Ieri, 15 ottobre, si è svolta una nuova seduta della commissione parlamentare Covid. I rappresentanti dei partiti (tranne Pd e Avs che continuano il loro Aventino), dopo quelle delle vittime, hanno audito quattro associazioni mediche. Si tratta della Simg, la Società italiana dei medici di medicina generale e delle cure primarie; della Sip/Irs, la Società italiana di pneumologia; ContiamoCi e della Cimo, il sindacato dei medici guidato dal presidente Guido Quici.
Proprio quest’ultimo ha avuto la possibilità di essere ascoltato dai parlamentari della commissione istituita il 13 febbraio scorso allo scopo di verificare che si sia fatto tutto il possibile per limitare i danni della pandemia che iniziò a colpire l’Italia, primo Paese occidentale, a febbraio del 2020.
Commissione parlamentare Covid, l’audizione dei medici Cimo: “Senza un coordinamento tra Regioni e Stato centrale siamo stati mandati allo sbaraglio”
E quindi: il presidente di Cimo è stato audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’emergenza Covid. E la prima cosa che ha voluto sottolineare è stata l’impreparazione delle Regioni (quindi delle istituzioni) che si è riversata immediatamente sugli ospedali quando, da un giorno all’altro, sono state chiamate a gestire la pandemia. In pratica, a suo modo di vedere, non si è alzata alcuna difesa istituzionale davanti allo tsunami del virus in arrivo. E a pagare più degli altri sono stati, in primis, proprio i medici. Secondo le statistiche, sono stati 380 in tutt’Italia a morire mentre facevano il proprio lavoro senza risparmiarsi (le vittime italiane totali sono state, invece, 75.891).
Il caos normativo: chi doveva intervenire? Lo Stato o le Regioni?
Per settimane, a emergenza già scoppiata, in Italia si discusse in punta di diritto su chi, lo Stato centrale o le Regioni, dovesse intervenire in prima battuta per fronteggiare il virus. Ci furono polemiche asprissime che si svilupparono soprattutto attorno all’articolo 117 della Costituzione: è quello che designa le materie per le quali lo Stato ha “legislazione esclusiva”. Tra queste, alla lettera Q si leggono
“Dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale”
Le redini dovevano essere prese da Palazzo Chigi allora? Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, si trovò d’accordo con quest’impostazione. Ma non tutti i costituzionalisti si trovarono sulla stessa linea. Anche perché, in effetti, la pandemia toccò tutti gli aspetti della vita quotidiana. E, norme alla mano, era difficilissimo districarsi. Anche perché il Piano emergenziale in caso di pandemia si scoprì che era vecchio di 13 anni e inapplicabile. Proprio questo è stato uno degli altri aspetti sottolineato in commissione dal presidente della Cimo
“Fin da subito è stata evidente l’assenza della capacità e della possibilità di agire in maniera coordinata ed efficace in tutto il Paese a causa della spiccata autonomia fortemente rivendicata dalle Regioni e della parallela marginalità del ruolo del Ministero della Salute”
E insomma: quella sollevata da Guido Quici è sembrata una sorta di polemica ante litteram sull’Autonomia differenziata che l’opposizione, tanto più dopo la riforma Calderoli, tanto avversa. In ogni caso, è andato al cuore del problema quando ha ricordato la diatriba sulle mascherine, un dispositivo di protezione introvabile in quei primi, terribili mesi del 2020:
“Se l’impreparazione generale è risultata tangibile nel momento in cui risultavano insufficienti, se non addirittura assenti, le forniture negli ospedali di mascherine idonee, per ovviare al problema, l’Istituto Superiore di Sanità autorizzò l’utilizzo di quelle di tipo chirurgico anche negli ospedali, esponendo al contagio proprio le risorse umane più preziose per contrastare il virus”
Vale a dire, i medici.
La denuncia del Cimo: “Sanità già in crisi prima del Covid, poi una serie di errori”
L’analisi del sindacato CIMO si è poi concentrata sullo stato in cui versava la sanità pubblica al momento dello scoppio della crisi pandemica: nel documento letto dal presidente Quici, si è evidenziato
“Un Servizio Sanitario Nazionale carente di risorse, personale e strutture adeguate, frutto di venti anni di tagli e di blocco delle assunzioni. Nel 2020 e 2021 ha dovuto affrontare un vero e proprio stress test il cui esito è stato del tutto fallimentare”
La situazione, ha ricordato Quici, è precipitata in primis negli ospedali:
“Nel momento in cui si è verificato l’iper afflusso di pazienti che necessitavano di ospedalizzazione, è di fatto scoppiato il caos: le singole aziende si sono trovate del tutto impreparate ad affrontare la situazione. E se in alcuni ospedali, in una prima fase, il problema è stato del tutto sottovalutato – adottando anche provvedimenti disciplinari per aver generato allarme sociale nei confronti dei direttori di struttura che avevano destinato una stanza apposita ai contagiati o imposto l’utilizzo delle mascherine nei reparti – in tutto il Paese è stato affrontato con una sostanziale improvvisazione e dando vita alle soluzioni più fantasiose e pericolose per sanitari e pazienti”
La lista delle manchevolezze per non dire dei veri e propri autogol, stando alla testimonianza del Cimo raccolta in commissione Covid, è lunga:
“Sono stati assegnati turni in reparti con pazienti affetti da Covid-19 a medici e specializzandi privi della necessaria specializzazione; mancava la strumentazione idonea a curare i pazienti, come i respiratori; i reparti ordinari sono stati trasformati nottetempo in reparti di terapia intensiva e subintensiva, senza rispettare i requisiti necessari; sono stati attivati reparti Covid in spazi strettamente contigui ai reparti non Covid, fino alle cosiddette “bolle Covid” interne a reparti non Covid; sono venuti meno sistemi adeguati di filtraggio dell’aria e mancavano stanze a pressione negativa dove isolare i casi”
Ecco: per tutte queste cause, stando al sindacato dei medici, si registrò
“L’espansione del virus in ambiente intraospedaliero con contagi diffusi a tutto il personale in servizio, nonché verso i pazienti ricoverati affetti da altre patologie”
I finanziamenti (non sfruttati) per incrementare il numero delle terapie intensive
Quando il Covid iniziò a colpire, quando iniziarono a vedersi le file di ambulanze in attesa di entrare nei Pronto Soccorso e i pazienti curati alla meno peggio con le terapie intensive intasate, un’altra polemica che scoppiò fu quella inerente proprio il numero di rianimazioni: rispetto agli altri Paesi europei, si scoprì che l’Italia ne aveva di meno.
Ora: a maggio 2024, l’Istituto Mario Negri ha contato 7500 posti letto di rianimazione in tutt’Italia. Con un tasso di mortalità per chi viene ricoverato in questi reparti (in tempi normali del 25,4%. Si capisce come siano strutture indispensabili per salvare vite. Tanto più con una pandemia in corso. Sta di fatto che Cimo ha denunciato alla commissione parlamentare Covid che
“I finanziamenti destinati alla gestione dell’emergenza non sono stati ancora del tutto utilizzati: è stato creato solo il 47% dei posti in più di terapia intensiva e il 46% di quelli di terapia subintensiva previsti dal governo Conte”
Il Governo, vale a dire, in carica allo scoppio dell’emergenza. Il monito finale di Quici è stato, quindi, questo:
“Affinché la prossima pandemia non ci colga così impreparati, è fondamentale investire nel Servizio Sanitario Nazionale”
Come dire: uomo avvisato…