La provocazione buttata lì alla fine del suo intervento chiude una serie di dichiarazioni che non lasciano spazio alle interpretazioni: Alessandro Giuli non va bene come ministro della Cultura, non ha un piano per esaltare la cultura italiana e aiutare i suoi lavoratori, perché non cercare un altro ministro su Linkedin?
Il leader di Azione Carlo Calenda si pone dalla parte delle opposizioni che hanno visto l’ennesimo cambiamento al Ministero della Cultura, dopo le dimissioni di Francesco Spano come capogabinetto. Il lavoro di Giuli si è trovato quindi bloccato da un importante scossone, ma a Calenda poco importa.
Nelle sue parole c’è tutto il fastidio per un ministro che di cui non si capiscono le linee programmatiche: “Ci sono 850mila lavoratori della cultura italiana che si sentono in grave imbarazzo, quello che non vedono è un piano per la cultura. Fratelli d’Italia tiri fuori un ministro che dice cose normali e che sappia fare il suo lavoro, si può fare?”.
Calenda va giù duro contro il ministro Giuli: “Le dimissioni di Spano sono imbarazzanti, serve un ministro normale”
Dalla vicenda Spano alla capacità politica di Giuli al ministero della Cultura: oggi 23 ottobre 2024 continua ad essere la giornata delle dichiarazioni e le opposizioni ancora una volta puntano il dito contro le poche idee (e confuse) che dal governo arrivano poi ai vari ministeri.
Anche il MiC, come accennato, rientra in questa situazione e le dimissioni del capogabinetto scelto proprio da Giuli, Francesco Spano, sono arrivate non molto tempo dopo quelle di Gennaro Sangiuliano. Un ministro ed un capogabinetto cambiati nel giro di un mese sono difficilmente spiegabili se non con mancanza di cultura e progettualità politica: è l’opinione di Carlo Calenda, intercettato sempre oggi fuori Montecitorio.
Il leader di Azione ed ex ministro non ha avuto parole tenere contro lo stesso Giuli, che da possibile “vittima” di una specie di diktat arrivato da Fratelli d’Italia è diventato non adatto al ministero della Cultura perché non ha un piano adeguato e concreto per un settore tanto importante per l’Italia.
Da qui si passa poi ad una discrasia che a volte si fa fatica a comprendere, specie se si è uno degli elettori che ha portato al governo Lega, Forza Italia ma soprattutto Fratelli d’Italia: perché parlare tanto di identità e tradizione quando i progetti proposti (ad esempio il liceo del “Made in Italy”) stentano a decollare, anche per mancanza di fondi?
Calenda ritiene che queste polemiche non portino gran bene all’immagine della cultura italiana e della sua classe politica:
Vorrei sentire qualcuno che dice cosa vuole fare per questo settore: si può avere? Io non comprendo, non c’è nulla di concreto, è sempre una roba che finisce a gossip e a regolamento di conti, ma parliamo di cultura italiana! Così si preserva l’identità e la cultura italiana, con queste sceneggiate?
Anche se in maniera un po’ malcelata, Calenda ci tiene a precisare di non voler commentare il gossip politico che ha coinvolto Giuli, Meloni, Fratelli d’Italia e poi il MiC. Cosa manca, quindi? Politica, la risposta di Calenda: difficile da trovare di questi tempi, si potrebbe aggiungere, ma l’ex ministro sottolinea quanto l’idea stessa di “partito familiare” (che in molti additano a FdI) abbia contagiato anche le istituzioni:
C’è il problema che non gliene frega niente della cultura, perché se te ne fregasse qualcosa sceglieresti una persona che ha esperienza nella gestione dei beni culturali, che conosce il settore, che prende un capo di gabinetto che non salta perché un pezzo del tuo partito non lo vuole. Se fossi stato Giorgia Meloni, avrei detto che non possiamo rischiare un’altra figuraccia su questo settore così importante…! Lì prevale una logica tribale e manca un programma per la cultura: tirate fuori un ministro che dice cose normali e che sappia fare il suo lavoro, si può fare? Non so, andate su Linkedin…
“Migliaia di lavoratori precari, cos’ha intenzione di fare il governo?”
Le dichiarazioni di Calenda sono nel solco di quanto lo stesso ex ministro aveva affermato durante la sua partecipazione a ‘L’aria che tira‘ su La7, aprendo la sua giornata di critiche a Giuli ricordando la presentazione di questi delle linee programmatiche del ministero della Cultura.
Diversi esponenti del M5S avevano definito quelle parole alla stregua di una “supercazzola“, criticandone l’eccessiva cripticità e oscurità. Lo stesso dicasi per la partecipazione italiana alla Buchmesse, incontro importante per saggiare lo stato dell’editoria europea: anche lì le parole di Giuli erano state giudicate poco chiare.
Per Calenda c’è proprio un problema di metodo, poco chiaro e per l’appunto astruso:
Giuli è inadeguato perché pensa di andare a fare le esposizioni di linee programmatiche dicendo delle cose incomprensibili, andando alla Buchmesse a fare figuracce. Se si fa le canne lo capisco. Se non si fa le canne ha un grandissimo problema.
E se il ministro non riesce a spiegarsi parlando di cosa farà il ministero della Cultura, come possono saperlo le migliaia di lavoratrici e lavoratori che spesso scontano contratti scaduti, inadeguati ai carichi di lavoro o che mancano delle necessarie tutele?
Anche se Calenda parla del turismo in un’ottica industriale e di produzione in serie, giudicandolo come un qualcosa da cui estrarre profitto e valore, entra poi nel merito della questione quando ricorda per l’appunto tutti quei lavoratori che hanno bisogno di tutele e di risposte.
Poco fuori Montecitorio il leader di Azione ha aggiunto:
Ci sono 850mila lavoratori della cultura italiana che si sentono in grave imbarazzo: hanno prima visto le scene con Sangiuliano, poi vedono queste e non si capisce cosa sono. Quello che non vedono è un piano per la cultura: noi non siamo l’Ohio o il Michigan, siamo la culla della cultura del mondo, possiamo avere un ministro che invece di fare trombonate o di discorsi in cui non si capisce niente ci vuole raccontare cosa vuole fare per la cultura?
Le voci di dimissioni di Giuli e cosa succede ora al ministero della Cultura
Il fatto che Giuli si sia trovato coinvolto in questa discussione politica la dice lunga sul clima poco sereno che si respira all’interno di Fratelli d’Italia. Scelto proprio su indicazione di questo partito, l’ex direttore del MAXXI si è visto contestare la prima nomina di peso a cui ha avuto accesso, criticato per aver dato un ruolo importante ad un esponente non di destra.
Poco importa che Giuli già avesse lavorato con Spano e che quindi ci fosse un certo rapporto professionale fra le parti. Il ministro ha chiuso la sua giornata ieri 23 ottobre recandosi a Palazzo Chigi per discutere col sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano.
Da qui sono circolate per alcune ore voci di dimissioni, poi respinte non soltanto dallo stesso Giuli ma anche da diversi esponenti di FdI, compatti poi nel dire che gli attacchi e le critiche al titolare del ministero della Cultura sono pretestuose e inutili.
Resta comunque agli atti che la logica di partito propria dei meloniani si è messa per la prima volta di traverso nella gestione del MiC, considerata anche la “scottatura” ricevuta da un altro esterno al partito, Gennaro Sangiuliano, travolto dagli eventi dell’affaire con Maria Rosaria Boccia.