Morte accidentale di un anarchico. Negli anni, Pinelli diviene simbolo, ricordato in libri, film, opere teatrali, canzoni e installazioni artistiche, non solo in Italia.
Il 27 dicembre 1969, la moglie di Pinelli, Licia Rognini, denuncia per diffamazione il questore Guida, che era stato funzionario fascista e direttore del confino di Ventotene. Nel 1971, la donna accusa anche il commissario Calabresi e tutti i presenti in questura quella notte, imputandoli di omicidio volontario, sequestro di persona, violenza privata e abuso di potere.
Il 27 ottobre 1975, il giudice Gerardo D’Ambrosio archivia il caso, scartando sia il suicidio che l’omicidio e motivando la morte come effetto di un “malore attivo”. Nessun colpevole viene perseguito, e la versione ufficiale resta quella di un tragico incidente.
I dubbi sulla morte di Pinelli
Le circostanze della morte di Pinelli suscitano dubbi e polemiche, alimentati dalla testimonianza di un altro anarchico, Pasquale Valitutti, che sostiene di aver sentito un trambusto provenire dalla stanza dove Pinelli era trattenuto. Inoltre, le dichiarazioni ufficiali della polizia sono contraddittorie: prima si afferma che Pinelli è saltato spontaneamente, poi che qualcuno ha tentato di trattenerlo. Nel frattempo, un giornalista presente in Questura, Aldo Palumbo, descrive la caduta come verticale, suggerendo che Pinelli potesse essere privo di coscienza.
Pinelli viene commemorato come “diciassettesima vittima” della strage di Piazza Fontana, e la sua figura diventa simbolo dell’opposizione alle repressioni di quegli anni, ribadendo la sua innocenza e il sospetto di un omicidio. Nel 2009, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano invita Licia, vedova di Pinelli, e Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi (ucciso nel 1972), a un incontro pubblico, segno di una riconciliazione istituzionale che vuole superare gli odi di quel periodo buio.
Nonostante l’archiviazione dell’indagine, la famiglia Pinelli non smette mai di chiedere giustizia. Dopo cinquant’anni, nel dicembre 2019, giungono finalmente le scuse ufficiali da parte della città di Milano, tramite il sindaco Beppe Sala. Sala afferma: “Il senso d’ingiustizia rimane e, riconoscendo l’errore, sono qui per chiedere scusa e perdono a nome della città. Pinelli era un cittadino che si impegnava per il bene comune, e Milano deve molto alla sua memoria e alla lezione che ci ha lasciato”.
Anche la moglie Licia ribadisce, ormai da molti anni: “Non trovare la verità è una sconfitta dello Stato, che manca di coraggio se non la riconosce. Questo significa che lo Stato stesso ha perso”.
La figura di Pinelli è rimasta per molti un simbolo contro l’oppressione e in difesa della verità, come ricordato anche dalla moglie Licia, che ha sottolineato il ruolo di Pinelli come elemento di resistenza contro una strategia che mirava a screditare il movimento anarchico e più ampiamente la sinistra. Dario Fo gli dedicò una delle sue commedie più note “Morte accidentale di un anarchico”.