Ritorno al cinema per il regista Gabriele Muccino che, lo scorso 18 ottobre, ha presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma “Fino alla Fine”, il suo nuovo film d’azione girato a Palermo. Liberamente ispirato a “Victoria”, lungometraggio del 2015 diretto dal regista tedesco Sebastian Schipper, la vicenda vede protagonista Sophie, una turista californiana, che si ritroverà a vivere la notte più spericolata della sua vita. Peccato che la pellicola sia un bislacco riadattamento di una trama già di per sé mediocre.
“Fino alla Fine”, recensione
Su un volo da Caserta a Palermo c’è una giovane donna di nome Sophie (Elena Kampouris). Arriva dalla California e sta viaggiando insieme alla sorellastra più grande Rachel (Ruby Kammer). Sono figlie di padri differenti e sembra che questa diversità le separi proprio in tutto: se la prima, incosciente e bellissima, con gli occhi grandi dello stesso colore del mare, è spesso preda delle sue emozioni lasciandosi quasi inghiottire da esse, la seconda, dall’aspetto sicuramente più anonimo, è ossessionata dal controllo; ogni cosa deve essere pianificata in anticipo, minuziosamente e Rachel pare non contemplare l’esistenza di alcuna emozione spontanea al di fuori della rabbia. È sempre nervosa e giudicante nei confronti della sorella mal voluta, riprendendola nevroticamente quasi anche al minimo respiro. Sophie è una splendida ragazza fragile dalla carnagione color latte e i capelli a caschetto, biondi come il miele, col viso angelico, un po’ tondo e le labbra piene leggermente a forma di cuore. Un meraviglioso sorriso dalla dentatura dritta le illumina il volto, donandole un’espressione ingenua e felice quasi come fosse ancora una bambina. Alta e longilinea, ha un fisico praticamente perfetto, naturalmente scolpito. Ma per quanto a un primo sguardo pare possedere tutto quello che le serve per essere felice, in realtà si sente quotidianamente sopraffatta dalla tristezza: dopo la morte del padre ha tentato di togliersi la vita, facendosi due solchi profondi lungo i polsi stretti e chiari come la neve. Sangue di un rosso vivo che ricorda il succo di melagrana era sgorgato, con la rapidità di un fiume in piena, da quei tagli netti spiccando sulla sua pelle sottile e bianca come la carta. Un contrasto forte e inaspettato, esattamente come un gesto simile da parte di una fanciulla dall’apparenza mite e dal temperamento entusiasta. Eppure Sophie è tormentata da un animo vulnerabile ed è afflitta da sbalzi umorali che le rendono difficile vivere spensierata come dovrebbe. Si è diplomata al conservatorio, ma l’estenuante e rigida competitività nel mondo della musica classica l’ha resa ancor più instabile, facendola isolare in se stessa e allontanando la possibilità di farsi degli amici, in un’oscillazione tra invidia e senso di colpa. Avendo abbandonato quella realtà, adesso si ritrova insoddisfatta a lavorare da Starbucks in una routine sempre identica che non lascia spazio ai sogni.
Finalmente atterrate a Palermo avranno all’incirca 24 ore prima di dover ripartire per gli Stati Uniti; ma Sophie sulla stupenda spiaggia di Mondello incontrerà all’improvviso un ragazzo con gli occhi azzurri, simili ai suoi. Si chiama Giulio (Saul Nanni) e ha un viso che difficilmente si dimentica. È nato e cresciuto al Nord Italia, ma adesso vive in Sicilia con i nonni. Anche lui pare non avere dei punti fermi e non ha ancora capito cos’è che vuole fare da grande. Si avventura in lavori di fortuna, spesso al di fuori della legalità, e vive alla giornata. Tra i due sarà amore e desiderio bruciante di passione a prima vista e questo colpo di fulmine spingerà lei a scappare insieme a Giulio e ai suoi tre migliori amici, abbandonando la sorella nello sgomento. Avrà così inizio per Sophie una notte inattesa in compagnia di quattro giovani sconosciuti, in una Palermo bellissima e violenta.
“Fino alla Fine”, critica
A quattro anni da “Gli Anni più Belli”, uscito nel 2020, il regista e sceneggiatore Gabriele Muccino ritorna al cinema con un nuovo film intitolato “Fino alla Fine”. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso 18 ottobre, è stato poi distribuito nelle principali sale italiane a partire dal 31 ottobre. Girato in Sicilia tra Mondello e Palermo, le riprese ripercorrono alcune location più iconiche di una città senza tempo: dalla Cattedrale a Piazza della vergogna, ma anche Ballarò, la Kalsa e Corso Vittorio Emanuele. Se con l’omonimo thriller d’azione del 1995, diretto da Frank A. Cappello, con Russell Crowe nel ruolo del protagonista, condivide solamente il titolo, quest’ultimo lavoro di Muccino, per sua stessa ammissione, è liberamente ispirato a “Victoria”, del 2015, firmato dal regista tedesco Sebastian Schipper.
Ma in realtà, avendo visto entrambi, posso dire che anziché essersi ispirato pare proprio aver voluto confezionare un remake nostrano; riuscendoci? Assolutamente no. Gabriele Muccino tenta per la prima volta di addentrarsi in generi cinematografici come il thriller e l’azione, facendo fiasco. Se già non ho amato particolarmente “Victoria”, trovandolo un lungometraggio confuso che non si capisce bene cos’è che voglia raccontare, ma soprattutto per quale motivo, il rifacimento in questione lo reputo a dir poco bislacco e insopportabile. Più che un remake, sembra quasi una parodia surreale e poco probabile che punta maggiormente sulla storia d’amore tra due giovani impulsivi, un po’ alla Romeo e Giulietta. Le cose che ho meno digerito sono la recitazione e i dialoghi sempre sopra le righe e visibilmente forzati, con questi attori costantemente in preda a una sorta di isteria di gruppo. Un’onnipresente concitazione forzata e caricaturale lo fa sembrare da subito un episodio di “Paso Adelante”. Devo confessare di aver letteralmente sofferto tra una conversazione dal ridicolo romanticismo stucchevole e un’euforia quasi delirante. Essendo nata a Palermo ho potuto ancor di più notare i punti meno verosimili di una narrazione impazzita, tipo un pittoresco criminale russo che fa il suo ingresso non si sa bene da dove e che detta legge, minacciando i protagonisti, costringendoli ad assaltare un portavalori. Ahimè, siamo tutti a conoscenza della brutta eredità culturale che ci portiamo dietro in Sicilia da decenni col fenomeno della mafia, ma proprio per questo una storia del genere appare plausibile come Pippo Franco che interpreta Madama Butterfly. Tra una strillata immotivata, qualche bacio appassionato, una corsa in macchina, un paio di sparatorie e un remix della canzone “Ciuri Ciuri” che vien fuori en passant, mi sono sentita smarrita e infastidita per ben 118 minuti. Spero che Muccino prenda la saggia decisione di non farlo mai più e di ritornare ai drammi, che di certo gli appartengono maggiormente. Due stelle su cinque.