“È stato un fulmine a ciel sereno, non ce lo aspettavamo assolutamente. Ma avendo già un’altra figlia, abbiamo capito subito che c’era qualcosa che non andava”. Chiara ha 8 anni e una malattia genetica rara, la sindrome di Angelman: non parla, ha un ritardo cognitivo e motorio, crisi epilettiche, iperattività, deficit dell’attenzione e disturbi del sonno. Sua madre Emanuela Traversini ha raccontato la sua storia in un libro, pubblicato nel 2022: “Chiarapunzel. Avevo altri progetti, poi è arrivato il tuo sorriso”.
“Eravamo tutti felicissimi. Avrei avuto un’altra figlia a distanza di meno di due anni da Miriam e pensavo a come sarebbe stato bello vederle crescere e giocare insieme. Poi abbiamo iniziato a notare dei problemi. Non riuscivo ad allattarla, non stava seduta e non gattonava” racconta a TAG24 mamma Emanuela, che sui social mostra il loro viaggio in compagnia della sindrome. “Quando sono arrivati i risultati dei test genetici mi sono sentita dentro a un buco nero”.
La storia di ‘Chiarapunzel’ con la sindrome di Angelman
Chiara ha avuto una piccola sofferenza alla nascita, quindi inizialmente i medici imputavano a questo evento le difficoltà riscontrate dai genitori. “Nei suoi primi giorni di vita non è stata con me, ma trasferita in un altro ospedale: ci dicevano che avrebbe recuperato con il tempo” spiega Emanuela.
La situazione, però, non sembrava affatto migliorare. Quindi i genitori hanno deciso di rivolgersi a un neuropsichiatra, che ha prescritto degli esami genetici.
“I risultati non ci preoccupavano, perché non pensavamo di trovare chissà cosa. Io ero molto tranquilla. Infatti quando mi hanno chiamata dall’ospedale ho preso un permesso dal lavoro, convinta che sarebbe stato un colloquio veloce. Quando mi hanno comunicato la diagnosi non riuscivo a crederci. ‘Non è la mia vita’ mi ripetevo”.
I primi periodi sono stati “devastanti”, sottolinea Emanuela. “Era come aver subito un lutto, un evento che cambia completamente la vita, senza sapere come uscirne. Mio marito stava gestendo meglio la notizia, ma per me era come se fosse finito tutto. Poi ho capito che Chiara non era forse la bambina dei sogni, ma era pur sempre mia figlia. Ho cominciato a guardarla con altri occhi, a notare le sue qualità, quelle che avevo tralasciato perché concentrata sui problemi. Ho cambiato prospettiva e mi sono resa conto che la vita non era finita”.
Emanuela parla con estrema dolcezza di quei momenti in cui scopre “un altro mondo”. “Per Chiara proviamo un amore enorme. Se allora mi avessero detto che avremmo vissuto la vita con un sorriso, non ci avrei creduto”.
Le conquiste di Chiara
La sindrome di Angelman non è degenerativa: Chiara può apprendere e migliorare. Grazie all’impegno della sua famiglia e ai giusti professionisti, la bambina- che non è verbale- ha imparato a comunicare usando la CAA- Comunicazione alternativa aumentativa. Ossia attraverso immagini e simboli.
“I ragazzi con la sindrome di Angelman non possono esprimersi verbalmente, ma comunque comprendono il linguaggio e vivono una sensazione di frustrazione fortissima. Non possono dire ciò che desiderano né imparare a scrivere, quindi per loro la soluzione più semplice è imparare a utilizzare la CAA. Chiara viene da me con il suo quaderno e mi dice che cosa vuole, con chi ha giocato, dove le piacerebbe andare. È complicato da insegnare però, una volta capito il meccanismo, rappresenta un punto di svolta” sottolinea Emanuela.
Ma non solo. Chiara ha anche imparato a camminare, anche se molto in ritardo rispetto agli altri bambini. Oggi indossa dei tutori perché ha bisogno di correggere l’appoggio. Riesce a spostarsi in autonomia e frequenta le scuole elementari con un insegnante di sostegno.
Rispetto ad altre famiglie di ragazzi con malattie rare o disabilità, quella di Chiara non ha sperimentato solitudine ed emarginazione a scuola. Come invece è capitato a Elisa, ragazzina con neurofibromatosi e ADHD.
“Chiara vive una situazione quasi idilliaca. L’intero team scolastico si prende cura di lei. Gli altri bambini la cercano ed è un po’ il centro delle attività anche quando si fanno dei progetti. Lo scorso anno, al saggio finale, avevano tutti una maglietta con i simboli della Comunicazione Aumentativa” racconta la madre.
“Abbiamo cercato la scuola giusta, non fermandoci a quella più vicina a casa, ma abbiamo anche trovato vera inclusione. Noi, come genitori e come famiglia, ci diamo da fare tantissimo. Ma se fossimo da soli non avremmo raggiunto tutti questi obiettivi. Siamo grati a tutte le persone che ci aiutano e ci supportano. Mi sento male quando vengo a sapere di famiglie che sono in lista d’attesa per le terapie, perché mi rendo conto di che tipo di frustrazione debba vivere una madre”.
Il consiglio per gli altri genitori? “Non lasciarsi abbattere”
Anche Chiara e i suoi familiari, in passato, hanno dovuto affrontare diverse difficoltà. Ci sono stati terapisti non adeguati, discussioni con dirigenti scolastici, lungaggini burocratiche.
“All’inizio ci era stato suggerito di non cercare le motivazioni del ritardo psicomotorio di Chiara, tanto non avrebbe avuto senso” racconta mamma Emanuela. “Per fortuna non abbiamo dato retta a quell’opinione e ci siamo recati fuori Regione per le indagini genetiche. Almeno così sappiamo come muoverci. In caso contrario avremmo brancolato nel buio”.
Ma qual è il suo consiglio per chi dovesse nella stessa situazione? “Innanzitutto pensare che il momento della diagnosi è solo di passaggio. Poi si arriva a un altro tipo di vita, si ritrova la luce e non bisogna farsi angosciare troppo da ciò che accadrà dopo cinque o dieci anni” sottolinea.
“Quella situazione di angoscia e di buio totale passa per tutti. Un altro consiglio che posso dare è di crearsi una rete di aiuti con familiari, amici, professionisti. Ossia tutto ciò che possa offrire un supporto”.
Ma come mai questo soprannome, Chiarapunzel?
“Nel periodo in cui è nata l’idea del libro Miriam (che oggi ha 10 anni, ndr) aveva la passione per questo personaggio delle fiabe, Rapunzel. Abbiamo unito i due nomi per gioco, poi ci è piaciuta l’idea che Chiara fosse una principessa in cima a una torre, imprigionata dalla sua sindrome. Noi, usando la sua lunga treccia, le portiamo tutto ciò di cui ha bisogno”.