Dare fiato alla bocca non serve a nulla. Tanto meno produrre film che sono sempre gli stessi e che, nonostante i budget da miliardi di dollari e cast stellari, risultano in flop clamorosi. La crisi di Hollywood si fa sentire e a qualcuno sarà già venuto in mente più di un titolo uscito in questo 2024, ma sicuramente l’ultimo in ordine cronologico è Joker: Folie à Deaux, con Joaquin Phoenix e Lady Gaga.
Eppure questo non è stato l’unico film osannato e spammato ovunque come “IL Film dell’anno”, come se fosse l’unico e solo capolavoro uscito dagli Studios di Hollywood. Nomi, importanti e meno conosciuti, si sono inseguiti in una spasmodica produzione della pellicola perfetta, quella con cui fare boom al botteghino.
Ma pare proprio che la crisi di una delle industrie cinematografiche più potenti al mondo (seconda, forse, solo all’indiana Bollywood) sia molto più profonda di quanto non sembri a primo impatto. Che possa c’entrare qualcosa il fatto che negli ultimi anni stiamo assistendo a (troppi) prequel, sequel e remake (spesso) senza arte né parte? Vero pure che tali prodotti Hollywood li ha sempre fatti, quindi, le radici di questa decadenza delle idee sono da cercare altrove?
È questo abbiamo cercato di capire analizzando, nei limiti dell’umano e del possibile, l’ultima fatica di Todd Phillips, innalzata a simbolo del declino hollywoodiano.
Hollywood in crisi, “Joker: Folie à Deux” è la solita minestra riscaldata di idee
Qualcuno ricorda la trama di Argylle, l’acclamatissimo film con l’ancora più bello Henry Cavill, relegato a super spia dopo The Witcher? Ecco, la risposta viene da sé. Mano nella mano con la pellicola del regista Matthew Vaughn (che per chi non lo conoscesse è “quello” di Kingsmen, Kick-Ass, Stardust), troviamo l’altro grande titolo, flop di intenti e di botteghino, Joker: Folie à Deux. Un sequel che sarebbe dovuto essere – nel migliore degli scenari – l’incoronazione dell’uomo, non del personaggio criminale.
Doveva essere Arthur Fleck il protagonista indiscusso del film e ancora di più doveva esserlo la sua essenza, composta di turbamenti, contorcimenti, emozioni crude e vive in lotta contro il delirio psicotico della malattia mentale e la crudeltà del mondo. Joker doveva essere solo la summa e chiara manifestazione di ciò. L’alter ego in cui inevitabilmente Fleck si trasforma, più per sfogo, che per volontà.
E in effetti, con tutto il caos di cose accadute in quei 139 minuti, di vaneggiamenti ce ne sono stati eccome. Allora perché le idee buttate nel calderone hanno avuto il sapore di un’amara minestra riscaldata?
Semplicemente perché niente di quanto visto sul grande schermo era originale o – banalmente – fatto con criterio. In teoria, Phillips avrebbe dovuto sedersi a un tavolo con il suo co-sceneggiatore, Scott Silver (lo stesso del primo Joker del 2019) e riflette su come mostrare la coscienza di Fleck, con la dovuta profondità o leggerezza, secondo lo stile scelto.
In pratica, invece, è uscito fuori un mezzo musical, con elementi di per sé con potenziale, ma poco sfruttati e messi alla rinfusa. Nel comune sentire dell’audience è proprio questo che ha dato più fastidio: l’occasione mancata di dare il giusto pathos al protagonista, in primis, e all’intero film, poi.
Cosa sta succedendo all’azienda di Cupertino?
Ovviamente questa non è la sede per una recensione esaustiva e approfondita sulla pellicola di Phillips, né è nostro interesse farne una. Il nodo centrale è capire perché i più recenti prodotti cinematografici firmati Hollywood sembrino così spenti. È colpa dei sequel, remake e prequel? Gli sceneggiatori hanno “solo” esaurito la loro vena fantasiosa? Sono morte tutte le Muse? Domande poste con ironia, ma che meritano una risposta su cosa stia realmente accadendo all’azienda di Cupertino.
Alla prima domanda qualcuno potrà obiettare che tali prodotti esistono dall’alba dei tempi. Basti pensare ai cinque Ghostbusters susseguitisi dal 1984, con il primo Acchiappafantasmi, al 2024 con il sequel Minaccia glaciale. Appunto inoppugnabile, che, però, nasconde già uno dei tasselli della crisi hollywoodiana: i soldi. Meglio dire, la volontà di guadagnare spremendo fino all’osso la fantomatica gallina dalle uova d’oro.
Trascuratezza riflessa anche dalle sceneggiature con sempre meno anima e dialoghi brillanti e riempiti di cliché e abbozzi di riflessioni. Comprensibile la frustrazione degli scrittori, disinteressati a sforzarsi per creare qualcosa di originale, viste le condizioni contrattuali sfavorevoli e poco appetibili e la scarsità delle tutele del loro lavoro intellettuale. Per non parlare della minaccia di vedersi moltiplicare il carico di lavoro per fronteggiare le piattaforme o vedersi rimpiazzati dall’IA.
Da ciò si arriva, forse, alla terza domanda: gli sceneggiatori hanno ancora creatività? La risposta non sicuramente immediata, né univoca. Si potrebbe dire che le idee ci sono, alcune buone. Basti vedere il successo di Inside Out, che è riuscito a emozionare anche i più grandi. Tuttavia, l’inventiva non è un fiume inesauribile, capace di sopportare qualsiasi cosa e, a volte, è costretta a piegarsi alla volontà di chi sta al potere e prende le decisioni.
Joker: Folie à Deux è esempio negativo di questo: pur di approfittare del successo del personaggio (reso leggendario da Heath Ledger) e dell’appeal della coppia Lady Gaga-Joaquin Phoenix si è dato vita a un seguito di cui si poteva fare a meno. Phillips non si è voluto arrendere davanti alla DC, rimanendo sordo e cieco a qualsiasi imposizione, consiglio o suggerimento di Safran e Gunn. Ne è uscito un Joker 2 pieno di temi interessanti (la pazzia agli occhi della società, un disturbo mentale che influenza due soggetti e l’amore tossico), ma trattati con la superficialità tipica della noncuranza e scelte contrarie al gusto del pubblico.