“Vorrei chiedere a queste ragazze cosa sanno della storia degli anni ’70 in Italia, delle Brigate Rosse e di quello che hanno significato per il nostro paese e del dolore che hanno portato a tante famiglie”.
Con queste parole Giovanni Ricci, figlio dell’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci – uno degli uomini della scorta dell’ex presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, ha commentato a Tag24.it la vicenda delle tre ragazze di Bologna che giovedì sera, per festeggiare la festa di Halloween hanno deciso di travestirsi da membri delle Brigate Rosse e di rievocare il sequestro dello statista democristiano.
Una vicenda che ha sollevato una comprensibile ondata di indignazione e che secondo Giovanni Ricci, presidente dell’ Associazione Domenico Ricci per la memoria dei caduti di via Fani è sintomatica soprattutto dell’incapacità del Paese di fare i conti con il periodo degli Anni di Piombo e di coltivare e trasmettere il ricordo di quegli anni bui alle nuove generazioni.
“Il problema è la memoria. E’ facile raccontare ai ragazzi la bellezza rivoluzionaria di quegli anni ed è facile traviare le loro menti se si racconta loro solo ciò che si vuole raccontare, tralasciando la scia di sangue che c’è dietro le Brigate Rosse.”
Dichiara Ricci, lanciando l’allarme sul rischio della perdita della memoria storica di quegli anni e sulle conseguenze negative che tale perdita potrebbe avere sulle nuove generazioni e per il futuro del Paese.
Si travestono da Br per Halloween, Giovanni Ricci: “Vorrei chiedere loro cosa sanno di quegli anni”
Una bandiera rossa con il simbolo delle Br come quella ritratta alle spalle di Aldo Moro nei giorni del sequestro, i volti sorridenti dietro gli occhiali da sole e sullo sfondo la città di Bologna, la stessa città dove il 19 marzo di 22 anni fa le Nuove Brigate Rosse assassinarono il giuslavorista Marco Biagi.
Tutto per una foto da postare sui profili social il giorno di Halloween. Un scatto per rievocare, come un feticcio da esibire, uno dei capitoli più bui della storia contemporanea del nostro Paese che, mai come in quel giorno, si scoprì vulnerabile e sotto attacco.
Era il 16 marzo del 1978 quando in via Fani a Roma un commando di brigatisti bloccò e aprì il fuoco sulle auto su cui viaggiavano Aldo Moro e gli uomini della sua scorta. Pochi minuti di fuoco, un’operazione da manuale che si concluse con il sequestro del Presidente democristiano e che lascio sull’asfalto i corpi senza vita dei cinque uomini della sua scorta.
Tra di loro c’era anche l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, 43 anni, che era alla guida dell’auto su cui viaggiava Moro. Oggi il figlio Giovanni, che all’epoca aveva 12 anni, si dedica a mantenere viva la memoria di quanto accaduto quel tragico giorno che cambiò per sempre la sua vita e quella di un’intera nazione.
“Bisognerebbe chiedere a queste ragazze cosa sanno veramente di quegli anni. Chiedere loro cosa sanno veramente delle Brigate Rosse e dei fatti di quel periodo”.
Commenta Giovanni Ricci che, poi, racconta un episodio per sottolineare come la mancata conoscenza dei fatti possa esporre le nuove generazioni al rischi di cattive influenze e alla fascinazione di ‘cattivi maestri’ del passato.
“Le faccio un esempio banale: quando venne arrestata Nadia Desdemona Lioce, un membro delle nuove Brigate Rosse (arrestata nel 2003 per aver partecipato agli omicidi di Massimo D’Antona nel 1999 e di Marco Biagi, nel 2002, ndr) si organizzò una manifestazione all’Aquila e sui muri della città un 16enne dei centri sociali scrisse la frase: “Dieci, cento, mille Raciti” parafrasando uno dei famosi slogan dell’epoca. Filippo Raciti era un semplice ispettore della polizia ucciso da un ultras che, quindi, con il tema della manifestazione non centrava nulla. Ecco quando si confondono queste cosa significa che i giovani sono manipolabili.”
Denuncia Ricci che punta il dito contro la scarsa informazione sui fatti legati al terrorismo di sinistra e di destra e agli anni di piombo, così ribattezzati proprio per il piombo dei proiettili esplosi contro un nemico invisibile e in nome di un ideale annegato nel sangue delle vittime innocenti.
Il figlio di Domenico Ricci: “La mitizzazione del terrorismo è una minaccia per i giovani”
Coltivare e tramandare la memoria di quegli anni è l’unico modo che abbiamo, secondo Ricci, per evitare che episodi come quello di Bologna si ripetano, perchè:
“Finché avremo persone che racconteranno – secondo la propria opinione – la bellezza di quegli anni e non avendo i ragazzi di oggi nessuna conoscenza dei fatti reali, sarà facile riuscire a convincerli che le Brigate Rosse hanno fatto un’opera un po’ come la figura di Che Guevara o di Castro.”
Non c’è astio nelle sue parole, ma la consapevolezza di chi da anni rema contro corrente nel tentativo di mantenere viva la memoria di fatti che il Paese sta cercando caparbiamente di dimenticare.
