Con buona pace del tanto osannato politically correct, nelle ultime ore sono volati gli stracci tra le due prime donne della politica italiana che per l’occasione hanno tirato fuori dal baule e rispolverato ‘termini’ che ci riportano indietro nel tempo.

‘Sinistra al caviale’ e ‘destra all’olio di ricino’. Due espressioni che rimandano agli anni della contestazione se non addirittura a quelli del Ventennio quando l’utilizzo di termini denigratori per rivolgersi alla parte politica avversa era una prassi.

Termini che in quegli anni si caricavano di significati profondi e riflettevano le tensioni politiche e sociali esistenti nel nostro Paese.

Vediamo allora come si sono evoluti nell’ultimo secolo gli ‘insulti’ tra destra e sinistra.

Caviale o olio di ricino? Lo scontro tra Meloni e Schlein sui diritti dei lavoratori

Prima di fare un’analisi storica e politica dell’evoluzione degli epiteti coniati dalle forze politiche per ‘colpire’ gli avversarsi, apriamo una parentesi su quanto sta accadendo in queste ore in Italia.

Di acqua sotto ai ponti ne è passata, da quando militanti di destra e sinistra si affrontavano in piazza, ma a quanto pare non è cambiato molto nella dialettica politica italiana se appena ieri, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni per rispondere alle accuse delle forze di opposizione di centrosinistra di non tutelare i diritti sindacali dei lavoratori italiani ha dichiarato:

“Questo governo li difende molto di più della sinistra al caviale”.

Un affondo a cui la segretaria del Pd Elly Schlein ha risposto:

“Io di caviale non ne ho mai mangiato, ma nemmeno posso sopportare che i lavoratori vengano purgati con olio di ricino”.

Un chiaro riferimento al famoso discorso pronunciato da Benito Mussolini in Parlamento dopo l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti.

La “sinistra al caviale” e la critica all’elitismo della destra

Cosa significa sinistra al caviale e perché, per rispondere alle accuse di non avere a cuore battaglie della ‘classe operaia’, la presidente Meloni ha fatto riferimento al costoso alimento a base di uova di pesce?

L’epiteto ‘sinistra al caviale’ si inserisce nel lungo elenco di epiteti più o meno offensivi, coniati nell’ultimo secolo dalla politica di destra per sottolineare il carattere ‘elitario’ della classe dirigente di sinistra che, a parole si schiererebbe dalla parte dei lavoratori, ma nei fatti sarebbe il quanto più lontano possibile.

Ecco quali sono i termini più noti, coniati negli anni per evidenziare l’ipocrisia tra uno stile di vita elevato e la pretesa di lottare al fianco dei lavoratori.

Tra i sinonimi di sinistra al caviale ci sono i termini ‘comunista con il rolex’, ma anche ‘il partito della Ztl’ ovvero, il partito della zona a traffico limitato, coniato recentemente (era il 2018) per indicare il fatto che i politici di sinistra erano rimasti gli unici a poter risiedere nei centri storici delle città, ormai divenuti carissimi. Quartieri che appunto sono contraddistinti dalla presenza delle Ztl.

Per la destra italiana, di oggi, come di ieri, quindi la sinistra è una sinistra ‘radical chic’ distante dalle lotte operaie e dalle necessità e dai bisogni delle classi più deboli.

Ben più pesanti erano gli epiteti coniati negli anni ’60 e ’70, gli anni della contestazione in cui lo scontro politico e sociale sfociò in un decennio di sangue e di violenza. I comunisti e in particolar modo la cosiddetta ‘sinistra extraparlamentare’ erano indicati come ‘sovversivi’, e ‘rivoluzionari’ sulla scia di quanto già era accaduto nei decenni precedenti, durante il Ventennio.

Durante il fascismo, infatti, la sinistra veniva etichettata con termini come ‘sovversivo’, ‘antipatriota’, ‘rivoluzionario’. Tutti termini che parlavano alla pancia del Paese, alimentando la paura di disordini e complotti al fine di delegittimare la parte politica avversaria.

