Giampaolo Manca ha 70 anni. 37 li ha trascorsi in cella, dodici in regime di 41 bis. Soprannominato “il Doge” per un furto commesso in giovane età nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, dove sono appunto sepolti i dogi, è stato per anni tra gli esponenti di spicco della Mala del Brenta.

Oggi si dice “un uomo nuovo”. Lunedì prossimo, 28 ottobre 2024, sarà alla Camera Penale di Piazzale Clodio, a Roma, per parlare di sé, della sua vita e della situazione delle carceri italiane. Ecco cosa ha raccontato in una lunga intervista a Tag24.

Giampaolo Manca, dalla Mala del Brenta ad oggi: la storia ripercorsa in un’intervista

Manca, nei tribunali c’è sempre andato per i processi. Ora invece è stato invitato e per una buona causa. Se lo sarebbe mai aspettato?

“No, mai. Ho trascorso in cella quasi 37 anni della mia vita. Il mio ruolo, sa, era quello di aiutare i detenuti giovani: davo loro consigli. Ero una sorta di loro ‘legale privato’. Nasce tutto così. Non sono nessuno, ma ho una storia alle spalle e conosco bene il carcere: voglio essere la voce di chi non ha voce”.

Cosa ha capito durante la sua lunga detenzione?

“Sono entrato in carcere per la prima volta che avevo appena 15 anni. Ne ho visto l’evoluzione, se così si può chiamare. In tanti anni non è stato fatto nulla. Avranno migliorato le strutture, certo, ma il concetto rimane lo stesso: il carcere, in Italia, è vendetta.

Su tutto il territorio ci saranno 200 strutture, forse più. Tolte le cinque principali, tra cui Rebibbia, Bollate e Sollicciano – in cui tutto funziona, in cui tutto è bello -, le altre sono lasciate a se stesse, senza opportunità per i detenuti.

La questione è questa: più si investe su di loro, soprattutto sui giovani, più si può sperare che una volta usciti non commettano più reati. Che diventino un bene per la comunità. C’è una forte carenza di operatori, assistenti sociali, educatori: sono troppo pochi. Ben venga il lavoro dei volontari, sono degli angeli, ma non si può delegare tutto a loro. C’è bisogno di nuovi leggi”.

Parla di un cambiamento radicale…

“Che parta dalle basi. In carcere ci sono esseri umani. Persone che certamente hanno sbagliato – sono io il primo – ma comunque esseri umani. E anche il peggiore, dentro di sé, ha una luce, una fiammella che deve alimentare.

Vede, nessuno nasce criminale. Ma all’opinione pubblica non interessa, non interessano i detenuti. E gli agenti della polizia penitenziaria si sentono legittimati ad essere violenti, vedono i detenuti come ‘nemici’.

Quello che è successo a Santa Maria Capua Vetere (il violento pestaggio dei detenuti, ndr) succede da sempre, nelle galere. Solo che ora hanno deciso di scoperchiare il vaso. Dall’inizio dell’anno si sono suicidati più di 70 detenuti. È possibile che nessuno si chieda il perché?”.

Com’è cambiato l’ex “Doge”

Lei ha alle spalle precedenti importanti. Nei guai è finito fin da giovanissimo, per rapina e poi anche per traffico di droga, sequestro e omicidio. Oggi ha 70 anni, si definisce “un uomo libero, ma con grandi rimorsi”. È per questo che ha deciso di aiutare gli altri, perché non può tornare indietro e cambiare il suo passato?

“I miei rimorsi mi tormentano. Però nella mia famiglia, qualche anno fa, è successo qualcosa che mi ha fatto diventare credente. Prima andavo a rubare nelle chiese, si figuri. Un giorno vengono a colloquio in carcere e mi dicono che mio fratello gemello, Fabio, ha un cancro. La disperazione che ho provato è stata talmente forte che mi sono detto: ‘L’unico che può rimediare è lui, nostro padre, Dio’. Ho iniziato a pregare. E ho giurato a me stesso che non avrei più fatto del male.

Da un po’ collaboro con un’associazione che si chiama Alphabeta, che si prende cura dei bambini con disturbi dello spettro autistico. Ho scritto quattro libri (l’ultimo, del 2024, si intitola Sequestro a Manhattan, ndr), devolvendo il ricavato delle vendite a loro. Purtroppo lo Stato non fa abbastanza. Le famiglie più povere non possono permettersi le terapie, non possono aiutarli. Voglio farlo io, per quel che posso.

Sono cambiato, ma ci è voluto che mio fratello si ammalasse. Non è stato il carcere. Il carcere mi ha imbruttito. Oggi sono un uomo nuovo, con tutte le mie colpe, ovviamente. E non chiedo perdono: il perdono non si chiede, si ottiene”.

La vita dopo la redenzione

Oggi in tanti la conoscono solo come Giampaolo Manca. Prima era soprannominato “il Doge”. Per anni è stato un esponente di spicco della Mala del Brenta. Mi ha parlato di cosa le ha permesso di cambiare. Riesce a spiegarsi, invece, perché si è avvicinato a quel mondo? Come è iniziato tutto?

“Con delle ferite mai rimarginate. Tanti bambini vengono picchiati e maltrattati e poi non delinquono, per me e mio fratello è stato diverso. Abbiamo avuto un padre tremendo. All’inizio volevamo solo ribellarci: lui era un finanziere, un uomo dello Stato, volevamo che sapesse cosa facevamo, perlopiù piccoli furti. La violenza però chiama sempre violenza. Sono entrato in certi ambienti, strada facendo, e mi sono perso”.

Qual è il più grande rimpianto della sua vita?

“Rimpiango di aver lasciato mio figlio da solo, di non aver fatto il papà. Oggi ha 50 anni, quando sono uscito dal carcere ne aveva 44: è cresciuto senza di me. Abbiamo un rapporto meraviglioso, comunque, e mi ha regalato un nipotino. Quando vedo lui vedo mio figlio da piccolo e in un certo senso mi sembra di recuperare il tempo perso, anche se in realtà non lo recupererò mai”.