È ormai giunto alle battute finali il processo che vede imputato Alessandro Impagnatiello per l’omicidio pluriaggravato della compagna Giulia Tramontano, uccisa con 37 coltellate, mentre era incinta di sette mesi, a Senago, nel Milanese, a maggio 2023.

Nell’udienza tenutasi oggi, 21 ottobre 2024, hanno preso la parola in aula i periti che, su richiesta della Corte, hanno sottoposto l’ex barman di 30 anni, recluso nel carcere di San Vittore, a una perizia psichiatrica. Ecco cosa hanno rivelato.

I periti su Alessandro Impagnatiello, che uccise la compagna Giulia Tramontano a Senago

Secondo lo psichiatra forense Pietro Ciliberti e il medico-legale Gabriele Rocca, Alessandro Impagnatiello era “pienamente capace di intendere e di volere” quando, il 27 maggio del 2023, colpì alle spalle la compagna incinta, appena rincasata da un incontro “chiarificatore” con l’altra ragazza che lui frequentava, una sua collega di lavoro.

Stanca delle sue bugie, la 29enne, secondo le ricostruzioni, avrebbe voluto lasciarlo, costruendosi una nuova vita a Sant’Antimo, suo paese d’origine: decisione difficile da accettare per il 30enne. “Ho visto la mia sconfitta”, ha detto ai periti. Secondo loro, una volta resosi conto di aver perso “il controllo”, avrebbe scelto di uccidere con “una rabbia fredda“, lucidamente.

Senza poi mostrare “sensi di colpa” o “rimorso”.

Nel linguaggio – spiegano in aula –  esprime la difficoltà a pensare alla colpa e al rimorso per quello che ha fatto, non prova pietà e questo ci ha fatto rinforzare l’idea di una scarsa risonanza emotiva.

A riportarlo è Il Giorno, secondo cui i periti si sarebbero soffermati anche sui tratti “narcisistici e psicopatici” facenti parte della personalità di Impagnatiello. Tratti “per lui invalidanti”. Lo dimostra il fatto che, prima dell’omicidio, fosse ben “inserito in un contesto” relazionale e lavorativo, senza essere “mal visto”.

Conclusioni che cozzano con quelle del consulente nominato dalla difesa – che aveva riscontrato in lui un “complesso disturbo personologico” – e combaciano con quelle dell’accusa e delle parti civili.

Le parole della mamma della vittima, Loredana Femia

Prima di fare il suo ingresso in Tribunale, questa mattina la mamma della vittima, Loredana Femia, ha scritto sui social:

Si ricomincia Giulia, si parlerà di te, di voi, di chi voleva gettarti come una caramella, ma tu per noi sei stata e sarai sempre la nostra immensamente Giulia. Il mondo già non è stato un posto giusto e all’altezza di queste due vite. In tutto questo orrore ora però è tempo che sia fatta giustizia e la giustizia in questo caso è una: pensa esemplare.

A corredo del messaggio, diverse foto della giovane uccisa e due canzoni: “Dedicato a te” e “La rondine”.

Cosa è emerso finora nel processo: dai tentativi di avvelenamento all’omicidio

Al termine del processo manca ormai poco: la prossima udienza è stata fissata per l’11 novembre. Sarà dedicata alla requisitoria della pm Alessia Menegazzo e della sostituta procuratrice Letizia Mannella; seguirà l’arringa difensiva delle avvocate Samanta Barbaglia e Giulia Geradini.

I giudici potrebbero riunirsi in camera di consiglio già quel giorno; se non ci fosse abbastanza tempo, la lettura della sentenza slitterebbe al 25 novembre, data in cui si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne.

Alla luce delle ultime considerazioni, difficilmente il 30enne riuscirà ad evitare una condanna all’ergastolo. Oltre all’accusa di omicidio deve rispondere a quelle di interruzione non consensuale di gravidanza e occultamento di cadavere.

Secondo quanto ricostruito nel corso delle precedenti udienze, avvelenò per mesi la compagna con l’intento di procurarle un aborto. Quando il suo castello di bugie crollò, e per sua stessa ammissione si rese conto di essere “finito”, passò direttamente all’omicidio.

Era sera. La mattina successiva, dopo aver trascorso ore a pulire e a cercare di disfarsi del corpo della ragazza, finse che quest’ultima si fosse allontanata da sola mentre lui era al lavoro. Per tutto il tempo delle ricerche continuò ad inviarle messaggi fingendosi preoccupato; parlò con familiari e con gli inquirenti, confessando solo davanti all’evidenza. “Ero stressato”, disse.