Fu trovata morta, con un cavetto Usb stretto attorno al collo, sulla scalinata del sottopasso ferroviario di via Mazzini, a Terlizzi (Bari), la mattina del 22 dicembre 2016. Claudia De Chirico aveva 22 anni. Il giorno prima aveva preso parte, insieme al fidanzato Davide Falcetta – con cui da qualche mese conviveva – a un matrimonio ad Andria. Verso le 22 avevano iniziato a litigare, allontanandosi dal resto degli invitati. Poi le cose erano precipitate.

La telecamera di videosorveglianza di una stazione di servizio collocata sulla strada provinciale 231 mostra l’attimo in cui, quella stessa sera, la ragazza viene scaraventata sull’asfalto dall’auto del compagno in corsa. Dopo ben quattro richieste di archiviazione, lo scorso giugno la gip di Trani Marina Chiddo ha preso in mano il caso, ipotizzando lo scenario di “morte come conseguenza di maltrattamenti in famiglia“. A breve il 35enne andrà quindi a processo. Ma sono ancora tanti gli interrogativi a cui rispondere.

Claudia De Chirico trovata morta a Terlizzi, nel Barese: la ricostruzione dell’avvocato Maralfa

“Nei suoi ultimi tre mesi di vita Claudia ha subito, da parte del fidanzato convivente, tutta una serie di maltrattamenti. Nel provvedimento di giugno 2024, che consta di 62 pagine, il gip – che ha accolto l’impostazione della famiglia, respingendo la quarta richiesta di archiviazione del caso presentata dalla Procura – parla di ‘quadro di inaudita violenza‘”, spiega l’avvocato Bepi Maralfa, che assiste i genitori della 22enne.

“Emerge dai circa 800 messaggi rinvenuti sul cellulare della ragazza, che in un certo senso le hanno ridato voce – prosegue -. Messaggi che nella prima relazione conclusiva dei carabinieri, datata 2017, venivano liquidati come ‘non rilevanti ai fini delle indagini’ e che invece secondo noi sono fondamentali, perché permettono di ricostruire, appunto, il rapporto che la 22enne aveva con il compagno”. Rapporto più volte definito “tossico”. “Io non perdono i tuoi pugni e i tuoi schiaffi, mi avresti anche uccisa”, scriveva Claudia a Davide.

E, ancora: “Non perdono un uomo violento”, “È la quarta volta che lo fai e questo vuol dire che per te è normale”. Due mesi dopo sarebbe morta. A trovarla, nel sottopasso ferroviario di via Mazzini, a Terlizzi, vicino Bari, una guardia giurata. Aveva un cavetto Usb stretto attorno al collo con un doppio nodo. Secondo una super perizia voluta dalla Procura (seguita a due prime consulenze), si sarebbe suicidata.

“Secondo i familiari non è vero – sostiene Maralfa -. Ci sta bene l’esito giudiziario, certo, perché il reato ipotizzato dal gip, quello di suicidio da maltrattamenti, è grave quanto l’omicidio e viene punito fino a 24 anni di reclusione; finalmente avremo anche un processo, cosa che fino a poco tempo fa era impensabile. Però abbiamo in mano elementi per ritenere che Claudia non si sia tolta la vita, vedremo se emergeranno in aula”, afferma.

La questione delle presunte carenze nelle precedenti indagini

A destare sospetti i filmati che riprendono l’auto dell’indagato sfrecciare per almeno quattro volte, la notte dei fatti, davanti all’abitazione in cui conviveva con la ragazza quando lei si era già allontanata a piedi (secondo le ricostruzioni per andarsi a suicidare). “Dal momento in cui l’auto viene ripresa per l’ultima volta passare davanti casa a quello in cui torna passano 14 minuti. Tempo sufficiente a fare tutto”, sostiene ancora l’avvocato.

Che si sofferma poi su un’altra questione: quella delle presunte carenze nelle indagini eseguite nell’immediatezza dei fatti. “La famiglia della 22enne ha presentato un esposto, una denuncia, chiedendo di mettere a fuoco il motivo per cui determinati elementi non siano stati adeguatamente valutati o siano stati addirittura trascurati”, spiega.

“Sono convinto che, se dovessero scoprire delle responsabilità, a qualunque livello, i nuovi magistrati non farebbero sconti – aggiunge -. Non hanno alcun interesse a celare la verità: glielo posso assicurare. Conosco il procuratore di Trani, so come lavora e che è un magistrato di alto livello”. Il riferimento è, in particolare, all’operato di alcuni carabinieri coinvolti nella vicenda.

Innanzitutto quello che, dopo essere andato in pensione, ammise di aver cancellato parte del materiale investigativo raccolto (e mai consegnato ai magistrati), incluse le immagini del ritrovamento del corpo di Claudia. Un fatto gravissimo, come la mancata analisi dei famosi messaggi rinvenuti sul cellulare della ragazza.

“Si tratta di questioni delicate che sono sicuro i magistrati approfondiranno”, dice Maralfa. Si aspetta, per il momento, il procedimento a carico dell’indagato. “Prevedo che l’udienza preliminare ci sarà al massimo in primavera”, spiega ancora il legale.

“Come stanno i genitori di Claudia? Sono sempre più consapevoli che le cose non sono state fatte bene. Il dolore dilaniante per la scomparsa della figlia ha lasciato spazio alla rabbia”. Ciò che sperano è che il cerchio venga finalmente chiuso e che la 22enne ottenga la giustizia che, a distanza di 8 anni dalla sua morte, non ha ancora avuto. La sua storia ricorderà a qualcuno quella di Roberta Bertacchi.