Dal mito di Milone di Crotone a Emanuele Blandamura. Due campioni nello sport, anche se in epoche diverse, totalmente differenti, ma uniti nell’essere mito per come glorificavano e celebravano quello che facevano nel modo più giusto, naturale e sano possibile. Il doping, il modo artificiale e sleale per competere e arrivare alla vittoria, è una cosa che sia Milone che Emanuele nella loro vita non hanno mai contemplato e mai pensato.

Due miti che amavano raggiungere il benessere dell’essere uomo che vinceva nello sport e non solo. E’, bene o male, il concetto e il racconto che è venuto fuori nei due eventi che portano il nome dell’Università Niccolò Cusano nei due forum che sono stati organizzati e coordinati dal Professore Andrea Velardi, coordinatore del Dottorato in Benessere e Complessità psico-fisica dell’Unicusano.

Il primo riguardava i “processi cognitivi, potenziamento psico-fisico e sport: il ruolo dell’immaginazione” e il secondo, che si è tenuto presso la Fondazione Opera Lucifero, sempre nell’ambito del progetto Sport Informa, in partnership con l’Ente di promozione sportiva Opes aps e l’Università Niccolò Cusano, dal titolo: Come raggiungere benessere e performance fisica in modo naturale: Da MIlone di Crotone ad Emanuele Blandamura 2700 anni di sapienza sportiva, con immagini e interviste a cura di Thomas Cardinali e Lorenzo Brancati per Tag24.

Il pugile Blandamura: “Il campione deve dare un segnale forte ed essere un riferimento ma resta sempre un uomo”

E’ stato un evento particolare, dove si è parlato di sport in un modo come se ne parla poco o come se ne dovrebbe parlare, ovvero la possibilità di migliorare il proprio corpo in modo sano e leale, in maniera da poter migliorare e anche completare una crescita anche e soprattutto nell’aspetto non solo fisico ma soprattutto culturale.

E’ la metamorfosi più ampia, quella del mito ma quando il mito è vicino alla vita quotidiana, perché anche nello sport la componente mitica ha a che fare con la componente della vita. La metafora dello sport come metafora dell’esistenza dell’essere umano in generale“, le parole del professore Andrea Velardi che apriva il secondo evento, dove si è letto qualche passaggio del libro di Andrea Caterini, “Sparring Partner“, e dove ha anche partecipato l’ex pugile e campione Emanuele Blandamura che, oltre alla sua esperienza di campione nello sport, il pugilato è la sua disciplina, ha parlato del suo libro scritto col professor Antonino Mancuso (coordinatore scientifico di Opes aps) “Dentro e fuori il ring. Non conto le vittorie ma le sconfitte che ho vinto”.

Il pugile e campione Emanuele Blandamura

E lo stesso Blandamura parla della sua esperienza e di cosa significa essere un campione e cosa rappresenta per la comunità e la società essere un una leggenda un mito: “Il campione in tutti gli sport debba dare un segnale forte, specialmente nel pugilato dove la disciplina è forte. Il campione è colui che fa qualcosa di diverso e si impegna a far sì che quel diverso, alla fine, diventi una stemma, un riconoscimento, avere le qualità che il campione ha e che gli altri emulano e che aspirano ad arrivare, entra così nelle case e nell’immaginario comune, ma il campione è solo e resta un uomo, ma grazie all’incoraggiamento, per il quale vive, è fondamentale, per la società in cui tutti noi apparteniamo, alla fine fa sì che l’essere umano migliori

E qui il professor Andrea Velardi mentre chiacchiera con Caterini, spiega come il “potenziamento naturale”, per tornare e collegarsi anche al discorso relativo al doping, il fatto che uno come Milone da Crotone fosse “circondato da sapienti dell’epoca perché cercava con il potenziamento naturale con l’idea di atleta sano che “raggiunge grandi performance senza ricorrere a metodi sleali, senza essere in qualche modo artificiale” e qui, lo stesso Velardi, fa una sorta di collegamento moderno con Phelps che oltre ad avere il record delle olimpiadi, lo stesso atleta “usi la tecnica di visualizzazione e di ripetizione, ossia dell’azione che viene ripetuta per raggiungere la massima performance in vasca”. Ed è il solo doping, se tale vogliamo definirlo, che usano i grandi campioni. Di ieri, come Milone, e di oggi come Emanuele Blandamura.

Il professore Andrea Velardi