“Purtroppo non si riesce a fare memoria degli Anni di Piombo, nonostante che ci sia la legge 56 del 2007. Vede in Italia non riusciamo ancora neanche a fare pace con le due parole di fascismo e antifaismo, non riusciamo a fare pace con la resistenza tradita del secondo dopoguerra e difficilmente riusciremo a fare pace con gli anni 70”
afferma il presidente dell’Associazione per la memoria delle vittime di via Fani.
Ricci: “La storia delle Brigate Rosse va insegnata nelle scuole”
Quanto accaduto a Bologna con il travestimento delle tre giovani da Br solleva molte riflessioni sulla memoria storica e sul modo in cui vengono percepiti e narrati alle giovani generazioni gli eventi che hanno caratterizzato quegli anni tanto complessi e dolorosi.
Giovanni Ricci, che oggi è un noto sociologo e un criminologo, sottolinea come simili episodi di banalizzazione e mitizzazione siano anche figli un’inadeguata formazione delle nuove generazioni sulla storia contemporanea e soprattutto sui fatti tragici degli anni di piombo. Fatti ed eventi che hanno cambiato il Paese, rendendolo quello che conosciamo oggi, ma che banalmente non sono ancora presenti nei programmi scolastici delle scuole superiori.
“Ancora oggi il Ministero non riesce a inserire ufficialmente questi argomenti nei programmi. I programmi scolastici si fermano al periodo post seconda guerra mondiale. Lo stragismo, il terrorismo e gli Anni di Piombo non vengono insegnati nelle scuole e molti insegnanti non vogliono trattarli, perché non fanno parte del programma scolastico.”
La conseguenza?
“E’ evidente che se vengono raccontate ai ragazzi magari la bellezza degli anni 70, di una rivoluzione italiana portata avanti dalle Brigade Rosse, i ragazzi tenderanno a mitizzare quegli anni e i protagonisti, soprattuto se non gli si racconta anche tutto il dolore che hanno causato. Che è il dolore di un paese intero.”
“Banalizzazione Anni di Piombo pericolosa. Dobbiamo preservare la memoria dei fatti”
Secondo Ricci, quindi, la questione centrale è proprio quella della memoria, del modo in cui il paese ha scelto di trasmetterla, o, di non trasmetterla. Non basta parlare di terrorismo solo in prossimità di una ricorrenza o di un anniversario, ma occorre insegnarlo nelle scuole, inserirlo nei programmi scolastici per impedire che le generazioni più giovani possano subire il fascino del passato e idealizzare ciò che furono e ciò fecero le Brigate rosse.
Per evitare, come accaduto a Bologna giovedì scorso, l’idealizzazione di uno dei momenti più dolorosi e sanguinosi della nostra storia. E’ per questa ragione che con la associazione che porta il nome del padre Domenico, Giovanni Ricci si impega per raccontare chi era suo padre e chi erano tutte le vittime del terrorismo.
“Noi portiamo avanti ancora oggi – non solo la memoria di quei cinque uomini – ma portiamo avanti anche una battaglia per la memoria di tutti i caduti delle forze dell’ordine di cui non ci si ricorda mai, di questi illustri sconosciuti, di queste persone che hanno con la loro vita garantito ancora oggi la democrazia, ma se ci limitiamo a ricordarli solamente nei giorni in cui è successo il fatto non serve a nulla. Dobbiamo andare nelle scuole a raccontare chi erano queste persone.”
l’appuntato Domenico Ricci e il Maresciallo Oreste Leonardi (sinistra in basso) , gli uomini della scorta del presidente della DC Aldo Moro
Giovanni Ricci: “E’ giunto il momento di scrivere, senza se e senza ma, la storia di quegli anni”
Per evitare che le nuove generazioni possano subire la fascinazione di chi volutamente trasmette una visione distorta di quegli anni secondo Ricci occorre un impegno collettivo per tramandare la memoria di quegli anni per quello che sono stati, per permettere ai giovani di confrontarsi con la storia in maniera consapevole ed evitare che eventi tragici vengano ridotti a caricature o banali fatti di costume, come accaduto nei giorni scorsi a Bologna con i tragici fatti di via Fani e via Caetani.
“Noi ci battiamo perchè si faccia memoria di quegli anni e perchè sia una memoria costruttiva per i ragazzi. E’ giunto il momento di scrivere, senza se e senza ma, la storia di quegli anni. Purtroppo, però, noi siamo un paese dove ancora oggi si litiga per parole come fascismo e antifascismo, secondo lei potremmo mai scrivere qualche cosa e raccontare ai giovani che cosa sono stati gli anni Sessanta? Io penso non ci riusciremo mai.”
Conclude con una punta di amarezza il Presidente Ricci.
In sintesi
Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci, uno degli uomini della scorta di Aldo Moro uccisi dalle Brigate Rosse nel 1978, ha commentato l’indignazione suscitata dalla vicenda delle tre ragazze di Bologna che, per Halloween, si sono travestite da brigatiste.
Ricci denuncia la banalizzazione della storia degli Anni di Piombo e la mitizzazione delle Brigate Rosse da parte delle nuove generazioni, alimentata da una scarsa conoscenza dei fatti.
Sottolinea l’importanza di insegnare questi eventi nelle scuole per evitare che vengano idealizzati come atti di “rivoluzione”.
La memoria storica, secondo Ricci, deve essere trasmessa con rigore, affinché le tragedie del passato non vengano dimenticate o distorte.