I registi Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, dopo “Butterfly” e “Californie”, collaborano nuovamente insieme dando vita a “Vittoria”, film che narra la vera storia di una donna che tenta l’impossibile pur di riuscire ad adottare una bimba. Film interpretato dai veri protagonisti di questa vicenda realmente accaduta, Cassigoli e Kauffman tornano ancora una volta in Campania per raccontare una terza storia che parte da Torre Annunziata.

“Vittoria”, recensione

Nel cuore di Torre Annunziata, a due passi dal mare, c’è una donna che sembra non riuscire più a prendere sonno. Si chiama Jasmine (Marilena Amato), ha quarant’anni e lavora come parrucchiera nel suo salone. Ha un carattere duro, caparbio, cocciuto. È testarda e risoluta, ma senza un briciolo di aggressività. Forte e indomabile, ha l’indole indipendente e sfrontata che ricorda quella di un gatto randagio. Porta i capelli molto corti, biondo platino, rasati a sinistra e con un ciuffo scalato a destra che le incornicia metà volto. Un’acconciatura che mostra, fiera e strafottente, tutto il suo animo anarchico. È sposata da oltre vent’anni con Rino (Gennaro Scarica), che fa il falegname, e ha tre figli: due ancora piccoli e il più grande, Vincenzo (Vincenzo Scarica), che lavora con lei come parrucchiere. Nonostante la sua testa dura, è una mamma dolcissima e una moglie appassionata. La sua vita sembra scorrere lungo il filo di una normale e tranquilla quotidianità, fra una giornata di lavoro e un giro in motorino col figlio Vincenzo per andare a mangiare un panino in riva al mare. E allora cos’è che le rende quasi impossibile dormire la notte?

Da più di un anno, quasi ogni sera, fa sempre lo stesso sogno: vede suo padre tenere in braccio una bambina, che gliela porge come se fosse sua figlia. Jasmine ha perso il papà a causa di un tumore; dopo anni di esposizione all’amianto in fabbrica si è ammalato e, alla fine di una lunga lotta, si è spento lasciandola per sempre. Quel sogno rincorrente le fa sentire la sua presenza vicina, come fosse ancora vivo, e risveglia in lei un irrefrenabile istinto materno. Ma non vuole semplicemente un altro figlio; no, lei vuole proprio una figlia, esattamente come quella che il padre le porge nell’immaginario onirico. È diventata una fissazione, un pensiero quasi costante, un istinto martellante che non la lascia in pace. Non riesce più a riposare, a mangiare, a lavorare, senza che quell’idea la tormenti facendole sentire la mancanza di qualcosa che nemmeno ha, ma che percepisce fin dentro le viscere.

Però quella bambina non vuole concepirla nel suo grembo, non ha intenzione correre il rischio di partorire un altro maschio. Vuole una femmina, a tutti i costi. Così decide di provare ad adottarla e tenta di convincere il marito Rino, che però si ritrae, opponendosi con veemenza. Ma Jasmine, col suo carattere, potrà mai accettare un no come risposta?

“Vittoria”, critica

Scritto e diretto interamente da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman che, dopo “Californie” e “Butterfly”, collaborano per la terza volta insieme dando vita a “Vittoria”, un lungometraggio che viaggia a metà tra finzione e documentario. Presentato il 30 agosto scorso nella sezione Orizzonti Extra all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, poi uscito nelle sale italiane il 3 ottobre, il film narra la vera storia di Marilena e di Rino che nel 2016 intrapresero il loro complicato cammino nel mondo delle adozioni internazionali. Con non poche difficoltà riuscirono in seguito ad adottare in Bielorussia la tanto desiderata figlia femmina, di nome Vittoria. Gli attori-non attori di questo lungometraggio sono anche i protagonisti della vicenda originaria, raccontata come fosse un reale estratto della quotidianità di chi quelle giornate le ha vissute davvero. Nonostante il cast non sia formato da professionisti del settore, devo dire che le capacità interpretative non sono risultate affatto carenti.

“Vittoria” è un tuffo nel mare della burocrazia che affligge chi si accosta al settore delle adozioni, mostrandoci non soltanto l’iter, a tratti assurdo, da seguire per poter diventare genitori di un bambino già nato, ma anche il difficile impatto emotivo che spesso scoraggia chi si addentra in un sistema tanto delicato quanto estenuante. Il finale, delicato e commovente, ti fa innamorare del coprotagonista Rino facendoti riscoprire un dolcissimo amore per la figura paterna. Mio malgrado ho riscontrato però qualche piccola lacuna di regia e sceneggiatura qui e là, che durante la narrazione fa perdere un po’ di efficacia e di intensità al film. Per questo motivo, tre stelle su cinque.