Può una serie tv scatenare un incidente diplomatico internazionale? La risposta sembra essere affermativa, in questo 21° secolo dove l’intreccio tra realtà (anche politica) e spettacolo ha assunto le dimensioni denunciate con dolore da Guy Debord nel 1967, anno di uscita del suo “La società dello spettacolo“. E così, ecco che la stagione 5 di “Emily in Paris” diventa ragione di scontro tra il presidente francese Emmanuel Macron e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Il motivo? La possibilità che i futuri episodi della serie siano ambientati a Roma e non più a Parigi.

Frivolezze, come si affrettano a dire alcuni commentatori? Non proprio, dal momento che in ballo ci sono soldi, non pochi, derivati sia dagli accordi con Netflix sia dal turismo che un prodotto audiovisivo di tale successo è in grado di generare.

Una ricchezza di cui godrà sicuramente la piattaforma streaming, che potrà sfruttare contemporaneamente due location impareggiabili al mondo.

Emily in Paris, per Macron girare la stagione 5 a Roma “non ha senso”. Gualtieri gli risponde: “Dovrebbe rilassarsi”

Del resto, la rivalità tra i due Paesi sul fronte dell’immaginario e della cultura pop non è nuova. Dalla Gioconda, ‘rubata’ dai francesi secondo dicerie molto diffuse ma errate (fu regolarmente venduta al re di Francia Francesco I), alla testata di Zinedine Zidane a Marco Materazzi nella finale dei Mondiali di calcio del 2006, non sono mai mancati gli scontri tra le due nazioni.

Ultimo ‘campo di battaglia’ è la popolarissima serie tv con protagonista Lily Collins, interprete della Emily del titolo, americana di Chicago che si trasferisce a Parigi per un’irrinunciabile opportunità di lavoro. La Ville Lumière fa da sfondo a una commedia romantica capace di conquistare il pubblico mondiale, diventando uno dei successi di punta del gigante dello streaming Netflix.

Tuttavia, nella quarta stagione da poco approdata sulla piattaforma, la protagonista si ritrova a dover abbandonare le sponde della Senna per trasferirsi a Roma. Una scelta narrativa che quasi sicuramente caratterizzerà anche la prossima stagione, recentemente confermata con un video sui social inequivocabile. In esso, si vede la protagonista sorseggiare un caffè espresso con alle spalle lo skyline della Capitale e pronunciare una frase che non lascia molti margini di interpretazione:

“There’s no place like Rome”.

Ed è qui che scoppia il ‘casus belli’, perché l’idea di perdere questo magnifico spot per la capitale francese non va affatto giù al presidente Macron, che lo dice senza mezzi termini in un’intervista a Vanity Fair:

“Ci batteremo duramente. E chiederemo che rimanga a Parigi! “Emily in Paris” a Roma non ha molto senso“.

La replica alle sue parole non si è fatta attendere e arriva proprio dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, con una battuta su X.

Problemi con i cittadini di Parigi alla base della decisione di Netflix?

Come si diceva in precedenza, non si tratta di una questione di poco conto. Il prestigio e la popolarità di un film o una serie tv rappresentano un indotto considerevole per le casse di uno Stato o di una città, come in questo caso.

Altro che con la cultura (anche pop) non si mangia, frase da anni sulla bocca degli sprovveduti che poco o nulla sanno di cosa significhi sviluppare un’industria culturale. Concetto, non a caso, da sempre assente entro i nostri confini a causa di questa mentalità, che tanti danni ha fatto alla cultura e al prestigio internazionale del nostro Paese.

Tuttavia, ciò che Macron non sa (o preferisce dimenticare o ignorare…) è che l’invasione di turisti provocata dal successo della serie non da tutti è stata salutata con il suo stesso entusiasmo. I cittadini di Parigi hanno visto la loro città brulicare di fan in cerca delle location in cui è ambientata “Emily in Paris“. I residenti di luoghi lontani dai centri del turismo convenzionale, come il quartiere latino (dove vive la protagonista) o altre aree meno avvezze a una presenza tanto massiccia di avventori, hanno protestato platealmente contro l’occupazione dei loro spazi privati.

Una situazione diventata sempre più insostenibile con il passare del tempo, che potrebbe aver giocato un certo ruolo nella decisione di Netflix di spostare l’ambientazione in altri lidi meno ‘infastiditi’ dal successo della serie.

Emily in Paris 5 da Parigi a Roma fa la gioia di Netflix: sono lontani i tempi delle coproduzioni tra i due Paesi

Del resto, passare dalla Torre Eiffel al Colosseo non può che far felice l’azienda di Los Gatos che, con un unico prodotto, si appropria di alcuni degli scenari da sempre più appetiti dal mondo dell’audiovisivo, prima dal cinema e ora dalla serialità televisiva.

E qui si torna al discorso dell’industria culturale.

Perché, in un tempo ormai troppo lontano, operazioni simili erano il pane quotidiano degli imprenditori europei che lavoravano nel settore. Produttori che non avevano bisogno che Hollywood venisse a spiegargli il mestiere o a imporre le proprie scelte perché avevano le competenze necessarie per fare da soli e un contesto politico-economico che, anziché intralciarli, gli forniva gli strumenti legislativi per dar vita alle proprie idee.

Proprio la Francia e l’Italia che ora litigano per “Emily in Paris” (mentre Netflix se la gode…), tra gli anni Sessanta e Settanta furono al centro di coproduzioni che fecero la fortuna di entrambe le industrie cinematografiche.

Ecco, allora, che divi del cinema francese venivano a recitare in pellicole dei maestri del cinema italiano, con tecnici e maestranze di entrambe le nazioni a dividersi i famosi ‘cestini’ del pranzo su set internazionali, allestiti ora in Francia, ora in Italia.

Operazioni che non solo davano prestigio all’industria cinematografica dei due Paesi ma che permettevano di abbattere i costi di produzione, rendendo più profittevoli i prodotti che venivano realizzati.

E alla base di questa perfetta ‘storia d’amore sul grande schermo’ c’erano le scelte di una politica che la favoriva. Quindi, cari Macron e Gualtieri (ma l’invito può essere rivolto anche al neo ministro della Cultura Giuli), anziché bisticciare per le ‘briciole’ lasciate dal colosso Usa di turno, impegnatevi per mettere in piedi politiche che permettano ai produttori capaci (se ve ne sono, ovviamente) di fare il proprio lavoro e rilanciare un settore che non aspetta altro da fin troppo tempo.