E’ un esercizio utile rileggere i pensieri di Luigi Einaudi a 150 anni dalla nascita del primo presidente della Repubblica eletto dal parlamento. Uno di questi è espresso in un articolo del 6 agosto 1924 pubblicato sul Corriere della Sera, due mesi dopo il sequestro del deputato socialista Giacomo Matteotti e prima ancora del ritrovamento del cadavere. Einaudi, con prosa semplice e chiara, accusa “le rappresentanze degli industriali, dei commercianti e degli uomini d’affari” che “si sono finora mantenute in un silenzio così prolungato intorno agli avvenimenti politici più recenti da far dubitare forte se esso non sia il frutto di una meditata deliberazione. Contro lo stato di illegalismo, contro le minacce di seconda ondata, contro la soppressione della libertà di stampa hanno protestato i giornali, i collegi professionali degli avvocati, i partiti politici pure aderenti al governo attuale, come i liberali, ed alta si è sentita ieri la voce dei combattenti. Soltanto i capitani dell’Italia economica tacciono”. 

Un articolo del 6 agosto 1924 del futuro presidente della Repubblica

Einaudi si rammarica perché “gli industriali non approvano le minacce” ma “insistono sulla necessità preminente di un governo forte; e ritengono che la tranquillità sociale, l’assenza degli scioperi, la ripresa intensa del lavoro, il pareggio del bilancio siano beni tangibili, effettivi, di gran lunga superiori al danno della mancanza di libertà politica, la quale, dopotutto, interessa una minoranza infima degli italiani, alle cui sorti essi scarsamente si interessano”.

Stiano attenti gli industriali, ammonisce Einaudi: “Per governare un’industria oggi non basta essere valentissimi tecnici e commercianti accorti. Importa altrettanto e forse più, essere condottieri di uomini. Non si lavora per produrre tessuti o rotaie o frumento, sibbene per creare condizioni di vita sempre più alte per tutti coloro, dai capi ai gregari, che partecipano alla produzione. E tra queste condizioni di vita, insieme col pane, forse più del pane medesimo, va annoverata la dignità di uomo libero”. Parole attuali che rappresentano un invito ai capitani d’industria ad operare in questo senso.

Stefano Bisi