In anni più recenti, è stata coniata l’espressione “zecca comunista” o “zecca rossa” per indicare esponenti e militanti del centrosinistra. Linguaggio da strada? Non proprio se si considera che tale espressione è stata utilizzata negli ultimi 20 anni da diversi esponenti di spicco di partiti di centrodestra.

La “destra all’olio di ricino” e il continuo rimando al fascismo

All’accusa di essere radical chic di Giorgia Meloni, la segretaria del Pd Elly Schlein risponde rispolverando un altro grande classico, ovvero, quello della destra ‘olio di ricino e manganello’ di mussoliniana memoria.

Il riferimento all’olio di ricino, infatti, si ricollega al tristemente famoso discorso pronunciato da Benito Mussolini il 3 gennaio 1924 sull’omicidio Matteotti in cui pronuncio la seguente frase:

“Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa”.

L’espressione ‘destra all’olio di ricino’ sta a indicare, oggi, la tendenza autoritaria e liberticida che l’attuale opposizione di centrosinistra imputa alla maggioranza, ma riprende quella che una lunga tradizione di sinistra che nei decenni ha coniato termini volti a evidenziare l’autoritarismo, il conservatorismo e il nazionalismo della destra.

Tra i termini utilizzati in termini dispregiativo per indicare la destra c’è sicuramente ‘fascista’ e ‘camerata’ o ‘camicia nera’ per indicare affiliazioni a gruppi di estrema destra.

Per la sinistra italiana, quindi, oggi come ieri la destra continua a essere quella che vuole imporre un sistema politico autoritario a discapito dei diritti e della libertà di opinione.

Negli anni ’70 i termini più utilizzati per indicare gli ‘avversari’ di centrodestra, erano “fascista”, “reazionario”, “sfruttatore” e “borghese”. Termini che venivano utilizzati per connotare in maniera negativa le forze sociali di destra o di estrema destra.

Il linguaggio di opposizione politica e ideologica della sinistra nasce e si consolida durante il regime fascista con termini come ‘squadrista’, ‘reazionario’ o ‘borghese’, ovvero tutti i termini che enfatizzavano il carattere autoritario e oppressivo del regime.

Da Mussolini a oggi: come la politica italiana usa il linguaggio per dividere

L’uso di termini dispregiativi per connotare, o, riferirsi ad avversari politici ha precisi scopi di delegittimazione del ‘nemico politico’. Non è insolito infatti che, in tempi anche meno recenti, la comunicazione politica si sia servita di tali termini per copi propagandistici.

L’utilizzo di tali epiteti contribuisce alla polarizzazione del discorso, con la creazione di contrapposizioni del tipo ‘noi’ e ‘loro’ rendendo più difficile intavolare un dialogo costruttivo. Contribuisce alla legittimazione di pregiudizi e stereotipi che alimentano l’odio tra opposte fazione che può portare – come accaduto negli anni di Piombo – a epiloghi tragici.

Creano un senso di appartenenza che porta a sentirsi parte di una comune lotta contro un gruppo percepito come nemico.

L’utilizzo di un linguaggio denigratorio, infine, ha effetti negativi anche sul livello della comunicazione politica perché normalizza linguaggi divisivi che minano la capacità delle parti interessate ad affrontare questioni complesse in modo costruttivo.

Conclusioni

La polemica tra Meloni e Schlein, che ha fatto emergere l’uso di termini storici come “sinistra al caviale” e “destra all’olio di ricino”, dimostra come il linguaggio politico italiano continui a essere carico di simbolismi e reminiscenze storiche.

Questi epiteti, che affondano le radici nel fascismo e nelle lotte ideologiche del Novecento, non solo riflettono le divisioni ideologiche attuali, ma contribuiscono anche a rinforzarle.

Oggi, nonostante i cambiamenti nelle dinamiche politiche e sociali, il linguaggio denigratorio rimane un elemento chiave della dialettica politica italiana. Le accuse di elitismo e autoritarismo sono ricorrenti, con il caviale e l’olio di ricino che, come simboli, rimandano a un passato che non sembra essere stato completamente superato.