Sembrava che Giulia Cecchettin avesse smosso l’animo della gente. Sembrava che la sua orribile morte avesse fatto aprire gli occhi su un fenomeno che non fa che versare sangue silenzioso: la violenza sulle donne. Proteste, cortei, urla e rivendicazioni si sono alzate da ogni parte sociale e politica. Ma nulla, pare, riesca a fermare la spirale di abusi nella quale, ogni giorno, centinaia di donne si trovano invischiate.
Da anni, Fondazione Pangea si occupa di prestare soccorso e aiuto alle vittime di aggressioni e maltrattamenti, italiane e immigrate, aprendo sportelli in tutta Italia e all’estero e avviando progetti per sviluppare l’empowerment femminile, spesso in sinergia con i governi.
La vice presidente della Ong, Simona Lanzoni racconta a Tag24 come il fenomeno sia cambiato nell’ultimo anno e, soprattutto, come la consapevolezza del proprio io e dei propri diritti sia notevolmente aumentata.
Giulia Cecchettin e Maria Arcangela Turturo volti del femminicidio, Lanzoni: “Lavoriamo da anni contro la violenza sulle donne”
Tutto è cambiato con il femminicidio di Giulia Cecchettin, la giovane studentessa padovana uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Eppure, niente è cambiato. Dopo il suo, troppi nomi si sono susseguiti, allungando una lista di volti e vite spezzate.
Pochi giorni fa, il 6 ottobre 2024, Maria Arcangela Turturo viene data alle fiamme. Viva. Da un marito che aveva pianificato attentamente come ucciderla. Neppure 3 giorni dopo, un altro caso. Quello di Eleonor Toci, giovanissima mamma di 24 anni, strangolata nel proprio letto coniugale davanti ai suoi bambini di 4 e 6 anni.
Ma i nomi sono molti. Troppe le storie di violenza sulle donne. Ed è su questo che la delegazione di rappresentanti di Fondazione Pangea Onlus e di donne indiane e pakistane hanno presenziato in audizione alla Camera al VI piano di Palazzo San Macuto a Roma, ieri 10 ottobre 2024.
Empowerment economico, violenza, femminicidio, ma soprattutto consapevolezza. Questi i concetti cardine che hanno dominato l’evento, raccontato oggi, 11 ottobre 2024, a Tag24 dalla vice presidente dell’Organizzazione, Simona Lanzoni.
“Una bellissima audizione alle 8:30 di mattina” ride la vice presidente, sdrammatizzando, prima di addentrarsi nella descrizione di un fenomeno, purtroppo, ancora troppo dilagante: la violenza sulle donne e il femminicidio. Indispensabili, in questo contesto, i progetti attivi e gli sportelli antiviolenza di Pangea sul territorio italiano:
“C’è bisogno di fare di più. Dall’evento alla Camera è emerso quanto sia necessario impegnarsi per creare dei ponti in Italia per la comprensione culturale dei vissuti delle donne immigrate. Bisogna lavorare dal punto di vista delle intersezionalità, quindi, lavorare maggiormente e avere maggiori misure per quanto riguarda le donne immigrate, disabili ecc.“.
Proprio nel concetto di intersezionalità, Lanzoni permette di far notare un punto fondamentale. La violenza e i femminicidi riguardano (potenzialmente) tutte le donne, senza distinzione alcuna di etnia o religione. Tuttavia, non tutte hanno gli stessi mezzi per riuscire a tirarsi fuori dalla nera spirale di paura e dolore. Tante, infatti, si ritrovano limitate da barriere linguistiche, economiche, sociali e culturali.
In effetti, spiega la vicepresidente, a chiamare più spesso i centralini della Fondazione sono per lo più italiane. Malgrado ciò, nelle case rifugio la maggioranza sono donne provenienti da Paesi esteri, soprattutto, India, Pakistan e Afghanistan. Questo significa, per dirlo con le parole di Lanzoni, che “Le donne migranti chiamano solo quando sono in pericolo imminente di vita. O, comunque, ci arrivano non perché chiedono direttamente aiuto, ma perché sono finite in ospedale e, quindi, è la struttura che chiama Pangea, o sono andate alla polizia“.
Consapevolezza e violenza: quando chiedere aiuto?
