Trentaquattro anni di illazioni. Di caos e confusione. Trentaquattro anni di depistaggi, presunti killer, poi risultati innocenti. Gogna mediatica, suicidi, libri. Migliaia di parole vergate con l’inchiostro nel tentativo di ricostruire un solo giorno: il 7 agosto 1990.
Un lasso di tempo infinito per capire chi ha ucciso Simonetta Cesaroni, in quella calda sera d’estate. Oggi, 12 ottobre 2024, una nuova prova potrebbe evitare che l’indagine sull’omicidio sia chiusa definitivamente, archiviazione prevista per il prossimo 19 novembre 2024.
Ripercorrere quelle tragiche ore non è semplice. Troppi indizi, ma nessuna traccia concreta. E il tempo passa, il sangue si deteriora, il corpo di Simonetta si decompone in una bara del cimitero comunale di Genzano di Roma, senza un colpevole.
Dove’è la verità? Chi è il killer? Perché Simonetta è stata uccisa in maniera così brutale? Perché i depistaggi? Chi volevano proteggere i Vanacore?
Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni: una prova potrebbe evitare l’archiviazione del delitto di via Poma
A fare lo scoop Repubblica, che pubblica nel tardo pomeriggio di ieri, 11 ottobre 2024, un documento inedito. Si tratta del registro delle presenze degli uffici dell’AIG, l’Associazione Italiana Ostelli della Gioventù, sparito per ben 34 anni.
Eppure un foglio essenziale per l’indagine, perché contenente le firme e gli orari di entrata e uscita dal condominio di via Poma 2, proprio quel 7 agosto 1990, il giorno dell’omicidio di Simonetta Cesaroni. Un elenco di nomi chiesto più e più volte dalle forze dell’ordine, sin dall’inizio, e che, tuttavia, qualcuno non ha mai consegnato. Depositati nelle mani degli inquirenti i faldoni senza le presenze nel periodo compreso fra il 10 luglio e il 13 novembre 1990.
Chi ha fatto sparire quel registro? E soprattutto perché? È in base a questi due interrogativi che il giudice per le indagini preliminari deciderà, il prossimo 19 novembre 2024, se archiviare definitivamente l’indagine o se rimettere in analisi tutte le prove raccolte nel corso degli anni.
Incastrata Giuseppina “Giusy” Faustini? I dubbi sulla pagina ritrovata
Dal foglio diffuso nelle ultime ore da Repubblica, però, un elemento strano salta immediatamente agli occhi: quel martedì di 34 anni fa, manca un’uscita. Sarebbe quella di una delle colleghe di Simonetta Cesaroni, l’impiegata al tesseramento dell’AIG Giuseppina, detta Giusy, Faustini.
La testata romana scrive di aver cercato di mettersi in contatto con la donna, la quale, però, sarebbe sfuggita alle domande sostenendo di “non sapere nulla“. Dichiarazione, per altro, sempre portata avanti da Faustini, che – insieme agli altri colleghi – avrebbe detto di “non aver mai conosciuto o incontrato, se non brevi momenti, Simonetta“.
Eppure qualcuno ha pugnalato 29 volte la giovane contabile 20enne. Qualcuno che Faustini potrebbe aver visto entrare negli uffici quel tragico 7 agosto? Che sia per paura che la ragazza non ha parlato prima, raccontando cosa avrebbe visto?
Eppure, a gettare dubbi sulle sue affermazioni di allora un’altra collega: Luigina Berrettini, incaricata delle buste paga e quindi persona informata su orari e presenze. Anzi, proprio Berrettini avrebbe confessato – sostiene Repubblica – di aver consegnato lei stessa quei fogli al padre di Simonetta, Claudio Cesaroni per “aiutarlo nel scoprire la verità“.
Per capire meglio l’importanza di questi fogli di firma, conviene fare un passo indietro e ripercorrere con la mente i passi di tutti gli attori di quel giorno a via Poma.
Quel 7 agosto 1990: dov’erano tutti?
Dal fascicolo degli inquirenti si leggono alcune cose interessanti. La prima è che nell’elegante civico 2 un’altra donna è stata uccisa prima di Simonetta, la benestante Renata Moscatelli. Ma il suo caso finì presto nel dimenticatoio e nessun colpevole fu mai ricondotto al suo omicidio. La donna venne ritrovata soffocata nel suo appartamento, senza che la porta d’ingresso fosse stata forzata. Se ciò possa avere un collegamento con il delitto Cesaroni non è certo, tuttavia, si potrebbe ipotizzare che chiunque abbia ucciso Moscatelli conosceva lo stabile.
Infatti, gli uffici in questione si trovano all’interno di un complesso di 6 edifici, costruito nel 1930 dall’architetto Cesare Valle, divenuto ormai anziano e residente nell’appartamento 7 sulla stessa scala B. Altra cosa peculiare: nello stabile risiedono anche il portiere Pietro “Pietrino” Vanacore, la moglie Giuseppa De Luca e il figlio Mario Vanacore.
Terzo punto: nessuno vede entrare o uscire Simonetta, né nessun’altra persona. I portieri, infatti, sono riuniti nel cortile centrale a mangiare cocomero dalle 16 alle 20. Che qualcuno – probabilmente un uomo – fosse già all’interno del palazzo?
Il datore di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi, si trova alla tabaccheria della stazione Termini, che gestisce con la moglie. L’impiegata Maria Luisa Sibilia in De Risi esce alle 15. Luigina Berrettini, invece, firma entrata e uscita, mentre il direttore Corrado Carboni è in ferie. Faustini? La sua firma c’è, ma nessun orario d’uscita: la donna dichiara, però, di aver finito intorno alle 14:15.
E la protagonista? Dov’è la vittima di tutta quest’orribile vicenda? Simonetta Cesaroni sta uscendo di casa. Sono le 15, circa, quando sale in macchina con la sorella Paola, diretta alla fermata della metro Subaugusta.
Di lei, quel giorno, si sa solamente che potrebbe essere entrata a lavoro poco prima delle quattro del pomeriggio e che la chiamata delle 17:15 alla Berrettini sarà l’ultima della sua vita. Il suo cadavere, nudo e martoriato sarà ritrovato solamente alle 23:30 di sera dalla sorella, Volponi e dal figlio Luca, dal fidanzato della vittima, Antonello Barone, e da Giuseppa De Luca.
Ci si chiede, quindi, se le posizioni e gli orari di quanti erano sulla scena del crimine allora possano essere ribaltati grazie al registro firme e se – finalmente – la verità sul caso riesca a venire a galla.