Lo scorso 16 maggio l’acclamato regista Francis Ford Coppola ha presentato, alla 77ª edizione del Festival di Cannes, il suo ultimo film “Megalopolis”. Sceneggiatura nata da un’idea dello stesso Coppola ben 46 anni fa, durante le riprese di “Apocalypse Now”, possiamo assistere allo spettacolo di una società spregiudicata, dove cane mangia cane, all’interno di una nuova Roma che sorge in una New York futurista. Peccato che il film sia un flop totale.
“Megalopolis”, recensione
In una città futurista chiamata New Rome, che unisce gli usi della moderna New York alla struttura sociale dell’antica Roma, vive un giovane e geniale architetto di nome Cesar Catilina (Adam Driver), che ha vinto il premio Nobel per aver scoperto la formula per creare il Megalon, un materiale da costruzione che resiste al passare del tempo. Quest’ultimo non soltanto può essere impiegato per costruzioni edili, ma è in grado di riparare anche i tessuti lacerati del corpo umano. Cesar, per quanto visionario e intelligente, è fortemente odiato da Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito), ex procuratore distrettuale ora sindaco della metropoli. Cicero, essendo altamente conservatore, si oppone a questa ondata di progresso e di innovazione edile promossa da Catilina, ma tra di loro esistono ab illo tempore vecchi dissapori: quando la moglie dell’architetto scomparve, qualche anno prima, fu accusato di omicidio da parte della procura capitanata proprio da Cicero. Totalmente assolto, adesso è un uomo libero; talmente libero da innamorarsi perdutamente di Julia Cicero (Nathalie Emmanuel), unica figlia del sindaco. Come due moderni Romeo e Giulietta, si uniranno sfidando la famiglia di lei. Il loro amore sarà per Cesar linfa vitale al punto da fargli ritrovare la gioia di vivere, dopo averla smarrita perseguitato dal senso di colpa per la scomparsa della prima moglie. Concepiranno finanche una figlia. Riusciranno quindi a convincere il contrariato padre di Julia a concedere la sua benedizione non soltanto per questa unione, ma anche per ricostruire New Rome in una chiave rinnovata e avveniristica?
“Megalopolis”, critica
È il 1978 quando Francis Ford Coppola, durante le riprese di “Apocalypse Now”, iniziò a scrivere la sceneggiatura di quello che 46 anni dopo sarebbe diventato un vero e proprio film intitolato “Megalopolis”. Nei successivi quattro decenni il progetto di quest’ultimo lungometraggio di Coppola fu interrotto e ripreso a più battute, lasciando il posto a ben altri suoi titoli, come “Cotton Club”, “Il Padrino – Parte III” e “Dracula di Bram Stoker”, che si sono susseguiti sugli schermi cinematografici alla portata del grande pubblico. Ma ciò nonostante, se pur gli anni passassero impietosi, quel sogno visionario di una fantascientifica nuova Roma non ha mai abbandonato l’immaginario del regista, che ha proseguito col fantasticarci su, ricamandoci col pensiero.
Quell’idea ha continuato a stuzzicarlo incessantemente nel tempo, un po’ come quando insisti nel battere la lingua su un dente che duole, fino al 2019 quando ha ripreso definitivamente in mano il progetto per poterne fare un film a tutti gli effetti. Detto fatto: neppure il rifiuto a produrlo di tutte le principali case di produzione è riuscito più a fermarlo. Coppola, determinato a finire il progetto, ha addirittura deciso di vendere una parte della sua azienda vinicola in California per potersi autofinanziare, ricavandone la bellezza di 120 milioni di budget. Purtroppo, aggiungerei, perché “Megalopolis” più che un capolavoro è un’autentica catastrofe. Avete presente quando si vuole a tutti i costi investire una grossa somma di danaro in qualcosa che solo a noi risulta come una grande occasione e tutti, parenti e amici, lo sconsigliano, ma lo si fa ugualmente ritrovandosi (non tanto) inaspettatamente in braghe di tela? Ecco, è esattamente questo il caso. Neppure presentarlo in anteprima, il 16 maggio scorso, alla 77ª edizione del Festival di Cannes ha aiutato a risollevare le sorti di una morte preannunciata: alla fine della proiezione non pochi si sono lasciati andare in fischi di disprezzo. Sarà praticamente impossibile rifarsi dei 140 milioni di dollari totali spesi, visto che attualmente a livello globale dall’affluenza nelle sale ne sono stati ricavati appena 10 milioni. La critica lo ha ampiamente stroncato, a parte qualche rarissimo entusiasta, con una media di voti che si aggira intorno al 4,8 su 10. Non da meno il pubblico, che lo ha bocciato in gran maggioranza.
Personalmente l’ho trovato privo di senso logico e non perché appartenga a un genere di fantascienza, ma perché per ben 138 minuti la trama invano ronza alla rinfusa intorno alla ricerca di una poetica saggezza senza mai trovarla, come un cane che ruota su se stesso cercando disperatamente di afferrare la sua stessa coda. E esattamente come un segugio che tenta di mordersi da solo, Coppola si fa un autogol clamoroso, negli anni dell’anzianità più tardiva, pensando presuntuosamente di aver confezionato un capolavoro visionario, che potesse risvegliare anche le coscienze più assopite, finendo invece con lo scivolare in un grottesco mappazzone inguardabile. L’audacia di voler accostare una propria sceneggiatura a una monografia come “La Congiura di Catilina” di Gaio Sallustio Crispo, è già di per sé dimostrazione di una sfrenata, pazza, megalomania delirante. Del resto, come si dice, con il lodarsi da soli si rischia sempre di sbrodolarsi, finendo con l’imbrattare le proprie vesti. Due stelle su cinque.