Secondo la vice presidente, per le donne migranti hanno una chiara “difficoltà all’accesso alla richiesta di aiuto, prima che sia troppo tardi“. Da qui, la nascita di sportelli sui bisogni di base. Le donne migranti, rifugiate, richiedenti asilo ecc. possono trovare in Pangea un aiuto dal punto di vista legale e anche da quello dei consulti sociosanitari e nei percorsi educativi.
Spesso, ciò che viene fuori dai colloqui, racconta Lanzoni, è un caso di violenza oppure il bisogno di trovare un lavoro. Il primo passo, dunque, è affidare il singolo caso all’ufficio di competenza: lo sportello antiviolenza o quello sulle politiche attive del lavoro, in concerto con i servizi territoriali e le imprese.
Presenti dal 2018 – come anticipato – diverse case rifugio a Roma, dove è aperta anche una casa d’emergenza, in Calabria e in Basilicata. Tutto ciò è collegato con tutti gli alti centri italiani della rete REAMA, per l’empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto.
“Ovviamente, poi, c’è tutto il lavoro all’estero, in Afghanistan, India, Pakistan. Il tutto per migliorare la condizione delle donne, da un lato con un percorso di consapevolezza di quello che si è, delle proprie potenzialità e della loro messa in atto. Dall’altro con un percorso di autonomia economica, per riscattarsi sia nei confronti della famiglia che della comunità in cui si vive“.
Spiega Lanzoni, sottolineando quanto sia imprescindibile per le donne raggiungere l’indipendenza economica contemporaneamente alla consapevolezza dei propri diritti e di sé. Di frequente, infatti, saper riconoscere la violenza o un abuso non è semplice.
Tale fenomeno non è solamente fisico, ma è prerogativa anche della sfera verbale ed emotiva. Quest’ultima, poi, è una forma estremamente complessa e difficile da riconoscere e avviene tramite sottili manipolazioni psicologiche ed emotive. Per esempio, attuando delle vere e proprie imposizioni mascherate da senso di inadeguatezza, di colpa, di disagio e portando la donna a perdere autostima.
Lanzoni: “Poco impegno da parte della Giustizia. Bene la Sanità e le forze dell’ordine”
Certo, il lavoro costante svolto dalla Fondazione Pangea e qualsivoglia tipo di supporto offerto alle donne non può avviarsi senza una chiara volontà di uscire dalla spirale di violenza o senza una segnalazione di un presunto caso.
Ciononostante, la vice presidente conferma, in questo senso, un trend in crescita. O, meglio, Lanzoni spiega che il numero di richieste di aiuto è aumentato, soprattutto da parte delle donne migranti. Questo significa che un numero sempre maggiore di donne è in grado non solo di riconoscere la violenza (ove questa non sia fisica), ma anche di denunciarla.
Dal momento della presa in carico del caso, quindi, Pangea accompagna la vittima per tutto il percorso di sostegno fino all’autonomizzazione e al recupero della propria vita. Eppure, Lazoni ammonisce:
“Il vero punto è che possiamo anche guardare ai numeri del 1522, il numero Anti Violenza e Stalking, ma questo non vuol dire che saranno donne che arrivano all’autonomia. Bisognerebbe incrociare le informazioni dei centri antiviolenza, delle case rifugio, del 1522, le denunce e i dati della Giustizia. Solo così si potrebbe avere una vera panoramica, non solo sull’emersione del fenomeno”.
Eppure, continua la vice presidente: “C’è un miglioramento in questo. Perché stiamo imparando a parlarne, a non vergognarci più. Il problema risiede nella raccolta di questi dati e nel loro incrocio. Il Ministero della Giustizia è molto poco attivo nel dare informazioni su se effettivamente i processi relativi a casi di violenza terminino o vengano lasciati, perché le donne si stancano di ripetersi o di essere vittimizzate ogni volta che vanno davanti ai giudici“.
“Ciò che serve è un maggiore impegno da parte delle Istituzioni” – conclude Lanzoni – “In particolare, appunto, dalla Giustizia. Il Dipartimento Pari Opportunità ha lavorato molto e deve rinnovare un piano d’azione per il futuro. Sappiamo che ci sono delle prese in carico da parte degli alti Ministeri sia sulla formazione che sul miglioramento della raccolta dati. Trovo che le forze dell’ordine facciano un grosso sforzo sulla formazione, ma non basta. La Sanità, per esempio, fa un ottimo lavoro. È un percorso di lungo periodo. Non ci possiamo dire ancora soddisfatti“.